I monopolisti della violenza politica
di Fausto Carioti
È il caso di aggiornare i dizionari politici. Lo squadrismo non è più fascista. È comunista. Nel senso parlamentare della parola: le aggressioni politiche in Italia, piaccia o meno, sono compiute in modo ormai quasi esclusivo da gente che si identifica nei partiti di Fausto Bertinotti e Oliviero Diliberto. Per rendersene conto basta sfogliare le cronache degli ultimi tempi. Colpa di tante cose, ma anche della saldatura tra i "movimenti" dei centri sociali e i partiti ufficiali, consacrata dalla candidatura di molti esponenti no global in Parlamento e dall'intestazione di un'aula del Senato, assegnata a Rifondazione comunista, a Carlo Giuliani, ucciso durante il G8 di Genova - per legittima difesa - dal carabiniere che stava aggredendo. Scelte che hanno segnato anche la saldatura tra la violenza rossa e la politica di Palazzo.
L'ultimo episodio è avvenuto il primo maggio a Roma, in piazza San Giovanni, durante il concerto organizzato dai sindacati e come al solito trasformato in una kermesse filocomunista caratterizzata da poche idee, ma ben confuse. Alcuni ragazzi hanno insultato e aggredito Mario Segni e gli altri referendari mentre raccoglievano firme per far svolgere la consultazione popolare con cui si chiede di cambiare la legge elettorale. Alcuni moduli, con duecento firme già raccolte, sono stati strappati dalle mani dei referendari e "confiscati"; un tavolo è stato lanciato contro Segni. Racconta Enzo Curzio, coordinatore romano del comitato per i referendum: «Erano ragazzi di Rifondazione comunista che invitavano a non firmare per il referendum. È assurdo aver subito un'aggressione da parte di militanti di sinistra proprio nel giorno in cui si dovrebbero valorizzare la democrazia e il dibattito».
No, non è assurdo per niente: pochi giorni fa Bertinotti, presidente della Camera, aveva detto che il referendum rappresenta «una minaccia per la democrazia». Niente di strano, quindi, se qualche giovane democratico e comunista (un inconsapevole ossimoro vivente) si dà da fare a modo suo per scongiurare la minaccia. Questi non sono extraparlamentari, non indossano (almeno per ora) un passamontagna. È gente che agisce a volto scoperto, si riconosce nei partiti di governo ed è convinta che aggredire Mario Segni o tirare un cavalletto in testa a Silvio Berlusconi sia un normale esercizio di antifascismo democratico. Lo stesso giorno, dal palco del concerto di piazza San Giovanni, uno dei presentatori, Andrea Rivera, ha attaccato la Chiesa dicendo che «non si è mai evoluta». Applausi scroscianti e scontati. Vista l'aria pesante che tira sui sacerdoti, gli organizzatori del concerto hanno preso le distanze da Rivera. Ma serve a poco: le sue stesse parole si possono trovare ogni giorno su Liberazione, il quotidiano del partito di Bertinotti, dove in prima pagina si leggono titoli tipo «Vaticano come l'islam estremo» e «Il fanatismo del Vaticano come quello dei kamikaze». Viva la libertà d'espressione anche per chi dice bischerate, basta che poi non ci stupiamo se Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, riceve minacce di morte quotidiane, anch'esse firmate con quel simbolo, falce e martello, destinato a etichettare la nuova aggregazione che dovrebbe nascere a sinistra del partito democratico.
Assieme alla violenza contro il dissenso e contro la Chiesa, i compagni hanno ereditato dal peggior fascismo quella contro gli ebrei. Mentre a destra l'antisemitismo scendeva di tono, fino a diventare un rigurgito sempre più clandestino (merito anche del viaggio di Gianfranco Fini a Gerusalemme), nella sinistra cresceva a dismisura, mascherato da antisionismo. «Sempre più spesso», scrive (da sinistra) Gadi Luzzatto Voghera, «la distorsione dell'entità ebraica diviene matrice di una nuova forma di antisemitismo aggressivo, la cui origine teoretica si rintraccia in quel processo di astrazione che ha condotto l'ebreo reale a farsi sempre più evanescente nel discorso politico di sinistra, facendo posto prima al capitalista, poi alla "vittima", e infine al "sionista"».
