Faccia a faccia con Aznar. Che sbugiarda Prodi

di Fausto Carioti

«Nada de nada. Mai fatta nessuna legge del genere. Come si dice in italiano? Niente di niente di niente». José María Aznar ha l’aria un po’ basita. Sono le nove e dieci del mattino e sta avendo una colazione privata in un albergo della capitale con Gianfranco Fini, il portavoce di An Andrea Ronchi e cinque giornalisti. Gli è stato appena detto che Romano Prodi lo sta usando come alibi per varare i Dico, il riconoscimento giuridico delle coppie etero e (soprattutto) omosessuali. Lo fa da mesi. Già in campagna elettorale Prodi disse: «La nostra linea non è quella di Zapatero, ma quella di Aznar. Il governo democristiano spagnolo fu il primo a introdurre una legge sulle unioni di fatto». Da allora, a sinistra, è diventato un ritornello. Enrico Boselli lo ripete tutti i giorni: «In Spagna è stato il governo conservatore di Aznar a fare la legge sulle unioni omosessuali, mica Zapatero». Seduto a un tavolo dell’Hotel de Russie, Aznar spalanca gli occhi. Pesa le parole: «Non è assolutamente vero che ho fatto una legge per gli omosessuali. Per me il matrimonio è l’espressione dell’unione tra uomo e donna». L’ex primo ministro spagnolo spiega di aver voluto riconoscere alcuni diritti individuali che non erano tutelati dalla legislazione spagnola, ma si tratta di diritti già previsti dal nostro codice civile, più avanzato di quello iberico. Diritti dei singoli, che nulla hanno a che vedere con le coppie: «Non ho mai fatto una legge per la famiglia o per le coppie di qualunque genere». Con buona pace di Prodi, del povero Boselli e del resto della sinistra italiana, che adesso dovranno inventarsi altri alibi.

Nel 2004 ha perso le elezioni spagnole in seguito agli attentati compiuti a Madrid dai terroristi islamici: una strage finalizzata a indebolire l’asse atlantico che legava la Spagna a Washington. Missione compiuta: terrorizzati gli elettori spagnoli, adesso in Spagna comanda “Bambi” Zapatero. Ma Aznar, in qualità di presidente della Fundacion para el Análisis y los Estudios Sociales (Faes), legata al partido popular, continua a fare politica a modo suo. Se le indiscrezioni che lo riguardano sono vere, presto, forse nel 2009, lo vedremo tornare alla politica attiva. Non in Spagna, ma a Bruxelles e Strasburgo, dove si conta su di lui per il rilancio definitivo del Ppe, il partito popolare europeo, la “casa” dei partiti moderati del vecchio continente.

Poco prima di pranzo, ha presentato la fondazione Farefuturo, il nuovo “pensatoio” di An di cui è segretario generale Adolfo Urso. Aznar infatti sta lavorando per portare Alleanza nazionale dentro al Ppe, come è anche nei desideri di Fini. E proprio questo asse forte tra i due dà il senso politico della presenza di Aznar a Roma in questi giorni. Il leader spagnolo non si tira certo indietro. In passato fece da garante e da traghettatore di Forza Italia nel partito popolare europeo, e adesso è pronto a fare lo stesso con An. «Sono assolutamente favorevole all’ingresso di An nel Ppe», spiega nella sua conversazione a porte chiuse. «An ha iniziato un percorso di trasformazione molto positivo, ed è logico che questo cammino termini nel partito popolare europeo». Poco più tardi, parlando in pubblico, avrà parole di miele per Fini: «È un leader con futuro e del futuro. Io gli auguro grande successo. Certamente non è un leader decaffeinato. È intelligente e prestigioso». Aznar assiste con piacere ai fermenti in atto nella Cdl: «Sono molto interessato all’aggregazione del centrodestra italiano. In Spagna un simile processo di raggruppamento del centrodestra è già avvenuto grazie al partido popular, in Germania si sono ispirati allo stesso modello e in Francia stanno pensando a qualcosa di simile. Coalizioni di sinistra come quella al governo adesso in Italia, composte da sette, otto partiti, sono negative, non riescono ad avere un programma alternativo serio al centrodestra e si rifugiano nella demonizzazione dell’avversario».

Intanto, assieme a Fini, Aznar incassa con soddisfazione la netta vittoria elettorale di Nicolas Sarkozy che, spiega, rappresenta «la vittoria del pensiero forte sul pensiero debole, è espressione della volontà di cambiare le cose». L’idea, adesso, è creare un nuovo centrodestra europeo, che sappia «difendere le radici cristiane dell’Europa» e si opponga al programma della sinistra continentale, che prevede di «recuperare il Sessantotto, eliminare la famiglia e il matrimonio e cancellare i limiti tra ciò che è vero e ciò che è falso». Il nuovo nemico, insomma, si chiama relativismo: Benedetto XVI ha di che essere soddisfatto. Aznar ha già pronte le linee guida della nuova politica liberal-conservatrice europea. «Primo: recupero dei valori». L’elenco di questi valori è lungo, e ai primi posti vede «la responsabilità, la meritocrazia, la famiglia» e «la distinzione tra desideri e diritti, che sono due cose ben diverse». Secondo: «Rispetto dell’identità nazionale di ogni Paese europeo». È la base, avverte Aznar, «per affrontare senza paura il mondo là fuori, la globalizzazione». Terzo: «Trasformazione economica e sociale dell’Europa», perché il «disastroso» trend demografico del vecchio continente impone un ripensamento del welfare state. Anche se, avverte Aznar, il crollo delle nascite e l’invecchiamento della popolazione (tra trent’anni la Spagna starà messa peggio dell'Italia) non è solo un problema economico, ma anche - e soprattutto - «una questione di valori». Quarta e ultima direttrice, un «patto tra l’Europa e il resto del mondo», per trasformare il continente da potere debole a potere forte. Riformando la Nato e definendo un nuovo ruolo per l’Europa, che la avvicini all’altra sponda dell’Atlantico. Prima di decidere dove andare, però, l’Europa dovrà capire chi è.

© Libero. Pubblicato il 16 maggio 2007.

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