Una vita in cambio di una vita

«Lei mi ha salvato la vita», diceva Daniele Mastrogiacomo a Romano Prodi scendendo dalla scaletta dell'areo che lo aveva riportato a Ciampino dopo due settimane trascorse nelle mani dei talebani. Oggi Adjmal Naqeshbandi, l'interprete di Mastrogiacomo, è stato decapitato dagli stessi macellai che avevano rapito il giornalista di Repubblica e sgozzato il suo autista, Sayed Agha (ancora complimenti a chi è riuscito a festeggiare in pubblico). E Prodi non può prendersi il merito politico di avere liberato Mastrogiacomo senza accollarsi anche l'intera responsabilità politica della morte di Naqeshbandi. L'uno si porta appresso l'altra, perché l'uccisione di Naqeshbandi è figlia diretta della liberazione di Mastrogiacomo e delle modalità con cui essa è avvenuta.

Naqeshbandi è stato ucciso perché il prezzo di cinque terroristi pagato al tagliagole Dadullah in cambio di Mastrogiacomo dal governo Karzai su richiesta (o minaccia) del governo Prodi ha rappresentato un precedente importantissimo per i talebani, i quali si sono sentiti in diritto di proseguire nella loro attività, e hanno avuto la ragionevole aspettativa di ottenere la liberazione di altri terroristi in cambio dell'interprete. Se un occidentale vale cinque mujahiddin di primo livello, un afghano ne varrà almeno tre, è stato il loro ragionamento. Impeccabile.

E' il motivo per cui i Paesi seri non pagano simili riscatti: perché cedere incoraggia i rapitori a continuare, mettendo in pericolo ulteriori vite. E' il motivo per cui il presidente afghano Hamid Karzai ha dovuto prendere la scelta più impopolare davanti ai suoi elettori: quella di non cedere al nuovo ricatto dei talebani.

La sinistra e il governo Prodi adesso condannano «una uccisione efferata perpetrata in disprezzo di qualsiasi rispetto della vita umana», per usare le parole del povero Piero Fassino. Ma fingono di scordarsi che loro stessi, pochi giorni fa, hanno riconosciuto gli autori di questo crimine come interlocutori politici, al punto da chiederne la presenza al tavolo della conferenza di pace sull'Afghanistan. Onorevole Fassino, dopo questa ennesima decapitazione la sua proposta è sempre valida?

Il solo sollevare questi interrogativi (interrogativi politici che in una democrazia bisogna porsi, perché riguardano il modo con cui uno Stato sceglie di comportarsi con i suoi nemici) è etichettato da una sinistra allo sbando come "sciacallaggio" e "speculazione politica". Ma chi è lo sciacallo: chi ha trattato con i terroristi accettando di mettere a rischio le vite di altri o chi gli chiede conto di tale comportamento?

Post scriptum. Nei giorni scorsi Gino Strada aveva chiesto a Dadullah di risparmiare la vita dell'interprete: «Emergency e io facciamo appello alla tua umanità e ai tuoi sentimenti religiosi nel chiederti di risparmiare la vita di Adjmal». «Umanità» e «sentimenti religiosi»: migliore esempio delle illusioni dei pacifisti nei confronti dei tagliagole islamici non si poteva trovare.

Sul caso Mastrogiacomo, su questo stesso blog:
Quando Repubblica titolava: "Non si tratta con i terroristi"
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Mastrogiacomo: due o tre talebani liberi in più non fa differenza
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