L'Europa è al suicidio demografico. E questi parlano di sovrappopolazione

di Fausto Carioti

Gli articoli di Alberto Ronchey vengono regolarmente tradotti e commentati nei quotidiani arabi? Il Corriere della Sera è venduto nelle strade afgane, yemenite, somale e pakistane? Se, come risulta, la risposta giusta a queste domande è «no», non si capisce il senso dell’editoriale apparso ieri sul quotidiano di via Solferino, che è solo l’ultimo di una lunga serie di sermoni che con cadenza ormai quotidiana ci inseguono da decenni, dalle colonne dei giornali più o meno autorevoli di un certo establishment europeo, per ripeterci i soliti due concetti: che su questo pianeta siamo troppi e che le risorse sono poche, e che quindi dobbiamo limitare il numero di esseri umani sul pianeta.

«Da una parte, la pressione dei consumi o iperconsumi e dell’invasiva demografia. D’altra parte, la scarsità di risorse naturali non rinnovabili e la precarietà delle condizioni ambientali. Senza decisi passi verso un minimo sistema d’equilibrio globale, appare arduo anche solo concepire un’ipotesi di “ecologia umana” vivibile per le prossime generazioni», scrive Ronchey, ricalcando quanto detto da qualche altro migliaio di commentatori prima di lui. Il problema è che tutti costoro hanno sbagliato indirizzo. I loro articoli non devono inviarli a via Solferino, a largo Fochetti o ad avenue Stephen-Pichon, Paris, sede di Le Monde Diplomatique. In Europa il loro messaggio è già passato, e già ha prodotto più danni di quanti era possibile prevedere. L’Italia e gli altri Paesi europei, archiviata la fase del contenimento della popolazione, marciano ormai spediti lungo la strada del suicidio demografico. È il resto del mondo, specie quello islamico, dove il concetto occidentale e politicamente corretto di ecocompatibilità è ben lontano dall’essere tradotto, che si riproduce allegramente, nella convinzione - fondata - che di questo passo, tempo qualche generazione, tre quarti del pianeta, iniziando proprio dall’Europa, apparterrà ai loro discendenti. Mentre le risorse naturali, ovviamente, non accennano ad esaurirsi. Per fare l’esempio più banale: le riserve accertate di petrolio oggi ammontano a 1.200 miliardi di barili, il 17% in più di venti anni fa. Gli “scienziati” del Club di Roma, nel loro rapporto del 1972 sui limiti della crescita, ne avevano previsto l’esaurimento per il 1992. Ovviamente, allora come oggi, politici e intellettuali avevano preso sul serio la previsione degli ecocatastrofisti.

Decenni passati a pubblicare sui giornali simili allarmi, durante i quali le teorie più allarmistiche sulla sovrappopolazione - malgrado le continue figuracce rimediate - hanno usurpato l’aurea di scientificità, non sono trascorsi invano. I più noti e importanti tra i profeti di sventura sono stati i coniugi Paul e Anne Ehrlich: furono loro, con il volume “The population bomb”, a far decollare il “dibattito demografico”, nel 1968. I loro libri (con tanto di logo del Wwf in copertina) sono stati adottati come testo di studio nelle università italiane, e gli insegnamenti che vi si potevano leggere erano questi: «L’ideale sarebbe che ogni coppia avesse soltanto un figlio o, al massimo, due»; «Se avete amici o parenti più vecchi che cercano di convincere i loro figli a generare eserciti di nipotini, potete prenderli in giro»; «Noi non facciamo regali ai bambini per nessun figlio oltre i primi due»; «I bambini ricchi sono una minaccia per il nostro futuro molto più dei bambini poveri». Le autorità scolastiche erano invitate a «introdurre i temi demografici sin dai primi anni (...). Si può discutere l’importanza delle famiglie poco numerose e, nei film proiettati in classe, le famiglie felici non dovrebbero mai essere mostrate con più di due figli». Sono stati presi in parola. Non tutti conoscono i coniugi Ehrlich e i loro libri, ed è ovvio che la gente sceglie di non fare figli per una lunga serie di motivi. Ma è innegabile che il loro messaggio sia stato accettato e rilanciato da quasi tutti coloro che hanno avuto un ruolo di responsabilità nel mondo dei media e della cultura, diventando ben presto uno dei dogmi della fede laicista.

