Il satrapo del Bahrein che fa la morale a Mosley
di Fausto Carioti
Lo sceicco Salman Bin Hamad Al Khalifa, principe ereditario del Bahrein e suprema autorità sportiva del suo Paese, ha dichiarato Max Mosley, numero uno della Federazione internazionale dell’automobile (Fia), «persona non grata». Il top manager inglese non potrà così recarsi in Bahrein per assistere al gran premio di Formula Uno in programma questo fine settimana, nonostante la Fia sia la federazione che organizza il grande circo Barnum dei motori. Lo sceicco ritiene Mosley un personaggio riprovevole, dopo che quest’ultimo è stato filmato da una banda di spioni e quindi sputtanato (è il caso di dirlo) in tutto il mondo, dove qualche miliardo di persone ha potuto vedere le immagini del sessantottenne boss della Formula Uno impegnato con un gruppo di ragazze in divisa durante quella che aveva tutta l’aria di essere un’orgetta fetish (un tempo si sarebbe detto “sadomaso”).
Non ci fosse di mezzo una cosa seria come la libertà, saremmo davanti alla burla dell’anno. Il Bahrein è uno statarello che conta meno di un milione di abitanti. Non è il posto peggiore del Medio Oriente, ma solo perché attorno ad esso ci sono alcuni tra i regimi più disumani del pianeta. Mantiene buoni rapporti con gli Stati Uniti e con altri Paesi occidentali, ma questo non impedisce alla sua casa regnante di far vivere i suoi sudditi in condizioni umilianti. Nelle classifiche stilate tutti gli anni dall’organizzazione Freedom House il Bahrein oscilla tra lo status di paese privo di libertà a quello di paese a libertà limitata. I partiti politici sono messi al bando, anche se a tre partiti islamici (uno sciita, due sunniti) è stato comunque permesso di presentarsi alle ultime elezioni. Ai lavoratori pubblici non è consentito il diritto di riunirsi in sindacato.
La costituzione stabilisce che la principale fonte di diritto è la sharia, la legge islamica, e questo, ovviamente, limita i diritti delle donne. Per potere svolgere la propria attività, ogni gruppo religioso è costretto a richiedere il permesso al ministero della Giustizia e degli Affari islamici. È vietato riunirsi liberamente, e gruppi anche piccoli di cittadini che vogliono incontrarsi per discutere di qualsiasi argomento devono ottenere l’autorizzazione dai ministri, incluso l’immancabile dicastero per gli Affari islamici. Il giudice supremo cui fanno capo tutte le controversie legali è re Hamad, padre del principe ereditario.
La libertà di stampa è repressa. Chi pubblica articoli ritenuti offensivi nei confronti dell’islam, del re o della «unità della nazione» è punito con la reclusione dai sei mesi ai cinque anni. Tutte le emittenti televisive e radiofoniche, ad eccezione di quelle via satellite, sono possedute dallo Stato. È in mano al governo anche la società Batelco, unico fornitore di accesso a Internet, che ovviamente blocca la visione dei siti contrari alla politica della casa reale e all’islam, nonché dei siti delle organizzazioni che difendono i diritti umani.
Quando, lo scorso settembre, un consulente del governo, Salah al Bandar, di nazionalità britannica, ha diffuso un rapporto in cui denunciava che funzionari governativi erano pronti a manipolare l’esito del voto che si sarebbe tenuto nel giro di poche settimane, allo scopo di penalizzare gli elettori sciiti, ai mezzi d’informazione è stato proibito di raccontare la notizia, e al Bandar è stato deportato in Inghilterra e accusato di spionaggio e furto. Decine di siti web sono stati chiusi dal governo perché si sono occupati della vicenda. Dulcis in fundo, fonti indipendenti come Amnesty International e Human Rights Watch raccontano di attivisti dei diritti umani minacciati e torturati, e riferiscono di numerosi abusi sui detenuti da parte della polizia.
La morale della storia è chiara: un piccolo satrapo che tratta gli abitanti del suo Paese come servi, specie se sono donne o hanno la sventura di non essere islamici, si permette di prendere a pesci in faccia, davanti a tutto il mondo, un ricco signore occidentale, colpevole di essersi divertito in privato con cinque signorine belle, adulte, consenzienti e senza dubbio ben remunerate. E nessuno - nemmeno Mosley - sembra avere il coraggio di mandare lo sceicco dove merita. Potenza dei petrodollari, dinanzi ai quali non c’è rivendicazione democratica che tenga. Prima un centro di ricerca occidentale trova un’alternativa decente al petrolio, meglio sarà. Non solo per le nostre tasche, ma anche per la libertà nel mondo.
