La prima volta di Montezemolo

di Fausto Carioti

Girano due interpretazioni delle parole durissime con cui Luca Cordero di Montezemolo, nel suo ultimo discorso da presidente di Confindustria, ha salutato i sindacati e la sinistra. La prima, bonaria, è che certe cose le ha dette solo adesso perché prima glielo ha impedito il suo ruolo di leader degli imprenditori. La seconda, più perfida, è che per sparare ha aspettato di vedere l’avversario a terra, abbattuto dagli elettori e da Silvio Berlusconi. Qualunque sia la ragione che lo ha spinto, ieri, finalmente, il numero uno di viale dell’Astronomia ha parlato davvero fuori dai denti, senza riguardi.

Ne ha avute per tutti. Per le sigle confederali, innanzitutto: «I lavoratori», ha detto, «sono molto più vicini alle nostre posizioni che a quelle dei sindacalisti». Non ce l’ha solo con la Cgil, ma anche con Cisl e Uil, e lo fa capire bene: «In quattro anni le tre sigle sindacali non hanno voluto o potuto raggiungere un accordo, badate bene, non con noi, ma tra di loro». Li ha chiamati «la casta dei professionisti del veto», aggrappati ai loro «rituali logori e costosi», come gli scioperi che accompagnano ogni trattativa per il rinnovo sindacale. Li invitati ad «aprire gli occhi e confrontarsi con il mondo reale».

Ha messo nel mirino anche la sinistra, applaudendo alla «pesantissima sconfitta politica di quelle forze che negli ultimi due anni, dentro il governo, sono state portatrici di una cultura anti-impresa e anti-mercato». Ha sottoscritto il programma di Berlusconi: «Mi fa piacere ritrovare negli impegni delle principali forze politiche, e in particolare della coalizione che ha vinto le elezioni, molte delle proposte del nostro decalogo». E ha lodato l’intenzione del nuovo governo di detassare subito gli straordinari e la parte variabile del salario. Ora ci sono tutti i presupposti, sostiene, perché si apra una «fase nuova», quella delle riforme e delle grandi opere.

Non è un mistero, del resto, che Montezemolo non abbia gradito la partecipazione di volti noti di Confindustria, come Massimo Calearo e Matteo Colaninno, al progetto veltroniano. A infastidirlo non era tanto il Partito democratico, il cui programma giudicava in gran parte accettabile, ma lo sbilanciamento a sinistra della confederazione degli imprenditori, che durante la campagna elettorale, agli occhi dell’opinione pubblica, è sembrata la riserva di caccia privata del sindaco di Roma. L’uscita di ieri è servita a Montezemolo anche per mandare il messaggio corretto: durante il suo mandato l’associazione non si è spostata a sinistra e tantomeno è stata così sprovveduta da identificarsi con i perdenti.

In altri tempi, molti imprenditori si sarebbero interrogati sulla necessità di lanciare un attacco tanto duro a Cgil, Cisl e Uil: a viale dell’Astronomia sono sempre stati molto attenti a non delegittimare la controparte, ed è accaduto, in passato, che i suoi vertici difendessero le tre confederazioni dagli attacchi del centrodestra. Ma il sindacato di oggi è ben poca cosa: prima di Montezemolo lo hanno delegittimato i suoi iscritti, che sempre più spesso votano per la Lega e per Berlusconi, le cui proposte sono quasi sempre opposte a quelle delle confederazioni sindacali. Abituati ad altri trattamenti, Guglielmo Epifani e i suoi colleghi hanno reagito prima con stupore, quindi con rabbia, alle parole del presidente uscente di Confindustria. Ma farebbero meglio a preoccuparsi delle pernacchie dei lavoratori.

© Libero. Pubblicato il 19 aprile 2008.

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