Il risultato pratico è che nei cortei della sinistra, oggi, Israele e gli ebrei sono visti come i nemici da abbattere, quintessenza del "razzismo sionista" e del capitalismo. I siti internet dei militanti comunisti tracimano di odio per Israele e per chi lo difende e abbondano di linguaggi e dietrologie ricalcati dai Protocolli dei Savi di Sion e dalle altre mistificazioni antisemite (il fatto che si tratti di "citazioni" spesso inconsapevoli non scusa, semmai è un'aggravante). Mentre Diliberto e lo stesso Massimo D'Alema in tempi recenti si sono fatti fotografare mano nella mano con esponenti di Hezbollah, l'etichetta politica libanese la cui milizia è considerata un'organizzazione terroristica da Israele, Stati Uniti, Inghilterra, Olanda, Australia e Parlamento europeo, e che ha per obiettivo, come si legge nello statuto, la «completa distruzione» della «entità sionista». Assieme ai terroristi palestinesi di Hamas (altri amici della sinistra italiana) e alle altre organizzazioni terroristiche islamiche, Hezbollah ha ucciso oltre mille civili israeliani. Anche in questo caso, insomma, chi cerca un pretesto politico per le proprie aggressioni, verbali e fisiche, fa presto a trovarlo negli atteggiamenti e nelle parole della sinistra ufficiale.
Post scriptum. A proposito dell'aggressione ai referendari. Bertinotti, imbarazzato perché accusato, in sostanza, di essere moralmente responsabile per le violenze dei giovani rifondaroli, ieri ha inviato un messaggio di solidarietà a Segni, dicendosi convinto «che l'iniziativa politica debba essere assolutamente garantita a tutti, indipendentemente dal grado di consenso o di dissenso che si nutre nei suoi confronti». Le chiacchiere, però, contano zero. Il presidente della Camera ha un modo molto semplice per dare un senso concreto alle sue parole e prendere le distanze dagli squadristi rossi: "risarcire" Segni e gli altri delle duecento firme che la feccia del suo elettorato ha sottratto ai referendari. Per ogni firma di adesione al referendum rubata dai giovani comunisti, la firma di un esponente di Rifondazione. Iniziando da quella dell'onorevole Bertinotti.
© Libero. Pubblicato il 3 maggio 2007.
È il caso di aggiornare i dizionari politici. Lo squadrismo non è più fascista. È comunista. Nel senso parlamentare della parola: le aggressioni politiche in Italia, piaccia o meno, sono compiute in modo ormai quasi esclusivo da gente che si identifica nei partiti di Fausto Bertinotti e Oliviero Diliberto. Per rendersene conto basta sfogliare le cronache degli ultimi tempi. Colpa di tante cose, ma anche della saldatura tra i "movimenti" dei centri sociali e i partiti ufficiali, consacrata dalla candidatura di molti esponenti no global in Parlamento e dall'intestazione di un'aula del Senato, assegnata a Rifondazione comunista, a Carlo Giuliani, ucciso durante il G8 di Genova - per legittima difesa - dal carabiniere che stava aggredendo. Scelte che hanno segnato anche la saldatura tra la violenza rossa e la politica di Palazzo.
L'ultimo episodio è avvenuto il primo maggio a Roma, in piazza San Giovanni, durante il concerto organizzato dai sindacati e come al solito trasformato in una kermesse filocomunista caratterizzata da poche idee, ma ben confuse. Alcuni ragazzi hanno insultato e aggredito Mario Segni e gli altri referendari mentre raccoglievano firme per far svolgere la consultazione popolare con cui si chiede di cambiare la legge elettorale. Alcuni moduli, con duecento firme già raccolte, sono stati strappati dalle mani dei referendari e "confiscati"; un tavolo è stato lanciato contro Segni. Racconta Enzo Curzio, coordinatore romano del comitato per i referendum: «Erano ragazzi di Rifondazione comunista che invitavano a non firmare per il referendum. È assurdo aver subito un'aggressione da parte di militanti di sinistra proprio nel giorno in cui si dovrebbero valorizzare la democrazia e il dibattito».
