Il vento del Nord

di Fausto Carioti

Basta guardare la cartina d'Italia, i posti in cui si è votato e il colore delle bandierine che adesso ci sono piantate sopra, per capire che il sindaco di Venezia Massimo Cacciari, esponente della Margherita, fu facile profeta, a ottobre, quando avvisò senza giri di parole Romano Prodi e Piero Fassino: «Il centrosinistra con il Nord ha chiuso. Non riesce a comprendere la composizione sociale di queste regioni. Non ha interfaccia con le persone che qui vivono e lavorano». Gli elettori settentrionali hanno dato ragione a lui (e a Silvio Berlusconi) e torto a Romano Prodi e ai leader nazionali dell'Unione, che hanno ascoltato con aria insofferente gli allarmi che erano stati lanciati anche dal presidente del Friuli-Venezia Giulia Riccardo Illy, dal sindaco di Torino Sergio Chiamparino e da altri amministratori settentrionali di sinistra.

Risultato: per l'Ulivo il voto nella parte più dinamica e produttiva del Paese, quella che da sola produce il 54% della ricchezza nazionale, è stato un bagno di sangue. I comuni di Verona, Monza, Alessandria, Asti e Gorizia, governati da sindaci dell'Unione, passano al centrodestra già al primo turno. A Como, dove si votava per il comune e la provincia, e a Vicenza, Vercelli e Varese, dove si sceglieva il presidente della giunta provinciale, gli elettori del centrodestra sono stati il doppio di quelli del centrosinistra. Persino dalla rossissima provincia genovese è arrivata una brutta sorpresa per Prodi: il candidato ulivista non ha ottenuto la maggioranza dei voti, e sarà costretto ad affrontare al ballottaggio la sfidante del centrodestra.

Se è vero che i candidati locali di sinistra, quanto a capacità amministrative e immagine, hanno poco da invidiare ai loro rivali della Cdl, la disfatta nordista si spiega in un solo modo: i tartassati del Nord hanno votato contro il governo Prodi, hanno trasferito sui candidati dell'Unione tutto quello che di male pensano dell'esecutivo centrale. Votando in modo diverso da come avevano fatto le ultime volte o, se proprio non ci riuscivano, restando a casa. E questo, con ogni probabilità, spiega anche parte dell'alto tasso di astensionismo che si è registrato in questa tornata elettorale.

Pochi, nei palazzi romani dell'Unione, sembrano avere il coraggio di prenderne atto. Il diessino Vannino Chiti, ministro per le Riforme, ammette che per il suo schieramento «esiste un problema al Nord», ma giudica «sbagliato» dargli un valore nazionale. A spiegargli come stanno davvero le cose ci pensa allora il capo dei Ds lombardi, Maurizio Martina, il quale punta l'indice dritto contro il governo, denunciando che «al Nord il voto è stato un test politico e non amministrativo». Se la prende con Prodi anche il responsabile per il settentrione dei Ds, Luciano Pizzetti, che usa parole ancora più chiare: «Il buon governo territoriale del centro sinistra viene travolto dal giudizio sulle scelte del governo nazionale».

Da oggi, quindi, assisteremo all'ennesimo psicodramma della sinistra prodiana, che si affannerà per abbozzare in corsa uno straccio di soluzione a un problema che non può risolvere, perché non ha i mezzi per comprendere le domande che piovono dal Nord. Pur con tutte le differenze che passano tra gli elettori di posti diversissimi come Vicenza, Monza e Alessandria, le cose che chiedono a Roma si possono riassumere in due parole: efficienza e modernizzazione. Che vogliono dire tante cose. Un fisco più umano, innanzitutto: e invece, in un anno di governo, Prodi ha recuperato, con gli interessi, i due punti di pressione fiscale che il governo della Cdl era riuscito a tagliare. Ma vogliono dire anche l'alta velocità ferroviaria almeno tra Torino e Lione, il lancio definitivo dello scalo di Malpensa, il Mose a Venezia, l'autostrada pedemontana, i rigassificatori, le centrali elettriche. Tutte cose che il governo Prodi non è in grado di fare, e gli elettori del Nord lo hanno capito benissimo.

Per questo la sinistra del Nord guardava al partito democratico come all'ultimo treno possibile. Ma il primo passo ufficiale, la creazione della "cabina di regia" del futuro partito, è stato compiuto come peggio non si poteva. Con Chiamparino che, leggendo i 45 nomi dell'elenco, quasi piangeva: «Tutto il Nord è penalizzato. Non c'è nessun rappresentante di quella che definiamo "questione settentrionale". È grave». Non per Berlusconi, che anche al Nord può contare sull'aiuto involontario di Prodi e Fassino. Alla prova dei fatti, i suoi migliori alleati restano loro.

© Libero. Pubblicato il 29 maggio 2007.

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