Anticipazione da "Eurabia" di Bat Ye’or
Come noto, non è stata Oriana Fallaci a usare per prima il termine "Eurabia" per descrivere l'involuzione islamica dell'Europa. La grande fiorentina l'ha ripreso dalla studiosa egiziana Bat Ye’or ("figlia del Nilo"). La casa editrice Lindau ha appena pubblicato la traduzione italiana del libro più noto di Bat Ye´or, che ha come titolo proprio "Eurabia - Come l’Europa è diventata anticristiana, antioccidentale, antiamericana, antisemita". Il volume è disponibile in tutte le librerie.
Per gentile concessione della Lindau, ne pubblico un capitolo. In fondo al post, gli interessati potranno trovare l'indice del libro e il link al sito della casa editrice.
7 Prefazione
PARTE PRIMA. IL PROGETTO
15 1. Eurabia getta la maschera
25 2. Il retroterra storico
41 3. Si riannodano le file delle ideologie
53 4. L’embargo del petrolio: l’ingranaggio
PARTE SECONDA. LA GENESI DI EURABIA
65 5. La nascita di un blocco politico ed economico euroarabo
77 6. Il nuovo orientamento politico e culturale
87 7. L’ingranaggio: la Comunità Europea, strumento della politica araba
97 8. L’allineamento politico della Comunità Europea
115 9. L’allineamento culturale: i seminari euroarabi
PARTE TERZA. IL FUNZIONAMENTO DI EURABIA
129 10. La politica estera
149 11. Una politica antisionista e antisemita
169 12. La crisi: 2000-2003
PARTE QUARTA. GLI STRUMENTI DI EURABIA
195 13. La nuova cultura euroaraba
217 14. Strategia del dialogo o della da’wah?
231 15. La politica dell’impunità
PARTE QUINTA. L’IDEOLOGIA DI EURABIA
251 16. Il palestinismo, nuovo culto di Eurabia
267 17. L’islamizzazione del cristianesimo
287 18. L’utopia andalusa
307 19. Condizionare le menti
333 Conclusioni
341 Post scriptum all’edizione italiana
353 Appendici
383 Bibliografia
403 Indice dei nomi
La scheda del libro
Come ordinarlo direttamente alla casa editrice
Per gentile concessione della Lindau, ne pubblico un capitolo. In fondo al post, gli interessati potranno trovare l'indice del libro e il link al sito della casa editrice.
Capitolo 9Indice dell’opera
L’allineamento culturale: i seminari euroarabi
A partire dagli anni ’70, le politiche europee sull’immigrazione furono assoggettate all’obiettivo del Dialogo Euro-Arabo, imposto dagli stati arabi e dalle loro lobby in Europa: fondere le due sponde del Mediterraneo in una civiltà comune. Ecco perché il DEA progettò l’inserimento massiccio e omogeneo di interi gruppi di immigrati provenienti dal Sud nel tessuto laico europeo. Questi immigrati, che nel giro di due decenni erano diventati milioni, non venivano per integrarsi. In quest’ottica il DEA mise l’accento sulla diffusione più ampia possibile in Europa, sotto l’egida di istituzioni e centri culturali euroarabi, della lingua e della cultura arabe, e sull’insegnamento dell’arabo ai figli degli immigrati.
Al contrario di quanto si potrebbe pensare, la penetrazione culturale araba e islamica in Europa non è dovuta unicamente all’immigrazione di milioni di musulmani, provenienti dall’Africa, dal Medio Oriente e dall’Asia, che portavano con sé la propria cultura sotto lo stendardo del multiculturalismo. È anche l’espressione di una deliberata scelta della CEE. L’esortazione a salvaguardare le tradizioni degli immigrati veniva da due fonti, la prima delle quali era costituita dagli interessi dei leader politici e religiosi musulmani, ansiosi di mantenere il controllo sui loro connazionali come strumenti di pressione politica e al tempo stesso di diffusione della da‘wah nei paesi d’accoglienza. Questa concezione ha le sue radici nell’islām tradizionale: da sempre la compenetrazione sociale tra musulmani e non musulmani, e l’adozione da parte dei primi di leggi e usanze straniere, è, se non addirittura bandita, quantomeno rigorosamente vietata dalla shari’a, e ha generato una capillare giurisdizione, in vigore in tutto il dār al-islām sin dagli inizi della colonizzazione islamica. Come emerge dalle discussioni del vertice di Lahore e da numerosi altri testi al riguardo, i capi di stato musulmani e i loro leader spirituali guardavano agli immigrati come a un «contingente» islamico in Europa, da consolidare e inquadrare nelle reti dei centri culturali arabi per impedire che si diluisse nella società lassista e dissoluta degli infedeli.
