Festa mesta
di Fausto Carioti
Compiere un anno e puzzare già di morto. È uno dei tanti primati del governo Prodi, che si va ad aggiungere a quelli già noti: numero record di ministri, viceministri e sottosegretari (102 in tutto, necessari per tenere a bada le mille anime contrapposte dell’Unione); innalzamento record della pressione fiscale (una vessazione inutile, tant’è vero che adesso hanno tra le mani un “tesoretto” che non sanno come usare); crollo record in ogni possibile sondaggio (16 punti di consenso persi in 13 mesi, rinfacciava ieri Daniele Capezzone ai suoi alleati); immobilismo da record in Parlamento, dove per paura di prendere schiaffi si è deciso a tavolino di lasciare il Senato disoccupato (117 ore in meno di lavoro a palazzo Madama rispetto alla precedente legislatura e solo 37 leggi approvate, contro le 72 di cinque anni fa). Oltre, s’intende, alle tante figure tristi rimediate in giro per il mondo in questi 365 giorni, dalla bocciatura della candidatura italiana ai campionati europei di calcio del 2012 alla decisione di non pagare la quota per il Fondo internazionale per la lotta ad Aids, tubercolosi e malaria: scelta che, secondo le organizzazioni terzomondiste, costa 443 vite umane al giorno, ma a sinistra nessuno sembra perderci il sonno.
Festa mesta, dunque. Al quadro a tinte rosa pastello dipinto da Prodi ieri al termine del consiglio dei ministri non credono nemmeno i suoi alleati. La debolezza del governo non è certificata dalle accuse del centrodestra, ma dal volo degli avvoltoi della stessa maggioranza sopra palazzo Chigi. Il premier sperava di calmare le acque lanciando il partito democratico, ma ha ottenuto l’effetto opposto. A distanza di poche ore, Clemente Mastella e Walter Veltroni gli hanno presentato il conto. Mastella e l’Udeur hanno scelto il gesto clamoroso, rifiutandosi di votare la legge sul conflitto d’interessi con cui la sinistra vuole rendere ineleggibile Silvio Berlusconi. Tanto è bastato all’Unità per strillare che «Mastella apre una mezza crisi», e per una volta è tutto vero. Il Guardasigilli non si è mosso per simpatia verso Berlusconi: la sua paura è che, con il referendum o tramite un accordo tra il partito democratico e Forza Italia, venga varata una legge elettorale che penalizzi i piccoli. Cosa fare, lui già lo sa. Se non otterrà da Prodi le garanzie che vuole, farà saltare governo e legislatura: a casa di Mastella nisciuno è fesso. I primi segnali non promettono bene: Prodi ieri ha detto che la “verifica” di maggioranza chiesta dall’Udeur è inutile, e chissà che presto non debba pentirsene. Intanto, aumma aumma, in vista delle amministrative Mastella ha alleato il suo partito con la Cdl in molti Comuni campani.
Veltroni, invece, per scavalcare Prodi ha scelto la strategia del sorriso. Nel primo compleanno dell’esecutivo ha inviato a nove ministri una lettera sulle cose da fare a Roma e nelle grandi città. A tutti è parsa un programma buonista di governo, alternativo a quello del Professore: abolizione dell’Ici sulla prima casa (Prodi è contrario), sostegni economici ai bambini e agli anziani in difficoltà, diritto di voto agli stranieri, reddito minimo di cittadinanza (vecchia idea della sinistra radicale). Per inciso: Veltroni e Mastella condividono la stessa diagnosi drammatica sul partito democratico e sul percorso imboccato da Prodi. E Mastella non vedrebbe male il trasloco di Walter dal Campidoglio a palazzo Chigi. Legge elettorale permettendo, s’intende.
Pur di fare arrivare vivo il governo al primo compleanno, il centrosinistra ha tenuto lontani da palazzo Chigi i provvedimenti più pericolosi. I quali, però, prima o poi sbarcheranno nell’aula di palazzo Madama. La norma più controversa, quella sui Dico, è bloccata in commissione Giustizia, presieduta dall’ex ds Cesare Salvi, che è orientato a usare come base per la discussione sul riconoscimento delle coppie di fatto non il testo firmato dalle ministre Bindi e Pollastrini, ma la proposta elaborata dal forzista Alfredo Biondi. Tanto, nessuno crede che il disegno di legge Bindi-Pollastrini potrà mai essere varato. Nell’Unione c’è paura persino per la legge sul cognome da dare ai figli, che presto sarà discussa in aula. Dietro di essa, i moderati vedono - non senza qualche ragione - un’ideologia nemica della famiglia. In bilico anche le sorti del disegno di legge sul riordino delle autonomie locali, che prevede la concessione del voto agli immigrati per le elezioni amministrative. Lontani, all’orizzonte, si intravedono intanto la norma sul conflitto d’interessi (che dopo il blitz dell’Udeur è stata messa nel surgelatore di Montecitorio) e il disegno di legge di riforma delle pensioni, che il governo vuole varare nel giro di poche settimane (lì i dolori saranno con l’ala sinistra dell’Unione).
