Chi ha paura di Telecom America

Il fatto che la Borsa apprezzi l'offerta di At&T e American Movil per Telecom Italia mentre nel governo Prodi e nella maggioranza c'è chi, come Piero Fassino, Vincenzo Visco e Fausto Bertinotti, grida all'emergenza democratica, la dice lunga su quanto certi personaggi abbiano a cuore gli interessi dell'azienda (ragionamenti analoghi, peraltro, si sentono provenire a mezza voce anche da alcuni settori del centrodestra).

Il problema, per tutti costoro, è che argomentazioni serie non ne hanno. Le modalità con cui la cordata americana si candida ad acquistare Olimpia, la "cassaforte" di Marco Tronchetti Provera, e tramite essa Telecom Italia, sono paragonabili a quelle con cui nel 1999 Roberto Colaninno ed Emilio Gnutti, con la benedizione dell'allora presidente del Consiglio Massimo D'Alema, misero le mani su Telecom Italia. Con la differenza che At&T non è un socio finanziario improvvisato, ma una delle primissime compagnie telefoniche al mondo, ovvero uno dei migliori soci industriali possibili. Che gli stessi che allora dettero il via libera ai corsari bresciani adesso facciano gli scandalizzati dinanzi all'offerta mossa dalla At&T è francamente comico.

Né il problema vero, per il governo, può essere davvero l'ingresso degli stranieri nel capitale di Telecom Italia. Intanto perché, semmai, dovevano pensarci prima di mettere Telecom Italia sul mercato (operazione varata nel '97, governo dell'Ulivo): una volta che sei in Borsa, chi ha i soldi per comprarti ti compra. E poi perché la sinistra italiana, in alcune sue componenti (anche diessine), si è evoluta quanto basta da lasciarsi alle spalle certe tentazioni protezionistiche.

Insomma, se gente paracula e navigata come i diessini si aggrappa alla più ingenua delle argomentazioni, la difesa della italianità, vuol dire che dietro c'è la fregatura. Diciamo allora le cose stanno. E cioè che gli americani, con la loro offerta pari a 2,9 euro per azione, hanno fatto saltare il copione che era già stato confezionato con il beneplacito della sinistra e di una parte del centrodestra. Copione che avrebbe visto Telecom finire nelle mani di una cordata italiana - composta da banche e imprese gradite nel complesso all'una e all'altra parte dello schieramento parlamentare - tra gli applausi di tutto il Belpaese, tranne che di Tronchetti Provera, il quale avrebbe dovuto accettare il prezzo offerto, se non altro per mancanza di alternative. Adesso, invece, nella migliore delle ipotesi Telecom finirà lo stesso in mano agli amici degli amici, i quali però dovranno pagare un prezzo più alto del previsto. Nella peggiore, resteranno a bocca asciutta e l'unico che festeggerà sarà Tronchetti Provera.

La partita è appena iniziata e la politica, costretta a uscire allo scoperto dal blitz americano, ha iniziato adesso a fare le sue mosse. I Ds gridano all'invasione straniera e i dalemiani si dicono disposti ad aprire le porte a Mediaset (che ovviamente faceva parte del progetto che ora gli americani rischiano di far saltare) piuttosto che cedere il passo ad At&T e American Movil. Una parte del centrodestra la pensa allo stesso modo, ma preferisce lasciare il cerino acceso in mano al governo. La sinistra più primitiva - comunisti e dintorni, per capirsi - ne fa una questione di antimericanismo viscerale, e probabilmente, a differenza dei Ds, non arriva nemmeno a capire che così facendo difende anche la causa delle aziende di Silvio Berlusconi.

Il rischio, molto concreto, è che alla fine l'azienda resti in mani italiane, e che il prezzo che Tronchetti chiede, siccome nessuno ha i soldi per pagarlo (il capitalismo italiano è morto da un pezzo, parce sepulto), lo versino i contribuenti. O scorporando la rete fissa di Telecom e rivendendola allo Stato a caro prezzo, come prevedeva il piano stilato da quel genio del braccio destro di Prodi, Angelo Rovati. Oppure lasciando il compito di risolvere la questione alle banche, le quali poi si rivarrebbero della spesa resa così alta dall'intervento degli americani cambiando - ovviamente in peggio - le condizioni praticate ai correntisti. Il mese di tempo che si è presa Pirelli per dare una risposta agli americani servirà proprio a capire se e come toccherà ai contribuenti italiani finanziare l'ennesima avventura Telecom.

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