© Libero. Pubblicato il 4 aprile 2008.
Lo sceicco Salman Bin Hamad Al Khalifa, principe ereditario del Bahrein e suprema autorità sportiva del suo Paese, ha dichiarato Max Mosley, numero uno della Federazione internazionale dell’automobile (Fia), «persona non grata». Il top manager inglese non potrà così recarsi in Bahrein per assistere al gran premio di Formula Uno in programma questo fine settimana, nonostante la Fia sia la federazione che organizza il grande circo Barnum dei motori. Lo sceicco ritiene Mosley un personaggio riprovevole, dopo che quest’ultimo è stato filmato da una banda di spioni e quindi sputtanato (è il caso di dirlo) in tutto il mondo, dove qualche miliardo di persone ha potuto vedere le immagini del sessantottenne boss della Formula Uno impegnato con un gruppo di ragazze in divisa durante quella che aveva tutta l’aria di essere un’orgetta fetish (un tempo si sarebbe detto “sadomaso”).
Non ci fosse di mezzo una cosa seria come la libertà, saremmo davanti alla burla dell’anno. Il Bahrein è uno statarello che conta meno di un milione di abitanti. Non è il posto peggiore del Medio Oriente, ma solo perché attorno ad esso ci sono alcuni tra i regimi più disumani del pianeta. Mantiene buoni rapporti con gli Stati Uniti e con altri Paesi occidentali, ma questo non impedisce alla sua casa regnante di far vivere i suoi sudditi in condizioni umilianti. Nelle classifiche stilate tutti gli anni dall’organizzazione Freedom House il Bahrein oscilla tra lo status di paese privo di libertà a quello di paese a libertà limitata. I partiti politici sono messi al bando, anche se a tre partiti islamici (uno sciita, due sunniti) è stato comunque permesso di presentarsi alle ultime elezioni. Ai lavoratori pubblici non è consentito il diritto di riunirsi in sindacato.
La costituzione stabilisce che la principale fonte di diritto è la sharia, la legge islamica, e questo, ovviamente, limita i diritti delle donne. Per potere svolgere la propria attività, ogni gruppo religioso è costretto a richiedere il permesso al ministero della Giustizia e degli Affari islamici. È vietato riunirsi liberamente, e gruppi anche piccoli di cittadini che vogliono incontrarsi per discutere di qualsiasi argomento devono ottenere l’autorizzazione dai ministri, incluso l’immancabile dicastero per gli Affari islamici. Il giudice supremo cui fanno capo tutte le controversie legali è re Hamad, padre del principe ereditario.
La libertà di stampa è repressa. Chi pubblica articoli ritenuti offensivi nei confronti dell’islam, del re o della «unità della nazione» è punito con la reclusione dai sei mesi ai cinque anni. Tutte le emittenti televisive e radiofoniche, ad eccezione di quelle via satellite, sono possedute dallo Stato. È in mano al governo anche la società Batelco, unico fornitore di accesso a Internet, che ovviamente blocca la visione dei siti contrari alla politica della casa reale e all’islam, nonché dei siti delle organizzazioni che difendono i diritti umani.
Quando, lo scorso settembre, un consulente del governo, Salah al Bandar, di nazionalità britannica, ha diffuso un rapporto in cui denunciava che funzionari governativi erano pronti a manipolare l’esito del voto che si sarebbe tenuto nel giro di poche settimane, allo scopo di penalizzare gli elettori sciiti, ai mezzi d’informazione è stato proibito di raccontare la notizia, e al Bandar è stato deportato in Inghilterra e accusato di spionaggio e furto. Decine di siti web sono stati chiusi dal governo perché si sono occupati della vicenda. Dulcis in fundo, fonti indipendenti come Amnesty International e Human Rights Watch raccontano di attivisti dei diritti umani minacciati e torturati, e riferiscono di numerosi abusi sui detenuti da parte della polizia.
La morale della storia è chiara: un piccolo satrapo che tratta gli abitanti del suo Paese come servi, specie se sono donne o hanno la sventura di non essere islamici, si permette di prendere a pesci in faccia, davanti a tutto il mondo, un ricco signore occidentale, colpevole di essersi divertito in privato con cinque signorine belle, adulte, consenzienti e senza dubbio ben remunerate. E nessuno - nemmeno Mosley - sembra avere il coraggio di mandare lo sceicco dove merita. Potenza dei petrodollari, dinanzi ai quali non c’è rivendicazione democratica che tenga. Prima un centro di ricerca occidentale trova un’alternativa decente al petrolio, meglio sarà. Non solo per le nostre tasche, ma anche per la libertà nel mondo.
© Libero. Pubblicato il 4 aprile 2008.