C'è qualcuno che vuole guardare in faccia quel morto?
Per carità, finché non ci troviamo nel momento della grande prova siamo tutti bravi a parlare. Però, a freddo, scrivo che mi sarei vergognato ad esultare per un solo istante, dopo aver causato - pur senza volerlo - la morte - una morte così orrenda - di un altro essere umano. Sayed Agha, l'autista del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo, è stato decapitato venerdì dai macellai islamici gratificati nei giorni successivi dallo sbrago totale del governo Prodi e del quotidiano di largo Fochetti. E' morto per aver aiutato un giornalista italiano a fare il suo mestiere. E' un morto di guerra, è morto per quella libertà d'informazione con cui tutti ci riempiamo la bocca, e andrebbe considerato a tutti gli effetti un morto italiano. Ma il suo è un cadavere imbarazzante, e tutti fanno a gara per non vederlo.
Imbarazza perché ricorda a tutti che, ad essere uomini, non ci sarebbe proprio nulla da festeggiare. Di sicuro non così, non in pubblico. Imbarazza perché la moglie, incinta, appresa la notizia ha perso il figlio. Un dolore più grande di ogni cosa, che non può non far sentire in colpa chi in questi giorni festeggia.
Bravo quindi Massimo Gramellini ad aver portato il nome di Sayed Agha in prima pagina sulla Stampa. Anche se della sua carezza - di cui non verrà mai a sapere - la moglie di Sayed Agha se ne fa ben poco. Sarebbe giusto e sensato, invece, se la sinistra equa e solidale e la buona stampa liberal (tipo, chessò, l'editore di Repubblica, Carlo De Benedetti) mettessero mano al portafoglio. Meglio ancora se il governo Prodi, dopo aver fatto liberare cinque tagliagole, amici di quelli che le hanno sgozzato il marito, offrisse alla moglie del poveretto e a ciò che resta della sua famiglia la possibilità di venire in Italia e ottenere una sorta di vitalizio. O pretendere che la politica sia attenta a certi dettagli "umani" è chiedere troppo?
Guardare in faccia quella morte e il dolore che ha provocato sarebbe anche un gesto di coraggio politico. Il primo passo per metabolizzare quello che è accaduto nei giorni scorsi, il dicibile e l'indicibile, è farci i conti a testa alta. Invece, come sempre, finirà che metteranno tutto sotto il tappeto.
Imbarazza perché ricorda a tutti che, ad essere uomini, non ci sarebbe proprio nulla da festeggiare. Di sicuro non così, non in pubblico. Imbarazza perché la moglie, incinta, appresa la notizia ha perso il figlio. Un dolore più grande di ogni cosa, che non può non far sentire in colpa chi in questi giorni festeggia.
Bravo quindi Massimo Gramellini ad aver portato il nome di Sayed Agha in prima pagina sulla Stampa. Anche se della sua carezza - di cui non verrà mai a sapere - la moglie di Sayed Agha se ne fa ben poco. Sarebbe giusto e sensato, invece, se la sinistra equa e solidale e la buona stampa liberal (tipo, chessò, l'editore di Repubblica, Carlo De Benedetti) mettessero mano al portafoglio. Meglio ancora se il governo Prodi, dopo aver fatto liberare cinque tagliagole, amici di quelli che le hanno sgozzato il marito, offrisse alla moglie del poveretto e a ciò che resta della sua famiglia la possibilità di venire in Italia e ottenere una sorta di vitalizio. O pretendere che la politica sia attenta a certi dettagli "umani" è chiedere troppo?
Guardare in faccia quella morte e il dolore che ha provocato sarebbe anche un gesto di coraggio politico. Il primo passo per metabolizzare quello che è accaduto nei giorni scorsi, il dicibile e l'indicibile, è farci i conti a testa alta. Invece, come sempre, finirà che metteranno tutto sotto il tappeto.