Ma furono gli accordi del DEA, ossia i compromessi tra i governi europei, coordinati dalla Commissione della CEE, a costituire il secondo quadro di riferimento di una migrazione di massa intesa a ricreare in Europa le proprie strutture sociali e religiose, tradizionalmente ostili alle altre culture. Questa linea fu sanzionata a Damasco l’11 settembre 1978, durante l’incontro del DEA che ratificò e confermò le risoluzioni del seminario euroarabo svoltosi all’Università di Venezia dal 28 al 30 marzo 1977, sul tema I mezzi e le forme di cooperazione per la diffusione in Europa della lingua araba e della sua civiltà letteraria.
Organizzato dall’Istituto per l’Oriente di Roma e dalla Facoltà di Lingue, sezione di letteratura araba, dell’Università di Venezia, il seminario rientrava nel contesto del Dialogo Euro-Arabo, ossia aveva l’imprimatur ufficiale del presidente della CEE e dei ministri degli Esteri di tutti i paesi della CEE. I partecipanti arabi provenivano da 14 università dei paesi musulmani, e precisamente Algeria, Arabia Saudita, Egitto, Iraq, Giordania, Qatar, Sudan e Tunisia. Tra gli europei vi erano 19 arabisti delle università europee, il rappresentante del Pontificio Istituto di Studi Arabi di Roma, nonché varie altre personalità legate al mondo islamico. La sessione di apertura si tenne nell’aula magna dell’Università, a Palazzo Ca’ Dolfin. Numerosi esponenti tennero discorsi di benvenuto, tra cui l’ambasciatore Cesare Regard, rappresentante italiano del gruppo europeo di coordinamento del Dialogo Euro-Arabo.
Tra i temi affrontati durante le quattro sessioni di lavoro, presiedute in forma congiunta da un delegato arabo e uno europeo, i relatori europei presentarono il loro rapporto sulla diffusione e la conoscenza della lingua e della cultura araba nei diversi paesi. Gli arabi, dal canto loro, esposero i metodi di insegnamento semplificato dell’arabo agli stranieri seguiti nei loro paesi, e ne raccomandarono l’adozione anche in Europa. Il seminario si concluse con numerose mozioni di intenti, che qui non possiamo riprodurre per intero, ma il cui tenore complessivo era quello di un invito a istituire nelle capitali europee, d’intesa con i paesi islamici, centri per la diffusione della lingua e della cultura araba. L’attuazione di questo progetto comportava l’adozione di molteplici misure, che furono sottoposte all’approvazione tanto dei governi europei quanto dei paesi della Lega Araba. Una di esse prevedeva l’inserimento negli istituti e nelle università europee di professori arabi specializzati nell’insegnamento agli europei. Questa misura si spiega con il divieto per i non musulmani di insegnare l’islām, ancor oggi in vigore nei paesi musulmani. Un’altra implicava il «coordinamento degli sforzi fatti dai paesi arabi per diffondere la lingua e la cultura araba in Europa e per trovare forme adeguate di cooperazione tra le istituzioni arabe operanti in questo settore».
I partecipanti chiesero la creazione di centri culturali euroarabi gemellati nelle capitali europee, finalizzati alla diffusione della lingua e della cultura araba (raccomandazione 2). Chiesero il sostegno delle istituzioni europee, di tipo universitario e non, «interessate all’insegnamento della lingua araba e alla diffusione della cultura araba e islamica». Sollecitarono l’aiuto dei governi per «progetti di cooperazione culturale tra istituzioni europee e arabe, in materia di ricerca linguistica e insegnamento della lingua araba agli europei» (mozione 4). L’esortazione a nominare, nelle istituzioni e nelle università europee, professori arabi che insegnino la loro lingua agli europei è ripetuta nello stesso documento e, praticamente, in tutti quelli degli anni successivi. Quest’insistenza, più volte ribadita, sulla necessità di affidare agli arabi questo insegnamento, mira a tenere l’interpretazione islamica della civiltà araba al riparo da ogni intrusione o critica da parte dei kuffar, e a custodirne l’efficacia ai fini della da‘wah. Questa politica ha di fatto istituito il controllo dei musulmani sull’insegnamento della storia, ma anche di altre discipline, e ha determinato l’orientamento filopalestinese e antioccidentale delle università europee, introducendovi una prospettiva islamica estranea alla loro cultura. È strano che i docenti europei, la cui professione consiste appunto nell’insegnamento della lingua e della civiltà islamica, abbiano deliberatamente accettato di essere definiti incompetenti nel proprio ambito professionale, e si siano volontariamente fatti da parte per permettere a colleghi stranieri di insegnare le loro stesse discipline nelle università e nelle istituzioni europee.
