Abbiamo atteso lo scatto di Veltroni. Inutilmente

di Fausto Carioti

E il botto? Lo abbiamo aspettato col fiato sospeso tutti quanti, i suoi elettori per primi. Attesa inutile: il gesto epocale non c’è stato. Walter Veltroni doveva fare «boom». Si è limitato a fare «plof». La sua campagna elettorale è finita come era iniziata: «troppo flaccida», per riprendere le parole usate qualche settimana fa dal professor Giovanni Sartori. Nessuna scossa, nessun lampo di genio, nessun guizzo decisivo al novantesimo minuto, come era lecito sperare. Tramortito da Romano Prodi, il popolo di sinistra aveva bisogno di un caffè triplo per ricominciare a sperare. Il sindaco di Roma gli ha servito - con molto garbo, per carità - un brodino vegetale, tiepidino e sciapetto. Nemmeno l’ombra della proposta che spariglia, l’equivalente dell’abolizione dell’Ici sulla prima casa, sparata da Silvio Berlusconi all’ultimo minuto della campagna elettorale del 2006 e rivelatasi decisiva per pareggiare i conti con l’Unione e segnare il destino della legislatura che si stava per aprire.

Già a fine marzo Massimo D’Alema gli aveva suonato la sveglia. Lo slogan scelto da Walter, «si può fare», traduzione di quel «yes, we can» con cui Barak Obama ha asfaltato Hillary Clinton, era «moscio, vago», gli aveva spiegato Baffino. Ci voleva più testosterone. Pierluigi Bersani aveva invitato in pubblico Veltroni a «dare un colpo di reni», a «cambiare passo», perché «una certa fascia di elettorato», quella moderata, seguitava a ignorare il partito democratico. Europa, quotidiano della Margherita, gli aveva chiesto «coraggio fisico» e consigliato di andare in Campania, «luogo del fallimento del centrosinistra», a riconoscere, davanti alle cataste di «munnezza», tutte le responsabilità della sua parte politica. Prime avvisaglie del terremoto cui assisteremo se lunedì sera Veltroni non avrà raggranellato almeno il 35% dei voti.

La verità è che il colpo in canna lui era convinto di averlo. Solo che il proiettile si è rifiutato di partire. Il botto di Veltroni doveva essere l’annuncio di una squadra di ministri vip, con Mario Monti a fare da ciliegina nel ruolo di ministro dell’Economia. Chiamatosi fuori in largo anticipo Luca Cordero di Montezemolo, altri nomi forti, per il ministero di via Venti Settembre, a sinistra non ne esistono: Tommaso Padoa Schioppa, ammesso che intenda fare il bis, ha la colpa grave di essere stato il principale ministro del disastroso governo Prodi. Vincenzo Visco, non ne parliamo. Ma Monti si è letto i sondaggi e ha capito che, accettando prima del voto, rischiava seriamente di andare a schiantarsi contro un muro. Così ha declinato. La stessa cosa ha fatto Anna Maria Artoni, numero uno della Confindustria emiliano-romagnola ed ex presidente dei Giovani di viale dell’Astronomia. Veltroni la vedeva bene alla guida delle Attività produttive. Pure lei è stata corteggiata inutilmente sino a poche ore fa.

Riletta adesso, la cronologia delle buone intenzioni di Veltroni è avvilente. Anticipò il suo piano il 13 febbraio a Porta a Porta: «Annuncerò sicuramente parte dei ministri in campagna elettorale». Il 21 marzo ribadiva alle “Invasioni barbariche” che «qualche nome lo farò prima del 13 aprile». Ma ancora silenzio. La gelata è arrivata il 29 marzo. A domanda diretta su chi avrebbe guidato l’Economia nel suo ipotetico governo, Veltroni rispondeva: «In nessun paese si fanno nomi prima delle elezioni». Così, arrivati al voto, l’unico ministro annunciato è Ileana Argentin, ex delegata all’handicap per il comune di Roma, scelta per un dicastero ancora da definire e comunque secondario. Fallimento completo, insomma.

Anche perché il leader del Pd non è riuscito a far passare alcun altro messaggio forte. L’immagine di discontinuità con la maggioranza che ha affossato Prodi, alla quale Veltroni tiene tanto, in gran parte se l’è giocata imbarcando Di Pietro e i radicali. E su tutti i temi del giorno, nel bene e nel male, ha dettato legge Berlusconi. Alitalia, precari, accuse al Quirinale, persino Francesco Totti: gli argomenti di questa campagna elettorale li ha scelti il Cavaliere, anche a costo di attirare critiche su di sé. A Veltroni non è rimasto che accodarsi e cercare di ritorcere contro Berlusconi le sue stesse uscite. Finendo per fare il gioco dell’avversario.

© Libero. Pubblicato il 13 aprile 2008.

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