Prodi, la Cdl e il futuro del governo: ecco cosa sta succedendo

Tanto per capire un po' meglio come stanno andando davvero le cose, al di là delle dichiarazioni roboanti che si sentono in queste ore da una parte e dall'altra. Il governo Prodi è ormai in stato comatoso. Però rischia di sopravvivere alla Finanziaria. E andrà così anche perché la Cdl, ammesso che possa davvero farlo, non ha un grande interesse a staccargli la spina. Non adesso, almeno. Andiamo per punti.

Primo punto: lo stato comatoso del governo Prodi. E' nei fatti. Stiamo arrivando al redde rationem. Per far passare la Finanziaria senza stravoglimenti ed evitare che Tommaso Padoa Schioppa (unico ministro di questo governo che abbia una forte credibilità internazionale) mandi tutti a quel Paese, si compri un volpino e passi le sue giornate ai giardinetti, Prodi intende blindare la manovra con la fiducia. Ma, se lo fa, il suo governo rischia di morire al Senato. El senador Luigi Pallaro ha già fatto sapere che la Finanziaria, così com'è, lui non la vota. 'O senatore Sergio De Gregorio idem. Francesco Cossiga non sta mandando messaggi tranquillizzanti all'Unione. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, l'ha presa molto male. I parlamentari dei Ds e della Margherita masticano amaro: solo pochi tra loro, quelli che fanno parte delle commissioni Bilancio di Senato e Camera, potranno provare a emendare la manovra, col rischio concreto di vedere poi i loro emendamenti cancellati dal governo, che probabilmente metterà la fiducia su un maxi-emendamento che ridisegnerà la manovra secondo gli intenti dell'esecutivo, peraltro già cambiati rispetto alla stesura originaria varata dal consiglio dei ministri. Il malumore della maggioranza nei confronti di Prodi è fortissimo, e i capigruppo di Camera e Senato fanno fatica a tenere buone le truppe. Certo non contribuiscono a migliorare la situazione i sondaggi disastrosi, il deteriorarsi dei rapporti col Quirinale, il declassamento del rating e la bocciatura della manovra da parte di due agenzie internazionali su tre, il malumore crescente nei confronti della Finanziaria e le forti perplessità di parte della maggioranza sull'impatto che le nuove aliquote Irpef avranno sulle tasche e sull'umore degli elettori.

I Ds la gravità della situazione l'hanno molto ben presente. Non a caso il povero Piero Fassino, interpretando per una volta le preoccupazioni dell'intero stato maggiore del suo partito, ha messo le mani avanti, impegnandosi davanti ai contribuenti imbufaliti a restituire il maltolto a partire dal 2008. Nella relazione (tutta da leggere) presentata sabato 21 ottobre alla direzione nazionale dei Ds, Fassino ha messo nero su bianco le perplessità del suo partito. Impressionante, soprattutto, l'avvertimento, diretto a Prodi, che i Ds non possono «guardare con sufficienza al malessere e ai dissensi manifestati in particolare da settori di ceto medio – dipendente e autonomo – e nel nord del Paese»: una chiara ammissione che nei riguardi di queste aree dell'elettorato, in questi pochi mesi di governo, è stato sbagliato tutto quello che si poteva sbagliare. Al governo, Fassino e i Ds chiedono formalmente, tra le altre cose, «una verifica degli effetti della rimodulazione fiscale, tenendo maggiormente conto dei nuclei monoparentali e degli effetti prodotti su tutti i redditi dalle addizionali locali» e «un regime dell’imposta di successione che effettivamente sia coerente con l’impegno assunto in campagna elettorale di concentrare il prelievo su patrimoni e ricchezze di grande entità». Il che, tradotto, vuol dire: meno tasse sulle famiglie del ceto medio, sia perché avevamo promesso di non infierire su costoro, sia perché sennò andiamo a schiantarci contro un muro.

