Cgil, operazione suicidio: ora il nemico è l'Ici
di Fausto Carioti
C’è una poltrona libera, da qualche giorno: è quella di presidente del Partito democratico. Anche se con un certo ritardo, Romano Prodi ha preso atto che nel Pd non lo voleva più nessuno e che la sua presenza era solo motivo d’imbarazzo. Il successore dovrebbe essere uno tra Rosy Bindi e Franco Marini. Pacatamente, serenamente, ci permettiamo di suggerire un terzo nome: quello di Tafazzi, il personaggio televisivo noto per l’irruenza con cui si percuote i genitali a colpi di bottiglia. Sarebbe un “padre nobile” perfetto. Nessuno riassume meglio di lui il tratto caratteristico della sinistra italiana: la capacità di farsi del male, di insistere nell’errore anche dopo che la “base” ha fatto capire nel modo più chiaro che chi pretende di rappresentarla sta sbagliando tutto. L’ultimo gesto autolesionista l’ha appena compiuto Guglielmo Epifani. Il segretario generale della Cgil ha annunciato che il suo sindacato è contrario all’abolizione dell’imposta comunale sulla prima casa, provvedimento con cui Silvio Berlusconi intende battezzare la nascita del suo nuovo governo. «Credo che per l’Ici si possa aspettare, perché la priorità è il sostegno dei redditi più bassi», dice Epifani.
Il fatto che un leader sindacale si opponga a uno sgravio fiscale capace di portare un miliardo e mezzo di euro l’anno nelle tasche delle famiglie proprietarie di casa (e sono il 74 per cento) si spiega in solo modo: il richiamo della foresta. È la lotta di classe, l’ostilità atavica nei confronti dei “padroni” che lo fa parlare. Se posseggono una casa, fosse anche la prima e unica - è il suo ragionamento - vuol dire che in fondo così male non stanno. Sono idee come queste che hanno portato la sinistra sull’orlo del baratro, e che ora la stanno spingendo a fare un passo avanti.
Il leader della Cgil non ha realizzato che la casa non è uno sfizio da ricchi, ma il bene-rifugio nel quale tante famiglie a reddito fisso - incluse quelle di milioni di operai - investono i risparmi messi da parte in decenni di lavoro. Epifani non ci è arrivato, ma i suoi tesserati lo hanno capito benissimo, tanto che gli iscritti alla Cgil e il resto delle tute blu si sono messi in marcia, ormai da anni, verso il centrodestra. Un sondaggio commissionato dopo le elezioni del 2006 dalla stessa Cgil alla Swg faceva capire che, nonostante la vittoria di misura incassata dall’Unione, lo smottamento iniziato nel 1994 non si era fermato. Renato Brunetta, nel libro “Il berlusconismo. L’identità e il futuro”, ha scritto che questo studio «dimostra come, contrariamente a quanto si pensi, al Nord la maggioranza di operai e pensionati continua a scegliere il centrodestra». Pochi giorni prima delle recenti elezioni, un’altra indagine, stavolta firmata dalla Demos di Ilvo Diamanti, avvertiva che «il PdL sovrasta il Pd fra i liberi professionisti (di 25 punti), fra i lavoratori autonomi e gli imprenditori (addirittura 35). Ma lo supera anche fra gli impiegati privati (di poco) e perfino (in misura più rilevante: 14 punti in più) tra gli operai». Che tra Cipputi e Berlusconi sia scoppiato l’amore lo ha capito persino Fausto Bertinotti: «Ora nelle fabbriche i sindacalisti Fiom hanno la tessera di Forza Italia», ha ammesso poche settimane fa.
Quattordici punti di distacco in favore del centrodestra tra gli operai, tesserati Cgil che si dividono tra le presse di Mirafiori e la sezione di Forza Italia: sembravano enormità, e invece le urne hanno confermato tutto. Dove non è bastato il PdL, poi, ci ha pensato la Lega: persino in Emilia Romagna il Carroccio ha preso il 7,8%, contro il 3% della Sinistra arcobaleno. Commento sconfortato di Valentino Parlato, fondatore del Manifesto: «Gli iscritti alla Cgil votano Lega. Il sindacato è indebolito e non è un caso che proprio nelle regioni rosse c’è stato un tracollo».