La raccomandazione 10 prevede che l’insegnamento dell’arabo sia collegato alla cultura arabo-islamica e alle tematiche arabe attuali. La n. 11 sottolinea, sia pur con cautela, «la necessità di cooperazione tra specialisti europei e arabi per presentare in modo oggettivo agli studenti e al pubblico europeo colto la civiltà arabo-islamica e le problematiche arabe contemporanee che potrebbero forse attirarli verso gli studi arabi». Per realizzare una perfetta armonia tra le università arabe ed europee, i partecipanti proposero stage per i professori europei nei paesi arabi. Le risoluzioni successive definiscono le forme di cooperazione tra le università arabe ed europee e i loro rispettivi esponenti, ma anche di gestione dei fondi necessari a questo progetto di arabizzazione dell’insegnamento all’interno della CEE.
L’ultima mozione, la n. 19, auspica «la nascita di un comitato permanente di esperti arabi ed europei, incaricati di controllare l’attuazione delle decisioni relative alla diffusione della lingua e della cultura araba in Europa, nel quadro del Dialogo Euro-Arabo». Questo quadro implicava l’approvazione dei ministri degli Esteri dei paesi della CEE e della sua Presidenza, d’intesa con il Segretario della Lega Araba, ma anche degli altri diplomatici rappresentati nella Commissione Generale, i cui lavori si svolgevano a porte chiuse e senza stesura di verbali. Gli opinionisti esperti delle istituzioni del Dialogo hanno elogiato la pragmatica flessibilità della sua struttura, sottolineando che le «porte chiuse» e le modalità informali favorivano una diplomazia discreta, libera dai vincoli dei trattati, ma anche – si potrebbe aggiungere – dal controllo popolare e dalla critica democratica. La scelta del termine «dialogo» per designare una politica informale e discreta, per non dire occulta, è attribuita a Michel Jobert, ministro degli Esteri francese.
Il Seminario di Venezia non solo spianò la strada a un’immigrazione araba e musulmana su vasta scala in Europa, ma pianificò anche la nascita di una cultura comune in grado di abbracciare le due sponde del Mediterraneo. Nel suo libro Le totalitarisme islamiste, Alexandre Del Valle descrive le diverse concezioni politiche che favorirono il sorgere del movimento filoislamico tra l’intellighenzia europea 5. La speranza nella redenzione della decadente Europa a opera dell’islām, unita ad alcune correnti giudeofobiche cristiane, portò a interpretare come una vittoria cristiana la futura distruzione di Israele per mano islamica (cfr. cap. 16). Questo movimento, formato da religiosi, universitari, intellettuali e opinionisti, accompagnò, inquadrò e sostenne le politiche di immigrazione musulmana pianificate dai governi della CEE, così come le attività del DEA.
Fin dal primo incontro a Il Cairo (14 giugno 1975), tutte le sessioni del DEA approvarono risoluzioni per favorire sul piano culturale e professionale gli immigrati arabi in Europa. Queste misure di politica interna europea, correlate alla comune politica euroaraba nei confronti di Israele e dell’OLP, costituivano un blocco inscindibile che fu ratificato nella prima sessione del Comitato Generale di Lussemburgo (18-20 maggio 1976), e ribadito a Tunisi (febbraio 1977), a Bruxelles (ottobre 1977), a Damasco (dicembre 1978) e in tutti i successivi incontri. L’espansione dei mercati europei nei paesi arabi fu sincronizzata con l’arrivo nella CEE di milioni di immigrati musulmani, le cui esigenze religiose, culturali e sociali erano tutelate dalle più alte autorità dei paesi europei di accoglienza. Il 23 aprile 1976, sotto la presidenza di Valéry Giscard d’Estaing, il primo ministro francese Jacques Chirac emanò un decreto che consentiva il ricongiungimento degli immigrati alle loro famiglie. In precedenza, questi entravano in Francia muniti di un permesso di lavoro temporaneo e dovevano ripartire alla sua scadenza. Il decreto Chirac sancì la natura permanente e definitiva dell’immigrazione.
