La sceneggiata di Arturo
Scene da teatro dell'assurdo. Ma non è Eugène Jonesco: è Arturo Parisi. L'uomo su cui ricade la responsabilità politica della presenza militare italiana in Afghanistan, nella provincia di Herat, quello che dovrebbe spiegare alla nazione ciò che stanno facendo i nostri soldati laggiù, insomma il ministro della Difesa, non solo non ne sa nulla, ma fa sapere a tutti di brancolare nel buio.
Se davvero i soldati italiani, come ipotizza lo stesso ministro, stanno combattendo senza averlo informato (operazioni simili non si decidono da un giorno all'altro, e quella in atto era stata annunciata da mesi), Parisi ha due scelte: o si dimette da ministro, perché il comando italiano in Afghanistan se ne frega di lui e del suo governo, e i nostri militari fanno quello che ritengono più opportuno ignorando il mandato ricevuto dall'esecutivo e ratificato dal Parlamento; oppure fa dimettere i comandanti militari della missione.
Va da sé che Parisi non farà né l'una né l'altra cosa. Perché la sua sceneggiata odierna ha il semplice scopo di non fare incavolare l'ala sinistra della coalizione. Uscite stamattina le notizie sul durissimo combattimento in atto contro i talebani, l'unico modo che il ministro aveva per evitare di essere infilzato dai suoi alleati rifondaroli, verdi e comunisti vari era fingere di cadere dalle nuvole e chiedere lui stesso, per primo, spiegazioni.
A quanto risulta da queste parti, dove di sicuro ne sappiamo meno di Parisi, i soldati italiani impegnati ad Herat non combattono in prima linea assieme agli angloamericani e alle truppe regolari afghane, ma si occupano, assieme agli spagnoli, di "sigillare" i varchi di fuga. Questo consente da un lato di dire che i nostri soldati non partecipano alle operazioni di rastrellamento antiterrorismo, dall'altro dà un senso alla presenza dei militari italiani in Afghanistan. Certo, si tratta di un escamotage ipocrita: simili operazioni di chiusura dei varchi solitamente non si compiono con la moral suasion, ma con l'uso delle armi. Cioè sparando sui nemici in fuga. Chissà se anche stavolta sta succedendo questo. Forse il ministro ha qualche notizia in merito.
Post scriptum. L'ultima volta che si è venuto a sapere che ad Herat si sparava sul serio era il 14 marzo. Ed è successo un mezzo terremoto politico. Su questo blog se ne è scritto qui e qui.
Il ministro della Difesa, Arturo Parisi, è «preoccupato per un eventuale coinvolgimento» dei militari italiani in Afghanistan in «azioni estranee alla missione autorizzata dal Parlamento». Lo riferisce il portavoce del ministro, Andrea Armaro, con riferimento all'offensiva condotta dalle forze Usa e afgane nella provincia di Herat. A questo riguardo, il ministro «ha chiesto con urgenza informazioni più dettagliate al nostro Stato maggiore».Come fa Parisi a parlare di «eventuale» coinvolgimento, a non sapere se e perché i nostri soldati stanno sparando? Perché si dice «preoccupato» da ciò che sta succedendo? Se non le sa lui, che è a capo della difesa italiana, chi altri le deve sapere queste cose?
Se davvero i soldati italiani, come ipotizza lo stesso ministro, stanno combattendo senza averlo informato (operazioni simili non si decidono da un giorno all'altro, e quella in atto era stata annunciata da mesi), Parisi ha due scelte: o si dimette da ministro, perché il comando italiano in Afghanistan se ne frega di lui e del suo governo, e i nostri militari fanno quello che ritengono più opportuno ignorando il mandato ricevuto dall'esecutivo e ratificato dal Parlamento; oppure fa dimettere i comandanti militari della missione.
Va da sé che Parisi non farà né l'una né l'altra cosa. Perché la sua sceneggiata odierna ha il semplice scopo di non fare incavolare l'ala sinistra della coalizione. Uscite stamattina le notizie sul durissimo combattimento in atto contro i talebani, l'unico modo che il ministro aveva per evitare di essere infilzato dai suoi alleati rifondaroli, verdi e comunisti vari era fingere di cadere dalle nuvole e chiedere lui stesso, per primo, spiegazioni.
A quanto risulta da queste parti, dove di sicuro ne sappiamo meno di Parisi, i soldati italiani impegnati ad Herat non combattono in prima linea assieme agli angloamericani e alle truppe regolari afghane, ma si occupano, assieme agli spagnoli, di "sigillare" i varchi di fuga. Questo consente da un lato di dire che i nostri soldati non partecipano alle operazioni di rastrellamento antiterrorismo, dall'altro dà un senso alla presenza dei militari italiani in Afghanistan. Certo, si tratta di un escamotage ipocrita: simili operazioni di chiusura dei varchi solitamente non si compiono con la moral suasion, ma con l'uso delle armi. Cioè sparando sui nemici in fuga. Chissà se anche stavolta sta succedendo questo. Forse il ministro ha qualche notizia in merito.
Post scriptum. L'ultima volta che si è venuto a sapere che ad Herat si sparava sul serio era il 14 marzo. Ed è successo un mezzo terremoto politico. Su questo blog se ne è scritto qui e qui.