Secondo punto: i primi scenari alternativi. Come ha detto a Roberto Calderoli, scherzando ma non troppo, la senatrice di Rifondazione Rina Gagliardi, «presto saremo all'opposizione con voi». Timori che la stessa Gagliardi ha messo per iscritto in un articolo per Liberazione: «L'idea di liberarsi di Romano Prodi inizia a farsi strada, ovvero è una "tentazione" che si affaccia all'interno delle componenti moderate dlla maggioranza. Non è ancora un "piano" organizzato, non è un complotto, non è un disegno chiaro e definito nei suoi tempi, modi e alleanze, ma la suggestione c'è, e come. Così come c'è la persuasione, sotterraneamente crescente, che il presidente del Consiglio e la sua squadra "non ce la fanno"». Il politologo Gianfranco Pasquino è ancora più chiaro: a tramare contro Prodi, oltre al solito coacervo di poteri più o meno forti, sono «una parte della Margherita, che non ha mai difeso Romano a spada tratta. Per esempio Rutelli, che ha un potere fortissimo nel suo partito», e «alcuni settori» dei Ds, manco a dirlo «la parte più vicina a D'Alema, che ritiene il ministro degli Esteri politicamente più abile, e l'area di quel partito contraria all'accelerazione verso il Pd».

Specie al Senato, dove i boatos non si sono mai lesinati, in questi giorni ci si sbizzarrisce nelle prime ipotesi di fanta-politica sul dopo Prodi. Posto che solo se ci saranno episodi clamorosi la legislatura potrà chiudersi prima del giro di boa, cioè prima che si siano superati i due anni e sei mesi, tempo minimo necessario a far maturare ai parlamentari il diritto ai contributi all'ambita pensione per un'intera legislatura, tanti ormai, anche a sinistra, danno per scontato che ci vorrà un governo tecnico, o di grandi intese, o come lo vogliamo chiamare (nel dizionario politico italiano le perifrasi non mancano) per arrivare a tale termine. Si sono già fatti i primi nomi per il dopo Prodi. I più ricorrenti sono due. Il primo è quello di Lamberto Dini: ineccepibile curriculum da banchiere, uomo moderato, è stato ministro sia di Berlusconi (che non gli ha perdonato il governo del ribaltone) sia di Prodi, decotto quanto basta per non pretendere di svolgere un ruolo di primo piano alle prossime elezioni politiche, quindi innocuo anche per la sinistra, dove non farà certo ombra al prossimo candidato premier, che tutti indicano in Walter Veltroni. Il secondo è quello di Franco Marini, seconda carica dello Stato, e come tale istituzionalmente perfetto per il grande inciucio che dovrebbe partire da Forza Italia per andare sino ai Ds. Anche lui può svolgere bene il ruolo di traghettatore, ma non è certo un potenziale leader di coalizione.

A sinistra tanti - non solo Pasquino - indicano nell'area dalemiana l'epicentro della congiura. L'operazione dovrebbe servire a tre scopi. Intanto a far scomparire Prodi - per sempre - dallo scenario politico, restituendo centralità ai partiti dell'Unione. Quindi ad ammazzare sul nascere il partito democratico, al quale ormai non crede davvero più nessuno, figuriamoci la gran parte dei diessini, dove il più tenero ha tre metri di pelo sulla pancia e ride solo al pensiero di regalare a Prodi qualche milione di elettori, rinunciando per di più a un patrimonio storico senza paragoni. Infine, l'operazione dovà servire alla sinistra a non arrivare al prossimo appuntamento elettorale - che tutti, come detto, fissano all'avvio della seconda metà della legislatura - logorata, sfibrata e con un presidente del consiglio, nonché leader della coalizione, sfiduciato dalla grande maggioranza degli elettori. Certo, una mossa simile sfascerebbe l'Unione. Ma - nel caso non si fosse capito - a sinistra, oggi, nessuno - escluso forse il solo Prodi - spera più di raggiungere l'ottimo paretiano, e ci si concentra invece sulla strategia migliore per limitare i danni.