Tutti questi passaggi parlamentari saranno resi più impervi dal fatto che ventuno deputati e dodici senatori sono usciti dall’Ulivo per entrare in Sinistra democratica, il cartello degli ex ds cui ripugna l’idea di fondersi con gli ex dc della Margherita. Tra loro ci sono un ministro (Fabio Mussi), un vicepresidente del Senato (Gavino Angius) e un presidente di commissione (Salvi, dimissionario). Non bastasse, a logorare la sinistra ci si è messa la guerra per il controllo della Rai. Con Prodi, il ministro dell’Economia Padoa-Schioppa e i piccoli partiti intenzionati a mandare a casa l’intero consiglio d’amministrazione, compreso il presidente, il ds Claudio Petruccioli, blindato invece dal suo partito e dalla Margherita. Guarda caso, le due sigle politiche che hanno dato vita al partito democratico. Tra le quali, però, volano gli insulti ogni volta che si parla di politiche per la famiglia e di questioni bioetiche.
Aggiungere sondaggi come quello pubblicato ieri dal Sole 24 Ore, secondo il quale il 55% degli italiani è deluso da Prodi, il 63% boccia la politica fiscale del governo, il 58% ritene negativa la sua politica della sicurezza e il 67% giudica dannose le scelte fatte sull’immigrazione, e miscelare con le rilevazioni che danno il centrosinistra messo male in gran parte dei capoluoghi in cui si vota tra nove giorni. Ora abbiamo un quadro chiaro su come questi dodici mesi di governo hanno cambiato l’Italia.
© Libero. Pubblicato il 18 maggio 2007.
Compiere un anno e puzzare già di morto. È uno dei tanti primati del governo Prodi, che si va ad aggiungere a quelli già noti: numero record di ministri, viceministri e sottosegretari (102 in tutto, necessari per tenere a bada le mille anime contrapposte dell’Unione); innalzamento record della pressione fiscale (una vessazione inutile, tant’è vero che adesso hanno tra le mani un “tesoretto” che non sanno come usare); crollo record in ogni possibile sondaggio (16 punti di consenso persi in 13 mesi, rinfacciava ieri Daniele Capezzone ai suoi alleati); immobilismo da record in Parlamento, dove per paura di prendere schiaffi si è deciso a tavolino di lasciare il Senato disoccupato (117 ore in meno di lavoro a palazzo Madama rispetto alla precedente legislatura e solo 37 leggi approvate, contro le 72 di cinque anni fa). Oltre, s’intende, alle tante figure tristi rimediate in giro per il mondo in questi 365 giorni, dalla bocciatura della candidatura italiana ai campionati europei di calcio del 2012 alla decisione di non pagare la quota per il Fondo internazionale per la lotta ad Aids, tubercolosi e malaria: scelta che, secondo le organizzazioni terzomondiste, costa 443 vite umane al giorno, ma a sinistra nessuno sembra perderci il sonno.
Festa mesta, dunque. Al quadro a tinte rosa pastello dipinto da Prodi ieri al termine del consiglio dei ministri non credono nemmeno i suoi alleati. La debolezza del governo non è certificata dalle accuse del centrodestra, ma dal volo degli avvoltoi della stessa maggioranza sopra palazzo Chigi. Il premier sperava di calmare le acque lanciando il partito democratico, ma ha ottenuto l’effetto opposto. A distanza di poche ore, Clemente Mastella e Walter Veltroni gli hanno presentato il conto. Mastella e l’Udeur hanno scelto il gesto clamoroso, rifiutandosi di votare la legge sul conflitto d’interessi con cui la sinistra vuole rendere ineleggibile Silvio Berlusconi. Tanto è bastato all’Unità per strillare che «Mastella apre una mezza crisi», e per una volta è tutto vero. Il Guardasigilli non si è mosso per simpatia verso Berlusconi: la sua paura è che, con il referendum o tramite un accordo tra il partito democratico e Forza Italia, venga varata una legge elettorale che penalizzi i piccoli. Cosa fare, lui già lo sa. Se non otterrà da Prodi le garanzie che vuole, farà saltare governo e legislatura: a casa di Mastella nisciuno è fesso. I primi segnali non promettono bene: Prodi ieri ha detto che la “verifica” di maggioranza chiesta dall’Udeur è inutile, e chissà che presto non debba pentirsene. Intanto, aumma aumma, in vista delle amministrative Mastella ha alleato il suo partito con la Cdl in molti Comuni campani.
