Da Legambiente al nucleare: la conversione (tardiva) di Chicco Testa

di Fausto Carioti

Chicco Testa scrive che «tra il lasciare il proprio figlio all’interno di una centrale nucleare e regalargli un motorino, la seconda scelta comporta rischi infinitamente superiori. Eppure regaliamo motorini ai nostri figli e scendiamo in piazza contro le centrali nucleari». Come tanti suoi compagni di strada, l’ex leader di Legambiente sbaglia di brutto: è convinto che chiunque di noi sia andato in piazza almeno una volta alzando cartelli col sole che ride. Classico errore della sua generazione: credere che non esistano percorsi politici al di fuori dei loro è un tratto tipico della presunzione sessantottina. Quanto al resto, però, Testa ha ragione: sull’ambiente e l’energia la sua generazione è responsabile di un disastro, e il prezzo adesso lo paghiamo tutti: famiglie, imprese e lavoratori. Lui, almeno, se ne è reso conto, e ci ha scritto sopra un libro appena uscito, che s’intitola “Tornare al nucleare?”, è pubblicato da Einaudi e costa 13,50 euro. Certo, ormai è tardi e il danno è stato fatto. Ma è sempre meglio una conversione sincera e tardiva che il perseverare nell’errore. E la metafora del motorino e della centrale ha il merito di andare dritta al punto: l’irrazionalità del «no» all’uso dell’energia atomica. Che, numeri alla mano, è una delle fonti più sicure e convenienti: l’Italia, unico Paese industrializzato a non avere reattori nucleari entro i propri confini, è anche quello con il costo dell’elettricità più alto e con le peggiori performance economiche.

Testa ha 56 anni. Bergamasco trapiantato nella Roma pariolina, fu tra i fondatori di Legambiente, quindi deputato eletto nelle liste del Pci-Pds. Poi - per decisione del sindaco Francesco Rutelli, suo amico - divenne presidente di Acea, l’azienda municipalizzata che fornisce acqua ed energia ai romani. Nel ’96 il governo dell’Ulivo lo fece presidente dell’Enel e gli affiancò Franco Tatò in qualità di amministratore delegato. Insieme sbagliarono parecchio, preferendo investire nei telefoni che nell’energia. Poco male: oggi Testa presiede un’altra azienda pubblica capitolina, Roma Metropolitane, ed è partner della banca Rothschild. Carriera esemplare di un figlio della sinistra italiana, iniziata col pugno alzato e i sit-in di protesta, proseguita nei consigli d’amministrazione delle società pubbliche e terminata in gloria in uno dei templi del capitalismo mondiale.

Ufficialmente, Testa non rinnega granché del suo passato. Certo, ammette di aver detto e scritto «stupidaggini», all’epoca, sul nucleare. Ma, memore dell’insegnamento che gli diede Giancarlo Pajetta («Un comunista può cambiare opinione, ma non pentirsi»), rifiuta di cospargersi il capo di cenere. Anche perché, sostiene, dagli anni Ottanta ad oggi sono successe cose che all’epoca erano imprevedibili: il mondo ha due miliardi di abitanti in più; le fonti “alternative” (solare, eolico e compagnia bella) si sono rivelate tali solo di nome; la battaglia antinucleare ha incentivato l’uso dei combustibili fossili, e quindi l’inquinamento dell’atmosfera. In realtà erano tutti sviluppi prevedibili, che gli stessi nuclearisti, tra le pernacchie di Legambiente e delle altre associazioni ecologiste, avevano calcolato: è curioso che il movimento ecologista, già allora specializzato nella produzione di scenari allarmistici, non avesse saputo immaginare i guai prodotti dalla rinuncia all’energia atomica.

Esemplare il modo in cui Testa liquida l’incidente di Chernobyl, sulla cui onda emotiva si votò il referendum del 1987. L’origine del disastro, scrive ora, «non va ricercata nel malfunzionamento delle centrali nucleari. Esso è piuttosto il simbolo del fallimento delle società sovietiche nel maneggiare tecnologie sofisticate con metodologie povere, con investimenti inadeguati, senza alcuna trasparenza e informazione sui rischi». Non male per uno che, subito dopo l’incidente al reattore, si fece eleggere in parlamento nelle liste del partito comunista italiano e contribuì a spostare il Pci su posizioni antinucleari.

Intendiamoci. Testa oggi non difende l’energia atomica con lo stesso fervore con cui la condannava vent’anni fa. Il suo è un approccio realista: «Non è spiegabile l’accanimento contro l’energia nucleare. Senza di essa, avremmo un aumento dell’inquinamento e un incremento dei costi dell’energia». Sensatamente, sostiene che «solo la cooperazione fra diverse fonti, ovvero una continua mitigazione dell’impatto di quelle fossili, lo sviluppo di fonti rinnovabili e l’uso efficiente dell’energia che già si produce, è in grado di rispondere ai nostri bisogni. Il nucleare è un pezzo importante di questa strategia». Ed è difficile dargli torto quando invita a non baloccarsi con slogan facili, tipo quelli sul nucleare di futura generazione, che è diventato la scappatoia di tanti politici, di destra come sinistra, e di molti ambientalisti: «Dichiararsi tartufescamente a favore di un’eventuale quarta generazione, per esprimere la propria contrarietà alle centrali esistenti, soprattutto quelle di nuova costruzione, significa impedire ogni progresso».

A conti fatti, Testa non nutre grandi illusioni: «Per alcuni anni ancora», scrive, sarà inutile proporre il ritorno al nucleare, poiché mancheranno le «condizioni politiche e istituzionali». L’Italia, «come al solito», prenderà atto di dove va il mondo «con qualche lustro di ritardo». Resta, comunque, il dato positivo: uno dei portavoce storici delle battaglie antinucleari oggi è ufficialmente sul fronte opposto. Testa può piacere o meno, ma proprio il suo passato ai vertici dell’ambientalismo “de noantri” e le sue radici di sinistra ne fanno una presenza importante tra chi, usando argomenti razionali e non ideologici, chiede il ritorno dell’energia atomica.

© Libero. Pubblicato il 9 aprile 2008.

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