Da Vicenza a Capri (il tardivo risveglio di Confindustria)
di Fausto Carioti
Gli imprenditori italiani tornano ufficialmente dove è naturale che stiano: all’opposizione di chi li considera ladri e sfruttatori legalizzati. Fuori tempo massimo, Confindustria ha capito che la politica economica del governo Prodi «sembra scritta dalla sinistra massimalista con il benestare della Cgil». Sarebbe bastato leggere i curricula e guardare le facce di Oliviero Diliberto, Fausto Bertinotti, Paolo Cento, Pecoraro Scanio e degli altri sinistri saliti a bordo del Mortadella Express diretto a palazzo Chigi, sarebbe bastato sentirli parlare trenta secondi al telegiornale, per arrivare a questa prevedibilissima conclusione, illustrata ieri da Luca Cordero di Montezemolo, già sette mesi fa, in piena campagna elettorale. Quando a tirare la volata a Romano Prodi e alla sua truppa di pauperisti (quelli che amano così tanto i poveri da volerli moltiplicare) c’era l’intero mainstream del giornalismo italiano, controllato dagli stessi imprenditori che ieri a Capri assistevano imbufaliti alla performance di Tommaso Padoa Schioppa, impegnato a difendere una Finanziaria che persino gli opinionisti di sinistra giudicano letale per i produttori e i risparmiatori.
Di certo Montezemolo non si è andato a rileggere ciò che disse Berlusconi ai suoi associati il 18 marzo scorso, a Vicenza, perché non è nel suo stile né in quello dei suoi ghost writer. Quindi la coincidenza tra ciò che gridò allora il Cavaliere e ciò che ha detto ieri Montezemolo è ancora più impressionante. Berlusconi aveva avvertito gli industriali: «Quando andranno al potere, sappiate che le imprese per loro sono macchine che consentono lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che il profitto è lo sterco del diavolo e che il risparmio non è una virtù come per noi, ma qualcosa da tassare e penalizzare». L’allarme dell’allora premier trovò orecchie disposte ad ascoltarlo solo nella base di Confindustria. Ai piani alti si preferì continuare a puntare sull’altro cavallo. Ieri Montezemolo, pur senza citarlo, ha dovuto ammettere che Berlusconi aveva ragione su tutto. Sul profitto, perché, ha detto il numero uno di viale dell’Astronomia, «in nessun altro paese dell’Ocse fanno parte della maggioranza di governo partiti che sentono il bisogno di far piangere i ricchi», e sul risparmio, quando ha denunciato che, tramite il prelievo forzoso del Tfr, il governo sta procedendo a «una sorta di nazionalizzazione» di una parte importante di esso. Nemmeno Padoa Schioppa, che di certo non è uno dei tanti anticapitalisti del governo, è stato risparmiato da Montezemolo: «Signor ministro, lei ha offerto una conclusione entusiasta che è un pochettino sopra le righe rispetto al suo stile». Se possibile, la platea è stata ancora più chiara, riservando applausi a Giulio Tremonti e gelo e qualche fischio al suo successore.
Montezemolo è figlioccio di Gianni Agnelli, e l’Avvocato diceva che la grande industria deve essere «filogovernativa per definizione». Se l’attuale presidente di viale dell’Astronomia e della Fiat, che è uomo navigato e prudente, ha deciso di mettere da parte per una volta quell’insegnamento per strigliare in modo così duro il governo, i motivi sono due. Primo: la delusione degli associati di Confindustria nei confronti dell’esecutivo non è un atteggiamento tattico, ma è reale e cocente. Il trasferimento forzoso di metà del trattamento di fine rapporto maturato è un provvedimento assolutamente indigeribile per le imprese di tutte le dimensioni. Il taglio del cuneo fiscale non basta certo a compensare lo scippo del Tfr, che costringerà le aziende ad aumentare il ricorso al credito. E se i gruppi più grandi avranno meno difficoltà nel trattare con le banche, e potranno trovare qualche motivo di parziale soddisfazione nel nuovo provvedimento sulla mobilità lunga, che consentirà di prepensionare i lavoratori in esubero scaricandone i costi sui contribuenti, le Pmi non avranno nemmeno questo contentino. Così la loro pressione si sta facendo sentire, molto forte, anche sulla presidenza di Confindustria. La cancellazione del trasferimento del Tfr all’Inps, o la sua totale compensazione con un adeguato provvedimento “riparatore”, è quindi un risultato che Montezemolo deve portare a casa a tutti i costi. Il secondo motivo dello “strappo” di ieri è la percezione concreta che il governo sia ormai debolissimo, azzoppato, e che occorra già guardare avanti, verso i possibili futuri assetti del quadro politico. Da qui la mano tesa dal presidente degli industriali a quel “tavolo dei volenterosi” nato per riscrivere in modo bipartisan la Finanziaria. Se non è un requiem per Prodi, poco ci manca.