No, non è assurdo per niente: pochi giorni fa Bertinotti, presidente della Camera, aveva detto che il referendum rappresenta «una minaccia per la democrazia». Niente di strano, quindi, se qualche giovane democratico e comunista (un inconsapevole ossimoro vivente) si dà da fare a modo suo per scongiurare la minaccia. Questi non sono extraparlamentari, non indossano (almeno per ora) un passamontagna. È gente che agisce a volto scoperto, si riconosce nei partiti di governo ed è convinta che aggredire Mario Segni o tirare un cavalletto in testa a Silvio Berlusconi sia un normale esercizio di antifascismo democratico. Lo stesso giorno, dal palco del concerto di piazza San Giovanni, uno dei presentatori, Andrea Rivera, ha attaccato la Chiesa dicendo che «non si è mai evoluta». Applausi scroscianti e scontati. Vista l'aria pesante che tira sui sacerdoti, gli organizzatori del concerto hanno preso le distanze da Rivera. Ma serve a poco: le sue stesse parole si possono trovare ogni giorno su Liberazione, il quotidiano del partito di Bertinotti, dove in prima pagina si leggono titoli tipo «Vaticano come l'islam estremo» e «Il fanatismo del Vaticano come quello dei kamikaze». Viva la libertà d'espressione anche per chi dice bischerate, basta che poi non ci stupiamo se Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, riceve minacce di morte quotidiane, anch'esse firmate con quel simbolo, falce e martello, destinato a etichettare la nuova aggregazione che dovrebbe nascere a sinistra del partito democratico.
Assieme alla violenza contro il dissenso e contro la Chiesa, i compagni hanno ereditato dal peggior fascismo quella contro gli ebrei. Mentre a destra l'antisemitismo scendeva di tono, fino a diventare un rigurgito sempre più clandestino (merito anche del viaggio di Gianfranco Fini a Gerusalemme), nella sinistra cresceva a dismisura, mascherato da antisionismo. «Sempre più spesso», scrive (da sinistra) Gadi Luzzatto Voghera, «la distorsione dell'entità ebraica diviene matrice di una nuova forma di antisemitismo aggressivo, la cui origine teoretica si rintraccia in quel processo di astrazione che ha condotto l'ebreo reale a farsi sempre più evanescente nel discorso politico di sinistra, facendo posto prima al capitalista, poi alla "vittima", e infine al "sionista"».
Il risultato pratico è che nei cortei della sinistra, oggi, Israele e gli ebrei sono visti come i nemici da abbattere, quintessenza del "razzismo sionista" e del capitalismo. I siti internet dei militanti comunisti tracimano di odio per Israele e per chi lo difende e abbondano di linguaggi e dietrologie ricalcati dai Protocolli dei Savi di Sion e dalle altre mistificazioni antisemite (il fatto che si tratti di "citazioni" spesso inconsapevoli non scusa, semmai è un'aggravante). Mentre Diliberto e lo stesso Massimo D'Alema in tempi recenti si sono fatti fotografare mano nella mano con esponenti di Hezbollah, l'etichetta politica libanese la cui milizia è considerata un'organizzazione terroristica da Israele, Stati Uniti, Inghilterra, Olanda, Australia e Parlamento europeo, e che ha per obiettivo, come si legge nello statuto, la «completa distruzione» della «entità sionista». Assieme ai terroristi palestinesi di Hamas (altri amici della sinistra italiana) e alle altre organizzazioni terroristiche islamiche, Hezbollah ha ucciso oltre mille civili israeliani. Anche in questo caso, insomma, chi cerca un pretesto politico per le proprie aggressioni, verbali e fisiche, fa presto a trovarlo negli atteggiamenti e nelle parole della sinistra ufficiale.
Post scriptum. A proposito dell'aggressione ai referendari. Bertinotti, imbarazzato perché accusato, in sostanza, di essere moralmente responsabile per le violenze dei giovani rifondaroli, ieri ha inviato un messaggio di solidarietà a Segni, dicendosi convinto «che l'iniziativa politica debba essere assolutamente garantita a tutti, indipendentemente dal grado di consenso o di dissenso che si nutre nei suoi confronti». Le chiacchiere, però, contano zero. Il presidente della Camera ha un modo molto semplice per dare un senso concreto alle sue parole e prendere le distanze dagli squadristi rossi: "risarcire" Segni e gli altri delle duecento firme che la feccia del suo elettorato ha sottratto ai referendari. Per ogni firma di adesione al referendum rubata dai giovani comunisti, la firma di un esponente di Rifondazione. Iniziando da quella dell'onorevole Bertinotti.
© Libero. Pubblicato il 3 maggio 2007.