Veltroni, invece, per scavalcare Prodi ha scelto la strategia del sorriso. Nel primo compleanno dell’esecutivo ha inviato a nove ministri una lettera sulle cose da fare a Roma e nelle grandi città. A tutti è parsa un programma buonista di governo, alternativo a quello del Professore: abolizione dell’Ici sulla prima casa (Prodi è contrario), sostegni economici ai bambini e agli anziani in difficoltà, diritto di voto agli stranieri, reddito minimo di cittadinanza (vecchia idea della sinistra radicale). Per inciso: Veltroni e Mastella condividono la stessa diagnosi drammatica sul partito democratico e sul percorso imboccato da Prodi. E Mastella non vedrebbe male il trasloco di Walter dal Campidoglio a palazzo Chigi. Legge elettorale permettendo, s’intende.
Pur di fare arrivare vivo il governo al primo compleanno, il centrosinistra ha tenuto lontani da palazzo Chigi i provvedimenti più pericolosi. I quali, però, prima o poi sbarcheranno nell’aula di palazzo Madama. La norma più controversa, quella sui Dico, è bloccata in commissione Giustizia, presieduta dall’ex ds Cesare Salvi, che è orientato a usare come base per la discussione sul riconoscimento delle coppie di fatto non il testo firmato dalle ministre Bindi e Pollastrini, ma la proposta elaborata dal forzista Alfredo Biondi. Tanto, nessuno crede che il disegno di legge Bindi-Pollastrini potrà mai essere varato. Nell’Unione c’è paura persino per la legge sul cognome da dare ai figli, che presto sarà discussa in aula. Dietro di essa, i moderati vedono - non senza qualche ragione - un’ideologia nemica della famiglia. In bilico anche le sorti del disegno di legge sul riordino delle autonomie locali, che prevede la concessione del voto agli immigrati per le elezioni amministrative. Lontani, all’orizzonte, si intravedono intanto la norma sul conflitto d’interessi (che dopo il blitz dell’Udeur è stata messa nel surgelatore di Montecitorio) e il disegno di legge di riforma delle pensioni, che il governo vuole varare nel giro di poche settimane (lì i dolori saranno con l’ala sinistra dell’Unione).
Tutti questi passaggi parlamentari saranno resi più impervi dal fatto che ventuno deputati e dodici senatori sono usciti dall’Ulivo per entrare in Sinistra democratica, il cartello degli ex ds cui ripugna l’idea di fondersi con gli ex dc della Margherita. Tra loro ci sono un ministro (Fabio Mussi), un vicepresidente del Senato (Gavino Angius) e un presidente di commissione (Salvi, dimissionario). Non bastasse, a logorare la sinistra ci si è messa la guerra per il controllo della Rai. Con Prodi, il ministro dell’Economia Padoa-Schioppa e i piccoli partiti intenzionati a mandare a casa l’intero consiglio d’amministrazione, compreso il presidente, il ds Claudio Petruccioli, blindato invece dal suo partito e dalla Margherita. Guarda caso, le due sigle politiche che hanno dato vita al partito democratico. Tra le quali, però, volano gli insulti ogni volta che si parla di politiche per la famiglia e di questioni bioetiche.
Aggiungere sondaggi come quello pubblicato ieri dal Sole 24 Ore, secondo il quale il 55% degli italiani è deluso da Prodi, il 63% boccia la politica fiscale del governo, il 58% ritene negativa la sua politica della sicurezza e il 67% giudica dannose le scelte fatte sull’immigrazione, e miscelare con le rilevazioni che danno il centrosinistra messo male in gran parte dei capoluoghi in cui si vota tra nove giorni. Ora abbiamo un quadro chiaro su come questi dodici mesi di governo hanno cambiato l’Italia.
© Libero. Pubblicato il 18 maggio 2007.