© Libero. Pubblicato l'8 ottobre 2006.
Gli imprenditori italiani tornano ufficialmente dove è naturale che stiano: all’opposizione di chi li considera ladri e sfruttatori legalizzati. Fuori tempo massimo, Confindustria ha capito che la politica economica del governo Prodi «sembra scritta dalla sinistra massimalista con il benestare della Cgil». Sarebbe bastato leggere i curricula e guardare le facce di Oliviero Diliberto, Fausto Bertinotti, Paolo Cento, Pecoraro Scanio e degli altri sinistri saliti a bordo del Mortadella Express diretto a palazzo Chigi, sarebbe bastato sentirli parlare trenta secondi al telegiornale, per arrivare a questa prevedibilissima conclusione, illustrata ieri da Luca Cordero di Montezemolo, già sette mesi fa, in piena campagna elettorale. Quando a tirare la volata a Romano Prodi e alla sua truppa di pauperisti (quelli che amano così tanto i poveri da volerli moltiplicare) c’era l’intero mainstream del giornalismo italiano, controllato dagli stessi imprenditori che ieri a Capri assistevano imbufaliti alla performance di Tommaso Padoa Schioppa, impegnato a difendere una Finanziaria che persino gli opinionisti di sinistra giudicano letale per i produttori e i risparmiatori.
Di certo Montezemolo non si è andato a rileggere ciò che disse Berlusconi ai suoi associati il 18 marzo scorso, a Vicenza, perché non è nel suo stile né in quello dei suoi ghost writer. Quindi la coincidenza tra ciò che gridò allora il Cavaliere e ciò che ha detto ieri Montezemolo è ancora più impressionante. Berlusconi aveva avvertito gli industriali: «Quando andranno al potere, sappiate che le imprese per loro sono macchine che consentono lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che il profitto è lo sterco del diavolo e che il risparmio non è una virtù come per noi, ma qualcosa da tassare e penalizzare». L’allarme dell’allora premier trovò orecchie disposte ad ascoltarlo solo nella base di Confindustria. Ai piani alti si preferì continuare a puntare sull’altro cavallo. Ieri Montezemolo, pur senza citarlo, ha dovuto ammettere che Berlusconi aveva ragione su tutto. Sul profitto, perché, ha detto il numero uno di viale dell’Astronomia, «in nessun altro paese dell’Ocse fanno parte della maggioranza di governo partiti che sentono il bisogno di far piangere i ricchi», e sul risparmio, quando ha denunciato che, tramite il prelievo forzoso del Tfr, il governo sta procedendo a «una sorta di nazionalizzazione» di una parte importante di esso. Nemmeno Padoa Schioppa, che di certo non è uno dei tanti anticapitalisti del governo, è stato risparmiato da Montezemolo: «Signor ministro, lei ha offerto una conclusione entusiasta che è un pochettino sopra le righe rispetto al suo stile». Se possibile, la platea è stata ancora più chiara, riservando applausi a Giulio Tremonti e gelo e qualche fischio al suo successore.
Montezemolo è figlioccio di Gianni Agnelli, e l’Avvocato diceva che la grande industria deve essere «filogovernativa per definizione». Se l’attuale presidente di viale dell’Astronomia e della Fiat, che è uomo navigato e prudente, ha deciso di mettere da parte per una volta quell’insegnamento per strigliare in modo così duro il governo, i motivi sono due. Primo: la delusione degli associati di Confindustria nei confronti dell’esecutivo non è un atteggiamento tattico, ma è reale e cocente. Il trasferimento forzoso di metà del trattamento di fine rapporto maturato è un provvedimento assolutamente indigeribile per le imprese di tutte le dimensioni. Il taglio del cuneo fiscale non basta certo a compensare lo scippo del Tfr, che costringerà le aziende ad aumentare il ricorso al credito. E se i gruppi più grandi avranno meno difficoltà nel trattare con le banche, e potranno trovare qualche motivo di parziale soddisfazione nel nuovo provvedimento sulla mobilità lunga, che consentirà di prepensionare i lavoratori in esubero scaricandone i costi sui contribuenti, le Pmi non avranno nemmeno questo contentino. Così la loro pressione si sta facendo sentire, molto forte, anche sulla presidenza di Confindustria. La cancellazione del trasferimento del Tfr all’Inps, o la sua totale compensazione con un adeguato provvedimento “riparatore”, è quindi un risultato che Montezemolo deve portare a casa a tutti i costi. Il secondo motivo dello “strappo” di ieri è la percezione concreta che il governo sia ormai debolissimo, azzoppato, e che occorra già guardare avanti, verso i possibili futuri assetti del quadro politico. Da qui la mano tesa dal presidente degli industriali a quel “tavolo dei volenterosi” nato per riscrivere in modo bipartisan la Finanziaria. Se non è un requiem per Prodi, poco ci manca.
© Libero. Pubblicato l'8 ottobre 2006.