Un governo impresentabile, privo di rispetto per le istituzioni, nemico dei sindacati (ricorda qualcuno?)

di Fausto Carioti

Alla fine, Romano Prodi ha trovato il modello cui ispirarsi: Silvio Berlusconi. Non quello che parla al Congresso degli Stati Uniti, e nemmeno quello che passeggia nella villa in Sardegna mano nella mano con le fanciulle o fa il galante con Mara Carfagna (per certe cose ci vuole faccia tosta, e la faccia di Prodi è di un altro tipo). Ma il Berlusconi dipinto dalla sinistra nei cinque anni in cui è stato al governo: scomposto, impresentabile, privo di rispetto per le istituzioni, incapace di risparmiarsi una gaffe dietro l'altra, portato allo scontro sociale. Proprio come fanno in questi giorni Prodi e i suoi ministri.

Solo nelle ultime quarantott'ore il leader dell'Unione ha inanellato una doppietta che manco il Berlusconi più ruspante, quello del 1994, sarebbe riuscito a mettere a segno. È riuscito a fare incavolare sia il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, sia le confederazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil. Che poi, a differenza di Berlusconi, lui non ha manco l'alibi di poter dire che gli sono tutti nemici. Bertinotti fino a pochi giorni fa era pronto a portargli l'acqua con le orecchie: pur di dargli la poltrona di presidente della Camera, Prodi infatti non aveva esitato a lasciare a bocca asciutta Massimo D'Alema, il quale avrebbe preferito la guida di Montecitorio alla Farnesina. E D'Alema non è uno che certe cose le sappia prendere con umorismo.

Eppure il presidente del Consiglio è riuscito a produrre uno scatto d'orgoglio in Bertinotti. Prodi si è lamentato del fatto che le Camere lavorano poco e, dall'avvio della legislatura, hanno approvato pochissime norme. Su 104 disegni di legge varati dal consiglio dei ministri, solo 10 sono stati approvati, ha protestato il premier. Questo per colpa, a suo dire, di un'interpretazione «eccessivamente estensiva dei regolamenti parlamentari». Un'accusa dura ai presidenti delle Camere, insomma. Di quelle che, se le avesse fatte Berlusconi, le vestali della sinistra avrebbero gridato al disprezzo della democrazia parlamentare.

È vero che il Parlamento lavora al rallentatore. Durante il primo anno di vita del governo Prodi sono state approvate solo 37 leggi, contro le 72 del primo anno della scorsa legislatura. E tra Camera e Senato si sono svolte 315 sedute, 25 in meno rispetto ai primi dodici mesi del governo Berlusconi. Ma Prodi non può lamentarsene. Al contrario, deve solo ringraziare: se mai come in questa legislatura i parlamentari hanno avuto tanto tempo libero da dedicare a coniugi, figli e amanti, è perché, ogni volta che si vota una proposta di legge, Prodi rischia di finire a casa, e con lui tutto il governo e l'intero Parlamento. I tempi lunghi di Camera e Senato, insomma, servono a salvargli la pelle: come vanno ripetendo i capigruppo dell'Unione, è meglio tirare a campare che tirare le cuoia. Se davvero i lavori del Parlamento inizieranno a marciare a passo più spedito, come ha chiesto ieri Giorgio Napolitano intervenendo nella polemica tra i due leader della sinistra, Prodi sarà il primo a doversene preoccupare.

Dare la colpa dei guai del centrosinistra alla legge elettorale introdotta dalla Cdl, come fa in pubblico l'Unione, può convincere gli elettori più gonzi, ma nei palazzi della politica tutti sanno che si tratta di un alibi taroccato: il "porcellum" di Roberto Calderoli ha garantito a Prodi vita facile alla Camera malgrado la vittoria esigua, grazie al premio di maggioranza, e gli ha consegnato il Senato nonostante alle elezioni la Cdl abbia ottenuto 400mila voti in più.