È un modo carino per dire che i lavoratori ormai se ne fregano di quello che dicono Epifani e i suoi colleghi. I sindacalisti puzzano di “casta”. Vederli battersi contro il taglio dell’Ici fa incavolare il doppio se si sa che i sindacati hanno avuto i loro immobili gratis, grazie a una legge del 1977, che attribuì gli enormi patrimoni delle corporazioni fasciste alle più importanti confederazioni sindacali. L’elenco dei beneficiati è lunghissimo e comprende, tra le altre organizzazioni, Cgil, Cisl, Uil, Confindustria, Confartigianato, Confcooperative, Coldiretti e Lega Coop. La stessa legge stabilì che questi trasferimenti di proprietà dovevano essere «esenti dal pagamento di qualsiasi tassa o imposta». Una norma del ’92 libererebbe i sindacati persino dal pagamento dell’Ici. In molti casi, però, l’imposta viene versata, perché i sindacati sono stati costretti a intestare gli immobili a società terze. Un tempo, infatti, i loro palazzi erano intestati pro tempore ai segretari generali, ma è successo che, alla morte di questi, qualche erede ne abbia reclamato il possesso: meglio cautelarsi, insomma.
Calcolare il giro d’affari del mattone sindacale è impossibile, dal momento che le confederazioni non presentano un bilancio consolidato. Il conto sfugge persino ai diretti interessati, se è vero quanto dice Lodovico Sgritta, amministratore della Cgil: «Non so stimare il valore di mercato di un patrimonio che non conosco, ma deve trattarsi di una cifra davvero impressionante». Né è facile risultare credibili nel parlare di pensioni quando c’è un lunghissimo elenco di sindacalisti che, grazie a due leggine - la “legge Mosca” del 1974 e quella voluta da Tiziano Treu nel 1996 - hanno potuto farsi una, e talvolta due pensioni, ad un costo irrisorio per il sindacato, ma assai elevato per l’Inps.
La stessa iscrizione alla Cgil sta perdendo il valore che aveva un tempo. Sempre più spesso si sceglie il sindacato come un centro servizi. Cgil, Cisl, Uil o un’altra sigla cambia poco: come il gatto di Deng Xiaoping, non importa quale sia il suo colore, l’importante è che acchiappi i topi, cioè sbrighi le pratiche in modo efficiente. Tanto, dentro al seggio elettorale, niente impedisce all’operaio con la tessera rossa in tasca di mettere la croce sul simbolo del PdL o della Lega. E se Epifani è contrario all’abolizione dell’Ici sulla prima casa, peggio per lui: tumulate le ideologie, anche l’elettore in tuta blu sceglie chi presenta l’offerta politica più conveniente. Avere il sindacato a sinistra e il partito a destra non è più un controsenso.
© Libero. Pubblicato il 18 aprile 2008.
C’è una poltrona libera, da qualche giorno: è quella di presidente del Partito democratico. Anche se con un certo ritardo, Romano Prodi ha preso atto che nel Pd non lo voleva più nessuno e che la sua presenza era solo motivo d’imbarazzo. Il successore dovrebbe essere uno tra Rosy Bindi e Franco Marini. Pacatamente, serenamente, ci permettiamo di suggerire un terzo nome: quello di Tafazzi, il personaggio televisivo noto per l’irruenza con cui si percuote i genitali a colpi di bottiglia. Sarebbe un “padre nobile” perfetto. Nessuno riassume meglio di lui il tratto caratteristico della sinistra italiana: la capacità di farsi del male, di insistere nell’errore anche dopo che la “base” ha fatto capire nel modo più chiaro che chi pretende di rappresentarla sta sbagliando tutto. L’ultimo gesto autolesionista l’ha appena compiuto Guglielmo Epifani. Il segretario generale della Cgil ha annunciato che il suo sindacato è contrario all’abolizione dell’imposta comunale sulla prima casa, provvedimento con cui Silvio Berlusconi intende battezzare la nascita del suo nuovo governo. «Credo che per l’Ici si possa aspettare, perché la priorità è il sostegno dei redditi più bassi», dice Epifani.
Il fatto che un leader sindacale si opponga a uno sgravio fiscale capace di portare un miliardo e mezzo di euro l’anno nelle tasche delle famiglie proprietarie di casa (e sono il 74 per cento) si spiega in solo modo: il richiamo della foresta. È la lotta di classe, l’ostilità atavica nei confronti dei “padroni” che lo fa parlare. Se posseggono una casa, fosse anche la prima e unica - è il suo ragionamento - vuol dire che in fondo così male non stanno. Sono idee come queste che hanno portato la sinistra sull’orlo del baratro, e che ora la stanno spingendo a fare un passo avanti.
