C'è un enorme spazio vuoto. Qualcuno lo riempirà
E ora? Va bene, i Dico sono morti. Lo erano anche prima della manifestazione di piazza San Giovanni, figuriamoci adesso. Morti e sepolti, anche se a sinistra fingono che non sia così (ma gli imbarazzi dei Ds sono più eloquenti di mille commenti). Tutto qui, dunque? Qualche centinaia di migliaia di persone è scesa in piazza e tutto quello che ha ottenuto è la condanna a morte di un disegno di legge già defunto? No, il discorso è assai più complesso. Purtroppo per il centrosinistra. E purtroppo (anche) per il centrodestra.
Il problema vero, quello che viaggiava sottotraccia da qualche tempo e che sabato è diventato di tutta evidenza, si chiama rappresentatività. Detta in estrema sintesi: esiste una fetta d'Italia sempre più ampia, la quale - anche grazie a due papi forti come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI - ha preso piena coscienza della propria esistenza e di quello che può legittimamente pretendere dalla politica. Un'Italia che non è trendy come le attricette lesbo chic e non si fa problemi a indossare «un abito a fiori stampati, scolorito da troppe centrifughe», come notava inorridito il cronista dell'Unità incaricato di raccontare la manifestazione. Un'Italia che non si riconosce certo negli editoriali "laicisti" del Corriere della Sera. Questa Italia è tendenzialmente, ma non interamente, più vicina al centrodestra che al centrosinistra. Crede in certi valori: la famiglia, la difesa della vita, la sussidiarietà (piuttosto che la solidarietà, anche se alla fine è una distinzione cui solo gli addetti ai lavori sanno appassionarsi), la libertà d'istruzione. Ma, pur essendo - comprensibilmente - sempre più disgustata dai valori proposti dal centrosinistra, non si identifica nemmeno in quelli propri della Cdl. In gran parte ha abbandonato, forse per sempre, Rosy Bindi e gli altri epigoni del cattocomunismo e del dossettismo. Ma non si sente di appartenere, politicamente e antropologicamente, né a Silvio Berlusconi né a Gianfranco Fini (cui non riesce a perdonare certe sue sortite liberal) né a Pier Ferdinando Casini, che vorrebbe diventare il referente politico di tutti costoro, ma ci riesce solo in minima parte.
La partita che si è aperta sabato è proprio questa: chi sarà in grado di rappresentare il popolo che con le scarpe o con il cuore il 12 maggio stava in piazza San Giovanni potrà dire una parola importante sul futuro dell'Italia. Mutatis mutandis, non è qualcosa di molto diverso da quello che è riuscito a fare in Francia Nicolas Sarkozy, che ha saputo tradurre in una piattaforma laica e moderna certe richieste che la politica italiana continua a considerare "tradizionali", che poi vorrebbe dire ammuffite.
L'errore più grosso sarebbe mettere l'intero popolo del Family Day nella casella degli integralisti cattolici. Ovviamente, è l'errore che sta commettendo almeno metà della sinistra, che quando non riesce a capire qualcosa (e capita spesso) la confina nella categoria del nemico di classe. Salvo pentirsene a distanza di decenni. Quelli di piazza San Giovanni altro non sono che l'ennesima incarnazione dei "piccoli borghesi" degli anni Settanta (e infatti l'Unità li chiama l'"arroganza silenziosa"), che tante bastonate elettorali hanno riservato al popolo rosso. E dire che lo stesso portavoce del Family Day, Savino Pezzotta, tutto è tranne che un cattolico dogmatico, e fino a pochi giorni fa era considerato una "risorsa preziosa" della sinistra.
Insomma, l'Unione non ha gli strumenti per capire e rappresentare politicamente questa fetta di popolo. E sabato si è visto che la Margherita, che secondo il piano originario avrebbe dovuto svolgere questo compito, non potrà mai essere un interlocutore credibile per tutti costoro. A maggior ragione, quindi, non potrà esserlo il partito democratico. Ma anche il centrodestra continua a usare categorie e ragionamenti che andavano benissimo dieci anni fa, ma che non sono quelli del popolo del Family Day, come provano certe candidature un po' curiose che continuano a essere partorite dalla testa del Cavaliere.
Intendiamoci, si tratta di un popolo difficile da "gestire", se persino le stesse parrocchie sono sempre meno in grado di farlo: la grande manifestazione romana è passata piuttosto attraverso i movimenti e ha vissuto molto sull'iniziativa spontanea (altro che truppe cammellate...), saltando a piè pari le parrocchie (chiedete agli organizzatori del Family Day cosa ne pensano dei parroci), che ormai, nella maggior parte dei casi, servono solo a issare la bandiera della pace accanto al crocifisso.