Dall’incontro del 1975 a Il Cairo, che enunciava i principi generali e gli scopi del DEA, emerse che la cooperazione euroaraba apriva nuovi orizzonti a tutti i livelli: politico, economico, sociale e culturale. Esso chiarì che il principale obiettivo della cooperazione in campo culturale era «consolidare e approfondire le basi della comprensione culturale e dell’affinità intellettuale» tra le due regioni. E, in effetti, la diffusione della lingua e della cultura araba, specialmente nelle università, conobbe uno slancio unico nella storia, integrandosi in modo organico con la politica generale del DEA, ordinata, finanziata e sostenuta dai governi euroarabi. Perfino ai tempi della colonizzazione, l’emigrazione europea verso le colonie procedette a ritmi molto più lenti. Anche dopo circa due secoli, le sue cifre, discendenti compresi, non ammontavano che a un’esigua frazione del numero di immigrati musulmani presenti oggi nei paesi europei e occidentali dopo tre soli decenni. Un tale spostamento di popolazioni in un periodo così breve non avrebbe potuto verificarsi senza l’approvazione esplicita di tutti i capi di stato e di governo della CEE e del DEA, la struttura istituzionale da essi creata, che lo appoggiò e neutralizzò le opposizioni.
Avendo incoraggiato questa rapida espansione musulmana, i governi europei dovettero affrontare i problemi correlati dell’alloggio e dell’impiego, come spiega ’Al-Māni:
«Facendo eco alle preoccupazioni dei paesi del Maghreb per i problemi abitativi e occupazionali dei loro concittadini che lavorano in Europa, l’11 dicembre 1978, nel corso dell’incontro di Damasco, il DEA adottò una dichiarazione congiunta sui principi che devono regolare le condizioni di vita e di lavoro degli immigrati nelle due regioni. La dichiarazione, in 14 punti, insiste sull’uguaglianza economica tra i cittadini dei paesi ospiti e i lavoratori immigrati, e il diritto di tali lavoratori alla rappresentanza legale e alla formazione professionale per sé e per i loro figli».
I testi del DEA parlano di reciprocità, ma si tratta di una clausola puramente teorica, in quanto nessun paese arabo avrebbe mai concesso l’uguaglianza economica e giuridica a migliaia, per non dire milioni, di immigrati europei che si fossero stabiliti presso di loro, poiché l’ha rifiutata per oltre un millennio – e ancor oggi la rifiuta – alle sue minoranze indigene, residui dei popoli precedenti alla colonizzazione musulmana. […]
[…] Così, a partire dagli anni ’70, le politiche migratorie, correlate agli scopi politici del DEA imposti dagli stati arabi e dalle loro lobby europee, non riguardavano un’immigrazione sporadica, fatta di individui desiderosi di integrarsi nei paesi di accoglienza. La nuova immigrazione non aveva niente a che vedere, sul piano politico, economico e culturale, con le domande di asilo politico presentate, prima del 1989, dagli esuli in fuga dai paesi comunisti, né con le successive ondate di lavoratori italiani, spagnoli e portoghesi giunti dalle aree europee economicamente meno sviluppate. Nessuno di questi flussi migratori, infatti, si sviluppò in un quadro di richieste ideologiche e politiche paragonabile a quello del DEA. L’ambizione di congiungere le due sponde del Mediterraneo attraverso una cultura comune indusse a pianificare l’ingresso nel tessuto sociale europeo di masse compatte e omogenee di immigrati provenienti da Sud, che, in due decenni, divennero milioni. Immigrati venuti non per integrarsi, ma con il diritto di imporre ai paesi ospiti la loro civiltà. La politica del DEA si sposava perfettamente con la strategia espressa dal vertice islamico di Lahore e sintetizzata nel progetto dei Fratelli Musulmani.
© Lindau
7 Prefazione
PARTE PRIMA. IL PROGETTO
15 1. Eurabia getta la maschera
25 2. Il retroterra storico
41 3. Si riannodano le file delle ideologie
53 4. L’embargo del petrolio: l’ingranaggio
PARTE SECONDA. LA GENESI DI EURABIA
65 5. La nascita di un blocco politico ed economico euroarabo
77 6. Il nuovo orientamento politico e culturale
87 7. L’ingranaggio: la Comunità Europea, strumento della politica araba
97 8. L’allineamento politico della Comunità Europea
115 9. L’allineamento culturale: i seminari euroarabi
PARTE TERZA. IL FUNZIONAMENTO DI EURABIA
129 10. La politica estera
149 11. Una politica antisionista e antisemita
169 12. La crisi: 2000-2003
PARTE QUARTA. GLI STRUMENTI DI EURABIA
195 13. La nuova cultura euroaraba
217 14. Strategia del dialogo o della da’wah?
231 15. La politica dell’impunità
PARTE QUINTA. L’IDEOLOGIA DI EURABIA
251 16. Il palestinismo, nuovo culto di Eurabia
267 17. L’islamizzazione del cristianesimo
287 18. L’utopia andalusa
307 19. Condizionare le menti
333 Conclusioni
341 Post scriptum all’edizione italiana
353 Appendici
383 Bibliografia
403 Indice dei nomi
La scheda del libro
Come ordinarlo direttamente alla casa editrice