Il leader della Cgil non ha realizzato che la casa non è uno sfizio da ricchi, ma il bene-rifugio nel quale tante famiglie a reddito fisso - incluse quelle di milioni di operai - investono i risparmi messi da parte in decenni di lavoro. Epifani non ci è arrivato, ma i suoi tesserati lo hanno capito benissimo, tanto che gli iscritti alla Cgil e il resto delle tute blu si sono messi in marcia, ormai da anni, verso il centrodestra. Un sondaggio commissionato dopo le elezioni del 2006 dalla stessa Cgil alla Swg faceva capire che, nonostante la vittoria di misura incassata dall’Unione, lo smottamento iniziato nel 1994 non si era fermato. Renato Brunetta, nel libro “Il berlusconismo. L’identità e il futuro”, ha scritto che questo studio «dimostra come, contrariamente a quanto si pensi, al Nord la maggioranza di operai e pensionati continua a scegliere il centrodestra». Pochi giorni prima delle recenti elezioni, un’altra indagine, stavolta firmata dalla Demos di Ilvo Diamanti, avvertiva che «il PdL sovrasta il Pd fra i liberi professionisti (di 25 punti), fra i lavoratori autonomi e gli imprenditori (addirittura 35). Ma lo supera anche fra gli impiegati privati (di poco) e perfino (in misura più rilevante: 14 punti in più) tra gli operai». Che tra Cipputi e Berlusconi sia scoppiato l’amore lo ha capito persino Fausto Bertinotti: «Ora nelle fabbriche i sindacalisti Fiom hanno la tessera di Forza Italia», ha ammesso poche settimane fa.
Quattordici punti di distacco in favore del centrodestra tra gli operai, tesserati Cgil che si dividono tra le presse di Mirafiori e la sezione di Forza Italia: sembravano enormità, e invece le urne hanno confermato tutto. Dove non è bastato il PdL, poi, ci ha pensato la Lega: persino in Emilia Romagna il Carroccio ha preso il 7,8%, contro il 3% della Sinistra arcobaleno. Commento sconfortato di Valentino Parlato, fondatore del Manifesto: «Gli iscritti alla Cgil votano Lega. Il sindacato è indebolito e non è un caso che proprio nelle regioni rosse c’è stato un tracollo».
È un modo carino per dire che i lavoratori ormai se ne fregano di quello che dicono Epifani e i suoi colleghi. I sindacalisti puzzano di “casta”. Vederli battersi contro il taglio dell’Ici fa incavolare il doppio se si sa che i sindacati hanno avuto i loro immobili gratis, grazie a una legge del 1977, che attribuì gli enormi patrimoni delle corporazioni fasciste alle più importanti confederazioni sindacali. L’elenco dei beneficiati è lunghissimo e comprende, tra le altre organizzazioni, Cgil, Cisl, Uil, Confindustria, Confartigianato, Confcooperative, Coldiretti e Lega Coop. La stessa legge stabilì che questi trasferimenti di proprietà dovevano essere «esenti dal pagamento di qualsiasi tassa o imposta». Una norma del ’92 libererebbe i sindacati persino dal pagamento dell’Ici. In molti casi, però, l’imposta viene versata, perché i sindacati sono stati costretti a intestare gli immobili a società terze. Un tempo, infatti, i loro palazzi erano intestati pro tempore ai segretari generali, ma è successo che, alla morte di questi, qualche erede ne abbia reclamato il possesso: meglio cautelarsi, insomma.
Calcolare il giro d’affari del mattone sindacale è impossibile, dal momento che le confederazioni non presentano un bilancio consolidato. Il conto sfugge persino ai diretti interessati, se è vero quanto dice Lodovico Sgritta, amministratore della Cgil: «Non so stimare il valore di mercato di un patrimonio che non conosco, ma deve trattarsi di una cifra davvero impressionante». Né è facile risultare credibili nel parlare di pensioni quando c’è un lunghissimo elenco di sindacalisti che, grazie a due leggine - la “legge Mosca” del 1974 e quella voluta da Tiziano Treu nel 1996 - hanno potuto farsi una, e talvolta due pensioni, ad un costo irrisorio per il sindacato, ma assai elevato per l’Inps.
La stessa iscrizione alla Cgil sta perdendo il valore che aveva un tempo. Sempre più spesso si sceglie il sindacato come un centro servizi. Cgil, Cisl, Uil o un’altra sigla cambia poco: come il gatto di Deng Xiaoping, non importa quale sia il suo colore, l’importante è che acchiappi i topi, cioè sbrighi le pratiche in modo efficiente. Tanto, dentro al seggio elettorale, niente impedisce all’operaio con la tessera rossa in tasca di mettere la croce sul simbolo del PdL o della Lega. E se Epifani è contrario all’abolizione dell’Ici sulla prima casa, peggio per lui: tumulate le ideologie, anche l’elettore in tuta blu sceglie chi presenta l’offerta politica più conveniente. Avere il sindacato a sinistra e il partito a destra non è più un controsenso.
© Libero. Pubblicato il 18 aprile 2008.