Terzo punto: le scelte della Cdl. Nella Cdl, negli ultimi giorni, si è fatto consistente il partito di chi non vuole provare (provare sul serio, intendo) a mandare a casa Prodi e preferisce aspettare ancora per un anno prima di tentare l'affondo finale. Una posizione paradossale solo in apparenza, essendo perfettamente speculare alle preoccupazioni dello stato maggiore diessino. Il logoramento evidentissimo cui è sottoposto il governo Prodi, misurato da tutti i sondaggi con il crollo della fiducia nei confronti degli uomini del governo e con il sorpasso della Cdl nelle intenzioni di voto, fa venire voglia agli esponenti del centrodestra di lasciarlo rosolare a fuoco lento ancora per un pezzo. C'è di più. La Cdl ha un forte interesse politico a far sì che la manovra venga approvata senza grandi modifiche, almeno sul fronte fiscale, in modo che gli italiani possano apprendere in cosa consiste davvero la "cura Visco" direttamente dalle loro buste paga alleggerite dalle aliquote Irpef. Sempre nella convinzione che per andare alle urne si debba aspettare ancora un paio d'anni, a centrodestra si inizia a pensare che è meglio lasciare Prodi al comando il più possibile, e non dare tempo alla sinistra di riorganizzarsi. Il governicchio di larghe intese, insomma, può attendere, prima è meglio radere al suolo ogni speranza di recupero da parte della sinistra. La minaccia di vedere varata la legge Gentiloni sul nuovo assetto televisivo non sembra avere scosso Silvio Berlusconi più di tanto: nessuno nella Cdl, manco lui, crede che il testo del governo uscirà indenne da palazzo Madama. Ammesso che ci arrivi.

Si tratta, come è chiaro, di un atteggiamento basato su un'analisi un po' troppo ottimista, che espone la Cdl a un rischio enorme: perdere adesso l'occasione per provare ad affossare Prodi vuol dire dargli quel tempo di cui lui ha un disperato bisogno per tentare di risalire la china. E, come si dice in certi casi, "è meglio vivere di rimorsi che di rimpianti".

Quarto punto: il paradosso Prodi. Il presidente del Consiglio, comprensibilmente, ha deciso di giocarsi il tutto per tutto. Sa che il momento è difficilissimo, che lui è debole perché esposto in prima linea senza un partito che lo difenda dai nemici interni alla coalizione e che questa, se va male, è la fine della sua avventura politica. La sua strategia è l'unica razionalmente adottabile da uno che si trovi nella sua posizione: tirare dritto, sgranare il rosario ogni volta che al Senato si vota una mozione di fiducia, sperare che nel medio-lungo periodo la ripresa economica gli dia una mano e provare a recuperare punti nei sondaggi. Si è arrivati così sull'orlo di una situazione in cui i migliori alleati di Prodi sono i suoi avversari della Cdl che vogliono lasciarlo al potere per logorare lui e la sinistra, e i suoi nemici sono quei settori dell'Unione, evocati dalla Gagliardi e chiamati per nome e cognome da Pasquino, i quali stanno pensando di affondare Prodi per provare a salvare il centro-sinistra.

Quinto punto: si campa alla giornata. Tutto ciò che è stato appena scritto fa parte di quello che Karl Popper chiamava "mondo due", il mondo dei pensieri e delle speranze. Il "mondo uno", quello dei fatti, è tutt'altra cosa, e tende a fregarsene del "mondo due". Nella politica italiana, poi, dove si campa alla giornata, questo è vero due volte. Insomma, basta poco per produrre quella che in gergo tecnico si chiama "accelerazione del quadro politico", cioè il presentarsi di un bivio che sino a pochi giorni prima sembrava lontano mesi, se non anni. Basta un voto di fiducia di troppo al Senato, basta che il senatore "giusto" abbia quelle due linee di febbre che gli impediscono di uscire di casa, basta che l'aereo su cui sono in volo due senatori eletti all'estero tardi di tre ore, e la storia cambia.

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