Perché Berlusconi fa il tifo per Prodi
In questa fase il migliore alleato su cui può contare Romano Prodi è, suo malgrado, Silvio Berlusconi. In altre parole, scordiamoci che dal leader di Forza Italia e della Cdl possa arrivare a breve il colpo di grazia al governo. Mentre gli elettori del centrodestra incrociano le dita e sperano nel trappolone destinato a mandare in crisi irreversibile lo sgangherato governo Prodi e la sua sgangheratissima maggioranza, Berlusconi e lo stato maggiore del suo partito (e lo stesso avviene in casa di Gianfranco Fini) si pongono un altro problema: una volta caduto Prodi, che facciamo? E siccome ogni alternativa appare o impraticabile o peggiore della situazione attuale, il risultato paradossale è che i leader della Cdl, mentre dicono in pubblico che Prodi deve andare a casa se non raggiunge i 158 voti di maggioranza politica (cioè al netto dei senatori a vita) nella votazione che ci sarà a fine mese per il rifinanziamento della missione in Afghanistan, in privato sperano che Prodi resti comunque al suo posto, perché quello che potrebbe venire dopo li spaventa assai di più di questo governo, grazie al quale il centrodestra vanta un solido margine di una decina di punti nei sondaggi.
Il discorso, così come viene raccontato dalle teste pensanti della Cdl, è il seguente. Immaginiamo che domani Prodi caschi. L'ideale (almeno per quelli di Forza Italia) sarebbe andare alle elezioni subito. Ma il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha già detto che prima si inventerà di tutto per far cambiare la legge elettorale. In realtà è opinione diffusa, almeno tra i grandi partiti, che questa legge vada più o meno bene, e tutti sanno che la situazione di stallo attuale è semplicemente dovuta al fatto che le elezioni sono finite in sostanziale pareggio (l'Unione ha addirittura preso meno voti della Cdl al Senato...). Fatto sta che, scomparso di scena Prodi, Napolitano insisterà per mettere su un governo di larghe intese che abbia al primo punto della sua agenda proprio la riforma della legge elettorale e, se necessario, di quelle parti della Costituzione legate all'introduzione del nuovo sistema di voto.
A questo punto, per Berlusconi ci sarà il dilemma: che fare? Accettare l'offerta del Quirinale ed entrare nella maggioranza che sorregge un governicchio Dini o Marini, oppure rifiutare? Fosse per il Cavaliere, non ci sarebbero dubbi: fare a braccio di ferro con Napolitano, respingere l'offerta e tirare la corda quanto basta per romperla e non lasciare al Colle altra strada che sciogliere le Camere e indire nuove elezioni. Ma Berlusconi ha un incubo: Pier Ferdinando Casini. Se Casini, tentato da una riforma delle legge elettorale in senso proporzionale sul modello tedesco, accetta l'offerta di dialogo della sinistra, e magari la Lega fa altrettanto, lui si ritrova messo all'angolo, unico all'opposizione, assieme a Fini, di un governo che si è insediato per riscrivere le regole. E certe cose si sa come iniziano, ma non come finiscono: si parte con la riforma elettorale e forse si termina con la legge sul conflitto d'interessi e la Gentiloni... No, l'errore che fece nel '95, quando si mise all'opposizione del governo Dini, Berlusconi stavolta non lo può ripetere.
Ma non può nemmeno accettare di far parte di un governo di larghe intese. «Se lo facciamo», argomentano gli strateghi di Forza Italia, «in una settimana perdiamo almeno 5 dei 10 i punti di vantaggio che abbiamo oggi sull'Unione». E più durerebbe questo governo tecnico, più i consensi delle due coalizioni si avvicinerebbero. Non solo: il centrosinistra, nel frattempo, avrebbe il tempo per mettere in pista una nuova candidatura, con ogni probabilità quella di Valter Veltroni. Che equivarrebbe a lasciare il Nord nelle mani della Cdl, ma di sicuro darebbe al centrodestra più problemi di Prodi.
Così a Berlusconi non resta che tifare per Prodi. Finché al governo ci sono lui e Vincenzo Visco, gli italiani continueranno a provare disgusto per l'esecutivo, e le ambizioni degli altri leader del centrosinistra resteranno represse. Non solo: Prodi garantisce Berlusconi da quello che né Franco Marini né Lamberto Dini possono promettergli (anzi...), ovvero il veto a ogni manovra neocentrista tesa a cambiare la legge elettorale e chiudere l'era del bipolarismo.
