Cellulari, il governo sapeva che le tariffe sarebbero aumentate

Come era ovvio, le tariffe praticate dai gestori della telefonia mobile stanno rincarando, e l'effetto di questi aumenti, se non lo azzererà, di certo compenserà parecchio il risparmio prodotto dall'abolizione dei costi di ricarica dei cellulari, che poi era anche l'unica medaglia che potesse appuntarsi sul petto il governo Prodi, del quale sino a oggi gli elettori hanno apprezzato soprattutto l'aumento delle tasse. "Colpa" dei gestori birichini, per carità, che comunque non sposta di una virgola il dato politico della vicenda: l'unica manovra popolare varata dal governo Prodi, se non è un bluff completo, poco ci manca.

A sinistra, il coro degli indignati nei confronti delle compagnie telefoniche è già partito. Il governo, però, non ha alcun motivo per sorprendersi davanti a questi rincari. Basta infatti avere la pazienza di scovare gli stessi documenti firmati dagli uomini dell'esecutivo e le loro stesse dichiarazioni rese in Parlamento (lontano dalle telecamere, comunque), per scoprire che ministri e sottosegretari, mentre pubblicamente assicuravano che le famiglie avrebbero realizzato risparmi consistenti, nei loro atti politici davano per scontato che esse, in realtà, non avrebbero risparmiato nemmeno un centesimo, e che l'aumento delle tariffe in seguito all'abolizione dei costi di ricarica era dato per scontato.

La prima ammissione si trova già nella relazione tecnica che accompagna il disegno di legge di conversione del decreto Bersani, il provvedimento con cui il governo ha azzerato i costi di ricarica. Infatti, se il taglio dei costi di ricarica comportasse una diminuzione delle spese per le famiglie, ne deriverebbe una diminuzione delle entrate per lo stato: il prezzo della ricarica è gravato dall'Iva, e ogni cinque euro spesi per la ricarica, uno se ne va nelle casse dello Stato. Ma il governo sostiene che non ci sarà alcun calo del gettito Iva, e commentando l'articolo che abolisce i costi di ricarica spiega:
L'articolo, ponendosi nella scia di una scelta netta a favore dei consumatori e della liberalizzazione di importanti servizi allo scopo di approntare una maggiore tutela, non comporta alcun effetto diretto sulla finanza pubblica in quanto le agevolazioni previste non comportano oneri a carico della finanza pubblica, ma si sostanziano in uno strumento normativo a tutela dei diritti dei cittadini.
Un po' fumoso, ma quello che conta è la sostanza: non ci saranno minori entrate per le casse dello Stato perché non ci sarà alcun risparmio da parte dei consumatori.

Assai più esplicito quanto detto dal sottosegretario Mario Lettieri nelle stanze della Commissione Bilancio di Montecitorio lo scorso 20 febbraio:
Il sottosegretario Mario Lettieri, in risposta alle richieste di chiarimento avanzate nella seduta di ieri, precisa che l'articolo 1 non comporta un minor gettito per la finanza pubblica in quanto l'abolizione dei costi di ricarica non determinerà diminuzione del fatturato del settore per il concomitante effetto da un lato della ristrutturazione delle tariffe, e dall'altro, dell'aumento degli acquisti.
Le parole magiche, ovviamente, sono «ristrutturazione delle tariffe». Eufemismo usato per non pronunciare la parola «rincari», pur stando a indicare esattamente la stessa identica cosa.

Il risparmio, dunque, bene che vada, per stessa ammissione del governo non sarà in soldi (nessuna «riduzione del fatturato» per le compagnie telefoniche vuol dire nessun euro risparmiato dalle famiglie), ma si tradurrà in qualche telefonata in più (l'«aumento degli acquisti» di ricariche telefoniche di cui parla Lettieri). Telefonate che comunque pagheremo a un prezzo maggiorato.

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