Preso a pesci in faccia, Bertinotti ha reagito. Alquanto alterato, ha spiegato a Prodi che non può giudicare il confronto politico una perdita di tempo, «specie quando in uno dei due rami del Parlamento la maggioranza è risicata». Tradotto dal politichese: è inutile che fingi di indignarti, sai benissimo che lo stiamo facendo per te. Alla fine i due si sono sentiti per telefono e Prodi si è rimangiato tutto, giurando che in realtà ce l'aveva con la Casa delle libertà. Non è vero, ma fa niente. È il solito copione: nel centrosinistra litigano su tutto e per fare pace sono costretti ad attaccare Berlusconi, unica cosa sulla quale sono d'accordo.

Anche Cgil, Cisl e Uil, al pari di Bertinotti, non possono certo essere considerate avversarie dell'Ulivo. Il sindacato di Guglielmo Epifani, in particolare, è del tutto organico alla sinistra. Eppure hanno annunciato che intendono far scioperare e mandare in piazza, il primo giugno, i 3 milioni e mezzo di dipendenti statali in attesa di contratto, scaduto alla fine del 2005. Tra qualche tempo potrebbero fare lo stesso anche contro la riforma della previdenza: la Fiom di Gianni Rinaldini, ala dura della Cgil, chiede di non fare sconti al governo "amico" e già spinge per lo sciopero generale in difesa delle pensioni. Spiazzato, Prodi non ha trovato di meglio che recuperare quel linguaggio che, in bocca a Berlusconi, la sinistra giudicava eversivo, antisociale e pericoloso: «Lo sciopero», ha detto il presidente del Consiglio, «non deve diventare arma di ricatto». Beccandosi così la lezioncina di democrazia da parte dei sindacati: «Stiamo facendo tutto alla luce del sole. Sentire parlare di ricatto addolora, anche se non sorprende, visto lo stato confusionale che avvertiamo dall'altra parte».

Le indiscrezioni trapelate da palazzo Chigi raccontano che il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa Schioppa, abbia gelato così i suoi colleghi che gli chiedevano più soldi per gli statali: «Non un euro in più, mi spiace. E se poi i sindacati faranno sciopero, che male c'è?». Ora, uno che dice cose tali da far sembrare Giulio Tremonti (che agli statali concesse fior di aumenti) un fanatico della concertazione sociale può anche ispirare simpatia. Solo che chi ha votato per il centrosinistra tutto si aspettava tranne che di trovare alla scrivania di Quintino Sella il clone cattivo del ministro più detestato del governo Berlusconi. E poi Prodi è stato scelto dagli elettori anche perché si era impegnato a chiudere l'epoca dei conflitti sociali e degli scioperi a raffica, a suo dire causati dalle politiche della Cdl. Di certo, piangere miseria stavolta non funzionerà: l'economia e il gettito fiscale hanno ripreso a tirare (da prima delle elezioni politiche) e nelle casse dello Stato ci sono più soldi del previsto.

Mentre Prodi litigava con Bertinotti sul ruolo del Parlamento, il suo ministro dell'Interno, Giuliano Amato, si lamentava per la scarsa efficienza dei magistrati. A Napoli, spiegava, «abbiamo fermato 1.500 persone», ma il procuratore capo gli ha risposto di non avere la «capacità materiale» di sbrigare tutto il lavoro in 48 ore, come dovrebbe fare secondo la legge. Quanto alla violenza negli stadi, ha attaccato Amato, è inutile arrestare i teppisti se poi, invece di processarli subito come avviene in Inghilterra, «dopo tre ore sono di nuovo fuori a passeggiare». Insomma, ci sono «pezzi dello Stato che non funzionano», e che non collaborano come dovrebbero. Tutte cose vere, per carità. Ma sono le stesse cose che il governo Berlusconi ha denunciato per cinque anni, spernacchiato dal centrosinistra che si scandalizzava per la continua delegittimazione della magistratura. Chissà se si sono resi conto, Prodi e i suoi, di essere diventati la caricatura del loro peggior nemico.

© Libero. Pubblicato il 19 maggio 2007.

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