Ovviamente si tratta di una strategia di corto respiro e rischiosa. Di corto respiro, perché è evidente che Prodi non può andare avanti così per quattro anni, e occorre avere qualche carta da giocare, un'alternativa più o meno pronta da proporre quando il governo, magari per un banale incidente al Senato, cadrà. Rischiosa, perché Prodi, consapevole della sua debolezza, farà di tutto per imbarcare qualche senatore dalla Cdl. Basta il passaggio di un paio di peones nella stessa direzione seguita da Marco Follini per rendere il governo un po' meno traballante. Se poi la ripresa economica darà una mano, e Prodi (usando l'extragettito fiscale garantito dal governo Berlusconi) varerà qualche provvedimento paraculo copiato dal centrodestra, tipo il taglio dell'Ici, per recuperare consensi nel ceto medio, allora l'orizzonte dell'esecutivo si allungherebbe sul serio, e Berlusconi rimpiangerebbe di non aver provato a dare il colpo di grazia al suo avversario quando avrebbe potuto farlo.
Il discorso, così come viene raccontato dalle teste pensanti della Cdl, è il seguente. Immaginiamo che domani Prodi caschi. L'ideale (almeno per quelli di Forza Italia) sarebbe andare alle elezioni subito. Ma il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha già detto che prima si inventerà di tutto per far cambiare la legge elettorale. In realtà è opinione diffusa, almeno tra i grandi partiti, che questa legge vada più o meno bene, e tutti sanno che la situazione di stallo attuale è semplicemente dovuta al fatto che le elezioni sono finite in sostanziale pareggio (l'Unione ha addirittura preso meno voti della Cdl al Senato...). Fatto sta che, scomparso di scena Prodi, Napolitano insisterà per mettere su un governo di larghe intese che abbia al primo punto della sua agenda proprio la riforma della legge elettorale e, se necessario, di quelle parti della Costituzione legate all'introduzione del nuovo sistema di voto.
A questo punto, per Berlusconi ci sarà il dilemma: che fare? Accettare l'offerta del Quirinale ed entrare nella maggioranza che sorregge un governicchio Dini o Marini, oppure rifiutare? Fosse per il Cavaliere, non ci sarebbero dubbi: fare a braccio di ferro con Napolitano, respingere l'offerta e tirare la corda quanto basta per romperla e non lasciare al Colle altra strada che sciogliere le Camere e indire nuove elezioni. Ma Berlusconi ha un incubo: Pier Ferdinando Casini. Se Casini, tentato da una riforma delle legge elettorale in senso proporzionale sul modello tedesco, accetta l'offerta di dialogo della sinistra, e magari la Lega fa altrettanto, lui si ritrova messo all'angolo, unico all'opposizione, assieme a Fini, di un governo che si è insediato per riscrivere le regole. E certe cose si sa come iniziano, ma non come finiscono: si parte con la riforma elettorale e forse si termina con la legge sul conflitto d'interessi e la Gentiloni... No, l'errore che fece nel '95, quando si mise all'opposizione del governo Dini, Berlusconi stavolta non lo può ripetere.
Ma non può nemmeno accettare di far parte di un governo di larghe intese. «Se lo facciamo», argomentano gli strateghi di Forza Italia, «in una settimana perdiamo almeno 5 dei 10 i punti di vantaggio che abbiamo oggi sull'Unione». E più durerebbe questo governo tecnico, più i consensi delle due coalizioni si avvicinerebbero. Non solo: il centrosinistra, nel frattempo, avrebbe il tempo per mettere in pista una nuova candidatura, con ogni probabilità quella di Valter Veltroni. Che equivarrebbe a lasciare il Nord nelle mani della Cdl, ma di sicuro darebbe al centrodestra più problemi di Prodi.
Così a Berlusconi non resta che tifare per Prodi. Finché al governo ci sono lui e Vincenzo Visco, gli italiani continueranno a provare disgusto per l'esecutivo, e le ambizioni degli altri leader del centrosinistra resteranno represse. Non solo: Prodi garantisce Berlusconi da quello che né Franco Marini né Lamberto Dini possono promettergli (anzi...), ovvero il veto a ogni manovra neocentrista tesa a cambiare la legge elettorale e chiudere l'era del bipolarismo.
Ovviamente si tratta di una strategia di corto respiro e rischiosa. Di corto respiro, perché è evidente che Prodi non può andare avanti così per quattro anni, e occorre avere qualche carta da giocare, un'alternativa più o meno pronta da proporre quando il governo, magari per un banale incidente al Senato, cadrà. Rischiosa, perché Prodi, consapevole della sua debolezza, farà di tutto per imbarcare qualche senatore dalla Cdl. Basta il passaggio di un paio di peones nella stessa direzione seguita da Marco Follini per rendere il governo un po' meno traballante. Se poi la ripresa economica darà una mano, e Prodi (usando l'extragettito fiscale garantito dal governo Berlusconi) varerà qualche provvedimento paraculo copiato dal centrodestra, tipo il taglio dell'Ici, per recuperare consensi nel ceto medio, allora l'orizzonte dell'esecutivo si allungherebbe sul serio, e Berlusconi rimpiangerebbe di non aver provato a dare il colpo di grazia al suo avversario quando avrebbe potuto farlo.