Quei relativisti che piangono per la morte di Saddam

La conferma che ci sono ancora sacerdoti che non hanno spedito il cervello all'ammasso, e che forse Joseph Ratzinger non è un'eccezione isolata, è l'editoriale di padre Bernardo Cervellera sulla impiccagione di Saddam Hussein e le reazioni che essa ha scatenato nel mondo occidentale.

Siamo ancora segnati dal dolore e dalla preghiera per l’esecuzione di Saddam Hussein. Ma non possiamo non denunciare tanta ipocrisia da parte dei molti campioni contro la pena di morte che l’ex dittatore irakeno è riuscito a radunare prima e dopo la sua impiccagione. Perché questi “professionisti” dello scandalo per la pena di morte comminata contro un uomo che ammirava – e seguiva – Hitler , poco si dolgono di altre condanne a morte e di altre violenze? Quando mai un vescovo cinese scomparso e ucciso nei lager ha trovato tanta solidarietà? Quando indù, cristiani, musulmani imprigionati nelle carceri saudite o iraniane hanno goduto di tanto sdegno internazionale e sostegno personale e pubblico?

Il piangere da un occhio solo da parte di personaggi o organizzazioni è segno non solo di una soffocante visione ideologica, ma di un profondo relativismo. Il relativismo, è un pericolo alla pace alla stregua del terrorismo e della guerra. Questo atteggiamento così diffuso in occidente, che vuole scrollarsi di dosso qualunque certezza e qualunque quadro di valori, che innalza i tiranni e nasconde i perseguitati, che parla in modo ovattato di tutto perché non si interessa di nulla, è stato messo da papa Benedetto XVI fra i veri pericoli della pace nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della pace 2007.
Il resto qui, su AsiaNews.

Post scriptum. Su questo blog della condanna a morte del dittatore iracheno ho scritto qualche settimana fa, e la sua esecuzione, avvenuta nel frattempo, non ha spostato le cose di una virgola:
Saddam, non tutti possono scandalizzarsi

Niente da aggiungere rispetto ad allora.

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