Gente di facili costumi

di Fausto Carioti

Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. Nel dubbio su chi scegliere, la sinistra italiana va con tutti. Pasionarie socialiste e machos destrorsi, celoduristi padani e timidi professori di diritto costituzionale, parrocchiani devoti e anticlericali blasfemi: con ognuno di loro i leader dell'Unione riescono a trovare un motivo buono per fare un giro insieme. Insomma, stavolta non è la solita faccenda che dentro l'Unione convivono le voci più dissonanti, dal thatcheriano Daniele Capezzone agli adoratori di Fidel Castro. Questo è uno spettacolo nuovo: dagli schizzi di fango tra compagni si è passati alla schizofrenia clinica, dalle molte personalità si è arrivati alla personalità multipla.

Tipo quella di Romano Prodi. Prima ha tirato la carretta per Ségolène Royal, la candidata socialista alle elezioni presidenziali francesi, tanto bella e determinata quanto politicamente inconsistente. Nei giorni cruciali della campagna elettorale lui le ha inviato un messaggio di appoggio, invitandola ad unire le forze dei centristi e della sinistra: «Insieme potete diventare la nuova maggioranza della Francia e possiamo divenire insieme, nel 2009, la nuova maggioranza dell'Europa». Niente di strano: la Royal condivide molte idee con la sinistra italiana. E poi ha il valore aggiunto di essere donna, e questo fa ancora più progressista. Ma al ballottaggio, come noto, la maggioranza dei francesi, donne comprese, ha lasciato l'amica di Prodi al 47%. Il restante 53% dei voti se lo è preso quello per cui faceva il tifo la Casa delle Libertà: Nicolas Sarkozy. Uno che vuole dare un giro di vite all'immigrazione e usare il pugno di ferro nei confronti dei violenti, in gran parte arabi, che da mesi dettano legge nelle periferie francesi.

A questo punto si assiste alla metamorfosi. Prodi guarda bene questo Sarkozy e si accorge che anche il maschio dominante ha il suo porco fascino. Così da palazzo Chigi parte un altro messaggio alla volta di Parigi. Stavolta però il destinatario è l'uomo nuovo della destra, al quale Prodi comunica «le più sincere, amichevoli ed affettuose felicitazioni» per la «bella vittoria» ottenuta contro la Royal. «Continueremo a guardare a te personalmente come un amico», recita il biglietto d'amore. È come entrare allo stadio Olimpico per assistere al derby con la maglia della Roma e uscire festeggiando perché ha vinto la Lazio: come minimo ti prendono per un dissociato mentale.

I facili costumi politici del presidente del consiglio sono confermati dalla vicenda del referendum elettorale. Prodi sta facendo numeri da circo per tenersi buona la Lega. Il margine di sopravvivenza del governo al Senato è quasi inesistente e il premier ha un bisogno disperato di garantirsi, se non l'appoggio esplicito, almeno la non belligeranza strisciante del Carroccio. Così è iniziato un lavoro di adescamento da parte di Prodi che, in prima persona, ha incontrato Umberto Bossi. Il presidente del Consiglio ha promesso al Senatùr che entro il 25 luglio palazzo Madama approverà una nuova legge elettorale. È l'ultima data buona per bloccare quel referendum che cambierebbe il sistema elettorale in senso maggioritario e ridurrebbe i partiti piccoli, tra cui la Lega, al lumicino. Prodi ha persino mostrato interesse per la creazione di un Senato federale. Solo che, mentre lui promette a Bossi mari e monti, i suoi uomini sono in prima linea tra i promotori dello stesso referendum. Il ministro per la Difesa Arturo Parisi e il deputato ulivista Mario Barbi fanno parte del comitato referendario, al quale ha collaborato pure Giulio Santagata, ministro per l'Attuazione del programma. Si può credere alle promesse di uno simile? Ovviamente no, e infatti Bossi, pur costretto a trattare con Prodi, va in giro a parlarne peggio di prima.

Anche Piero Fassino ci mette del suo. I Ds, in attesa di sciogliersi nel partito democratico, si stanno battendo per l'introduzione dei Dico, il riconoscimento giuridico delle coppie di fatto etero ed omosessuali. Molti diessini il 12 maggio saranno in piazza Navona, per manifestare contro il Family day organizzato dai cattolici contrari al disegno di legge sui Dico, che porta la firma del ministro ds Barbara Pollastrini. In un mondo normale, Fassino sarebbe con quelli di piazza Navona. Però il segretario ha paura. Sta per convolare a nozze con i cattolici della Margherita e preferisce volare basso. Anzi, rasoterra. E fa sapere che quel giorno non scenderà in piazza né con chi difende la proposta di legge del suo governo, né con chi la vuole affossare. Assicura che guarderà «senza ostilità, anzi con attenzione», quello che accadrà al Family day, dove, dice Fassino, «ci sono obiettivi e proposte» che si sente persino di «condividere».

Così l'unico diessino non schierato, quel giorno, sarà il segretario del partito. Tutti gli altri sanno benissimo dove andare e per chi tifare. Del resto, al congresso di Firenze, dei tanti discorsi che hanno ascoltato, i delegati ds hanno applaudito soprattutto i passaggi fortemente anticlericali. Fassino sa bene cosa significhi questo, ma fa finta di nulla: dà una strizzatina d'occhio da una parte, una pacca sulla spalla dall'altra, e tratta con cauta equidistanza (o equivicinanza) le due manifestazioni. L'importante è che nessun rompiscatole venga a chiedere se il partito democratico è al fianco di chi scende in piazza per la famiglia tradizionale oppure dei suoi rivali, se è più «amico» di Sarkozy, della Royal o del centrista François Bayrou, se punta dritto sul referendum elettorale o vuole evitarlo. Quello che conta è la forma, l'apparenza. I contenuti possono attendere.

© Libero. Pubblicato il 9 maggio 2007.

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