Però lì c'è un popolo che chiede voce, e nessuno, al momento, è in grado di dargliela. La politica è governata da poche leggi certe, ma una di queste dice che gli spazi vuoti trovano sempre qualcuno che li riempie.
Il problema vero, quello che viaggiava sottotraccia da qualche tempo e che sabato è diventato di tutta evidenza, si chiama rappresentatività. Detta in estrema sintesi: esiste una fetta d'Italia sempre più ampia, la quale - anche grazie a due papi forti come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI - ha preso piena coscienza della propria esistenza e di quello che può legittimamente pretendere dalla politica. Un'Italia che non è trendy come le attricette lesbo chic e non si fa problemi a indossare «un abito a fiori stampati, scolorito da troppe centrifughe», come notava inorridito il cronista dell'Unità incaricato di raccontare la manifestazione. Un'Italia che non si riconosce certo negli editoriali "laicisti" del Corriere della Sera. Questa Italia è tendenzialmente, ma non interamente, più vicina al centrodestra che al centrosinistra. Crede in certi valori: la famiglia, la difesa della vita, la sussidiarietà (piuttosto che la solidarietà, anche se alla fine è una distinzione cui solo gli addetti ai lavori sanno appassionarsi), la libertà d'istruzione. Ma, pur essendo - comprensibilmente - sempre più disgustata dai valori proposti dal centrosinistra, non si identifica nemmeno in quelli propri della Cdl. In gran parte ha abbandonato, forse per sempre, Rosy Bindi e gli altri epigoni del cattocomunismo e del dossettismo. Ma non si sente di appartenere, politicamente e antropologicamente, né a Silvio Berlusconi né a Gianfranco Fini (cui non riesce a perdonare certe sue sortite liberal) né a Pier Ferdinando Casini, che vorrebbe diventare il referente politico di tutti costoro, ma ci riesce solo in minima parte.
La partita che si è aperta sabato è proprio questa: chi sarà in grado di rappresentare il popolo che con le scarpe o con il cuore il 12 maggio stava in piazza San Giovanni potrà dire una parola importante sul futuro dell'Italia. Mutatis mutandis, non è qualcosa di molto diverso da quello che è riuscito a fare in Francia Nicolas Sarkozy, che ha saputo tradurre in una piattaforma laica e moderna certe richieste che la politica italiana continua a considerare "tradizionali", che poi vorrebbe dire ammuffite.
L'errore più grosso sarebbe mettere l'intero popolo del Family Day nella casella degli integralisti cattolici. Ovviamente, è l'errore che sta commettendo almeno metà della sinistra, che quando non riesce a capire qualcosa (e capita spesso) la confina nella categoria del nemico di classe. Salvo pentirsene a distanza di decenni. Quelli di piazza San Giovanni altro non sono che l'ennesima incarnazione dei "piccoli borghesi" degli anni Settanta (e infatti l'Unità li chiama l'"arroganza silenziosa"), che tante bastonate elettorali hanno riservato al popolo rosso. E dire che lo stesso portavoce del Family Day, Savino Pezzotta, tutto è tranne che un cattolico dogmatico, e fino a pochi giorni fa era considerato una "risorsa preziosa" della sinistra.
Insomma, l'Unione non ha gli strumenti per capire e rappresentare politicamente questa fetta di popolo. E sabato si è visto che la Margherita, che secondo il piano originario avrebbe dovuto svolgere questo compito, non potrà mai essere un interlocutore credibile per tutti costoro. A maggior ragione, quindi, non potrà esserlo il partito democratico. Ma anche il centrodestra continua a usare categorie e ragionamenti che andavano benissimo dieci anni fa, ma che non sono quelli del popolo del Family Day, come provano certe candidature un po' curiose che continuano a essere partorite dalla testa del Cavaliere.
Intendiamoci, si tratta di un popolo difficile da "gestire", se persino le stesse parrocchie sono sempre meno in grado di farlo: la grande manifestazione romana è passata piuttosto attraverso i movimenti e ha vissuto molto sull'iniziativa spontanea (altro che truppe cammellate...), saltando a piè pari le parrocchie (chiedete agli organizzatori del Family Day cosa ne pensano dei parroci), che ormai, nella maggior parte dei casi, servono solo a issare la bandiera della pace accanto al crocifisso.
Però lì c'è un popolo che chiede voce, e nessuno, al momento, è in grado di dargliela. La politica è governata da poche leggi certe, ma una di queste dice che gli spazi vuoti trovano sempre qualcuno che li riempie.