I risultati sono quelli che tutti possiamo toccare con mano. La popolazione del mondo avanzato è sempre di meno, è sempre più anziana, e gli abitanti “indigeni” dell’Europa, tempo poche generazioni, si ritroveranno minoranza nei loro stessi Paesi. Qualche numero, tanto per capire. Un tasso di fertilità di 2,1 figli per donna è necessario a mantenere stabile la popolazione. Al di sopra di questo tasso la popolazione aumenta, al di sotto diminuisce. Gli Stati Uniti hanno un tasso di fertilità pari a 2,1: sono in perfetto equilibrio. Tutto il resto della popolazione occidentale si riproduce a un tasso inferiore, e quindi si sta riducendo. Il Canada ha un tasso di fertilità pari a 1,61. Quello dell’Unione europea è pari a 1,47 figli per donna. Le donne italiane sono tra le meno prolifiche al mondo: ognuna di loro fa 1,28 figli. Vuol dire che, tempo che una generazione si sostituisca all’altra, al posto di venti individui adulti (dieci donne con i relativi partner) ne resteranno sì e no tredici. Di questo passo, i “nativi” italiani faranno presto a dimezzarsi, per non parlare del problema che avranno le nuove generazioni a farsi carico del welfare di quelle più anziane. Le previsioni dicono che nel 2050 il sessanta per cento degli italiani non avrà né fratelli, né cugini, né zii. Si potrebbe, seguendo i consigli di Ronchey e dei tanti che la pensano come lui, fare più di questo per salvare il pianeta dalla minaccia umana? Forse sì, ma a parte il suicidio immediato dell’intera popolazione occidentale, altre soluzioni non vengono in mente.

Il resto del mondo, intanto, dei coniugi Ehrlich e dei loro epigoni se ne frega. Soprattutto nei Paesi musulmani, dove anche la poligamia, riducendo le probabilità che una donna rimanga senza partner e quindi senza figli, contribuisce a tenere alto il tasso di fertilità. L’islam è la grande religione che cresce al ritmo più elevato. Ma questo avviene solo grazie al processo demografico: sul terreno delle conversioni, infatti, i cristiani sono più attivi degli islamici, e per ogni 100 convertiti all’islam se ne contano 170 che abbracciano il cristianesimo. La differenza la fa il talamo: nei Paesi musulmani il ritmo “naturale” di crescita della popolazione è doppio rispetto a quello dei Paesi cristiani. Conseguenza del fatto che il tasso di fertilità è di 6,7 figli per le donne afghane e somale, di 6,6 per le loro correligionarie yemenite, di 4 per le pakistane, e in generale assai più alto di 2,1 in gran parte dell’islam. Il risultato è che, mettendo nel conto anche le conversioni, la parte musulmana della popolazione mondiale cresce a un tasso annuale del 2,13%, mentre quella cristiana aumenta dell’1,36%. Ma i cristiani, appunto, sono aiutati dalle conversioni e dal trend demografico dei Paesi cristiani meno sviluppati. Se si raffronta invece la crescita del mondo islamico con la crescita del mondo occidentale, la differenza è impressionante: nel 1970 il mondo islamico pesava per il 15% della popolazione mondiale, la metà di quanto valeva il mondo occidentale, che contava il 30% degli abitanti del pianeta. Nel 2000 questa differenza è stata annullata: il mondo avanzato rappresentava poco più del 20% della popolazione mondiale (10 punti percentuali in meno in trent’anni), tanto quanto i Paesi islamici (che nel frattempo hanno aumentato il loro peso demografico di 5 punti).

Per rubare l’immagine usata da Mark Steyn, intellettuale conservatore canadese, autore di uno quei libri (“America Alone”) che non saranno mai tradotti in Italia: avesse quattro zampe e passasse le sue giornate sugli alberi di qualche foresta pluviale, l’uomo occidentale sarebbe nella lista delle specie in via d’estinzione. Invece l’uomo occidentale vive nelle grandi metropoli e viaggia in automobile, e il Wwf e gli opinionisti dei quotidiani più importanti lo incoraggiano a consegnare la propria specie ai libri di paleontologia.

© Libero. Pubblicato il 9 gennaio 2007.

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