Calearo sconfitto anche in casa sua

di Fausto Carioti

Uomo d’impresa, «uomo del fare», come lui stesso si definisce con orgoglio, Massimo Calearo durante la campagna elettorale si era rimboccato le maniche. Aveva lavorato duro, da bravo veneto. Alla fine, dopo aver tanto seminato, era pronto a raccogliere. «Si sente aria di nuovo, c’è tanta gente che non avrebbe mai votato per il Pd, e che invece lo ha fatto, anche per la mia presenza. E molti che votavano Forza Italia sono venuti con noi», gongolava domenica l’ex presidente di Federmeccanica davanti al taccuino del giornalista di Repubblica. Raccontava che persino suo padre, l’ottantenne Alessio, che aveva sempre votato per il centrodestra, si era convinto e aveva messo la croce sul simbolo del Partito democratico. Cosa non si fa per i figli. Del resto, era proprio per la sua capacità di rastrellare voti laddove il Pd non ne avrebbe mai presi che Walter Veltroni aveva voluto candidare a tutti i costi il cinquantatreenne Massimo alla Camera e lo aveva messo capolista nel Nordest, nella tosta circoscrizione “Veneto 1”, che raggruppa le province di Padova, Rovigo, Verona e Vicenza. Il giorno in cui annunciò la candidatura di Calearo, Veltroni sorrise e scandì bene le parole: «Sì, si può vincere. Si può fare la più grande rimonta della storia politica italiana». Già, la «rimonta spettacolare» di Veltroni. Calearo ci credeva e da quel momento in poi ha parlato da ministro per il Nordest, incarico che Veltroni gli aveva promesso dopo averlo inventato appositamente per lui.

Oddio, qualcuno a sinistra aveva provato a smorzare gli entusiasmi veltroniani. Quella Cassandra barbuta di Massimo Cacciari, ad esempio, aveva avvertito: «Non credo che Calearo possa spostare un solo voto verso di noi. La somma algebrica di qualcosa recuperato a destra e di qualche voto perso a sinistra sarà zero». Era apparso un editoriale perplesso anche su Europa, il quotidiano della Margherita: «Calearo, come le giovani capilista in altre regioni, come l’operaio piemontese, non sono altro che trovate comunicative, modalità utilizzate dal leader del Pd per far parlare i media. Nessuno, singolarmente, sposterà molto più del voto dei propri parenti». Ma erano voci flebili, coperte dalla “ola” assordante che i nove decimi dell’informazione italiana mettevano in scena ogni giorno per Veltroni e il suo grande sogno progressista: «Si può fare».

Insomma, sembrava andare tutto per il meglio. Mancava solo l’ultimo dettaglio: gli elettori. Nel bar del suo paese, racconta sempre Repubblica, la domenica delle elezioni Calearo si era lasciato andare: ci sono «ottimi segnali», aveva confidato agli amici. Poi si sono chiusi i seggi, le urne sono state aperte, sono stati fatti gli scrutini e finalmente si è potuto toccare con mano l’“effetto Calearo”. Che adesso è misurabile da chiunque, sul sito del ministero dell’Interno che riporta i risultati del voto. Iniziamo da Costabissara, il paese di Calearo, quello dove c’è il bar in cui il fiore all’occhiello di Veltroni prendeva il caffè e faceva razzia di elettori. Ecco, in questo paesino del vicentino che conta 4.420 votanti, il Pd ha preso 1.198 voti, il 27,1% del totale. Il “valore aggiunto” di Calearo lo si deduce facendo il raffronto con i voti che l’Ulivo ottenne qui nel 2006: furono 1.093. Stavolta il Pd (che intanto ha inglobato i radicali, due anni fa candidati sotto il simbolo della Rosa nel pugno) ne ha ottenuti 105 in più. I «molti» che prima votavano Forza Italia e grazie a Calearo hanno scelto il Pd debbono essere loro: forse il giornale della Margherita aveva ragione, quando parlava dei parenti dei candidati di Veltroni. Purtroppo, però, i voti di babbo Alessio, degli altri congiunti e degli amici del baretto non sono bastati a fare del Pd il primo partito del paese. Anche qui, in casa di Calearo, ha stravinto Silvio Berlusconi: il PdL ha ottenuto 1.231 voti, e assieme alla Lega è stato scelto dal 53% degli elettori.

Poi, allargando il compasso, c’è la provincia di Vicenza, sede delle attività del gruppo Calearo, che produce antenne per automobili. Al capolista del Pd non è andata molto meglio. Anzi. Il suo partito ha preso il 25% dei voti. L’Ulivo, due anni fa, ne ottenne il 24,8%. Il guadagno è stato irrisorio, appena dello 0,2%, e chissà se è dovuto all’ingresso di Marco Pannella nel Pd o al fascino esercitato da Calearo sugli elettori. Anche qui, solita vittoria a man bassa del PdL, che è il primo partito, e della Lega, che insieme hanno incassato il 56,6% dei voti. Non resta che misurare il peso elettorale del nostro imprenditore nell’intera circoscrizione elettorale. Nell’inquieto Nordest, nel 2006, l’Ulivo ottenne il 26,1% dei voti. Stavolta il Pd, con Calearo capolista, è arrivato al 25,6%. Insomma, si è registrata una perdita di mezzo punto percentuale, pari a 26.500 voti.

Calearo, però, è felice lo stesso. Sul suo sito web scrive che «il Partito democratico deve partire dai buoni risultati del Veneto, dove si misurava la sua capacità di aprire una breccia nel muro del Nord, per costruire il proprio futuro». Buoni risultati: quando si dice la forza dell’ottimismo.

© Libero. Pubblicato il 17 aprile 2008.

Nota: l'articolo qui sopra riprende i dati già scritti in questo post, dove sono stati inseriti tutti i link ai dati del ministero dell'Interno.

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