Mondiali 2006: doppiezza e ipocrisia del governo Prodi
di Fausto Carioti
L’ipocrisia con cui il neonato governo Prodi prima cavalcò l’ondata moralista di Calciopoli e poi si gettò a pesce sulla vittoria azzurra ai mondiali era evidente a occhio nudo. L’immagine di Giovanna Melandri sul pullman degli azzurri vincitori, nella notte romana del 10 luglio, è una delle più eloquenti tra le tante figure peregrine che ci ha regalato l’esecutivo dell’Unione. Ma ora si scopre che ipocrisia e doppiezza andavano assai più in profondità di quanto si potesse intuire: fosse stato infatti per Romano Prodi e la Melandri, Marcello Lippi non avrebbe guidato l’avventura italiana in Germania e - si può dire con qualche ragione - il quarto titolo mondiale non sarebbe arrivato sulle maglie azzurre. I due, svela un libro appena uscito, esercitarono fortissime pressioni sul commissario della Federcalcio Guido Rossi, alla vigilia del mondiale, affinché esonerasse Lippi, colpevole di avere il figlio coinvolto nello scandalo Gea. Un teorema, quello per cui le colpe (peraltro ancora da dimostrare) dei figli debbono ricadere sui padri, barbaro e insensato, tanto che Rossi, che pure non è un agnellino, vi si oppose, confermando Lippi contro la volontà del governo.
È tutto raccontato in “Calciopoli. Collasso e restaurazione di un sistema corrotto”, di Bruno Bartolozzi e Marco Mensurati (il primo, oggi al Corriere dello Sport, è stato capo della comunicazione dell’Inter, mentre Mensurati è un giovane cronista di Repubblica). Libro-inchiesta “partigiano”, nel senso che prende dichiaratamente le parti di Rossi (non è difficile intuire una certa vicinanza tra lui e i due autori). Tra i protagonisti del volume spiccano proprio il presidente del consiglio e la sua ministra per lo Sport. A loro è dedicato un capitolo, inequivocabile già nel titolo: “Il governo Prodi contro Lippi”. E chi ne esce peggio è proprio l’esponente diessina. In una pagina ambientata nelle convulse giornate di metà maggio si legge: «Il ministro Melandri (...) è certa che la priorità di Rossi debba essere il licenziamento dell’allenatore della Nazionale. (...) Però Rossi non è intenzionato a far saltare l’allenatore. Il commissario sta procedendo con le sue verifiche e, a meno di impedimenti oggettivi, la conferma del ct in carica è pressoché scontata. Spiazzata, la Melandri prende tempo, si innervosisce e si agita durante tutto il weekend, fa pressione sui commissari, preoccupata di non poter cavalcare l’ondata di indignazione popolare. Ne parla con chi può, deputati, senatori, forse è lei a ottenere che anche il capo del governo si faccia carico del problema. Il governo prova a chiedere a Rossi di liberarsi di quello che ormai è diventato un peso. Ma, come detto, Guido Rossi non ci pensa minimamente. Così la Melandri alla fine si rassegna, e il 22 maggio, da attrice consumata, si prepara a recitare il nuovo copione: calza le infradito e, sotto la pioggia battente, si dirige a Coverciano e si mette in posa per la stampa con il tecnico di Viareggio».
Con le sue smanie di protagonismo, anche quando buon senso e rispetto delle istituzioni avrebbero dovuto suggerirle di non mettere nella vicenda né bocca né dito, la Melandri diventa l’archetipo del vuoto della politica: «In più occasioni», si legge nel libro, «mostra un comportamento che la porta a incarnare il paradigma del politico italiano medio, simbolo dei poteri deboli. Attentissima all’immagine, registra, talvolta in modo eccitato (in questo simile a Matarrese), i sentimenti immediati della gente, ai quali si adegua, quando non li anticipa».
Il resto ce lo raccontano le cronache. Iniziano i campionati del mondo e ben presto si capisce che Fabio Cannavaro e gli altri “impresentabili” fanno sul serio. Fiutata l’aria, Prodi e la ministra iniziano a sbausciare Lippi e la sua truppa. Dopo Italia-Ucraina (3-0 per gli azzurri), ostentando competenze sino ad allora insospettabili, la Melandri regalava agli italiani il suo giudizio tecnico: «Mi ha impressionato Lippi per come ha schierato la squadra». Dopo la semifinale vittoriosa sulla Germania, presidente del consiglio e ministra corrono negli spogliatoi, ad uso delle telecamere, per farsi vedere accanto al ct che poche settimane prima avevano fatto di tutto per cacciare via . «Dico a lei tre volte “bravo”. Ho visto due gol bellissimi. Lei è una persona che ha una passione enorme», gongola il premier, ormai convertito da aspirante epuratore a tifoso numero uno dell’allenatore viareggino.
Con la vittoria dell’Italia nella finale contro la Francia il presidente del consiglio e la sua ministra completano la metamorfosi. Una mossa politicamente obbligata. I sondaggi attestano che il governo Prodi già sta disgustando gli italiani: è il primo esecutivo a non aver avuto nemmeno un giorno di “luna di miele” con gli elettori, e rubare alla nazionale un po’ di luce riflessa è diventato penosamente necessario. Così gli italiani assistono sbigottiti all’esibizione della ministra che canta «po-poppo-popo-poppooppo» sul pullman dei vincitori, mentre Prodi invita a palazzo Chigi la squadra, alza la coppa insieme a Cannavaro e intona il peana per il commissario tecnico e i suoi uomini: «Avete ridato al calcio nazionale, attraversato da una tempesta senza pari, la dignità che merita». La riconferma di Lippi? «Sono pronto ad aprire una trattativa», gigioneggia il premier accanto all’allenatore. «Ridono, quasi due amici», si leggerà su Repubblica.
Intanto, nelle foto che fanno il giro del pianeta, la Melandri, coppa del mondo in mano, è in mezzo a Prodi e Cannavaro e fa la simpatica con il ct vincitore (che di lì a poco si sarebbe dimesso). Scene che, specialmente ora che è venuta a galla l’intera storia, possono ispirare tristezza o disgusto. Ma la verità è che hanno ragione Bartolozzi e Mensurati: «In un Paese che dimentica in fretta e che fa presto a cambiare idea, che ama le iperboli, che annuncia sempre grandi riforme per poi dar vita a leggi modeste e pasticciate, la prerogativa della Melandri di smentirsi di continuo non è un limite, bensì una dote».
© Libero. Pubblicato il 14 marzo 2007.
L’ipocrisia con cui il neonato governo Prodi prima cavalcò l’ondata moralista di Calciopoli e poi si gettò a pesce sulla vittoria azzurra ai mondiali era evidente a occhio nudo. L’immagine di Giovanna Melandri sul pullman degli azzurri vincitori, nella notte romana del 10 luglio, è una delle più eloquenti tra le tante figure peregrine che ci ha regalato l’esecutivo dell’Unione. Ma ora si scopre che ipocrisia e doppiezza andavano assai più in profondità di quanto si potesse intuire: fosse stato infatti per Romano Prodi e la Melandri, Marcello Lippi non avrebbe guidato l’avventura italiana in Germania e - si può dire con qualche ragione - il quarto titolo mondiale non sarebbe arrivato sulle maglie azzurre. I due, svela un libro appena uscito, esercitarono fortissime pressioni sul commissario della Federcalcio Guido Rossi, alla vigilia del mondiale, affinché esonerasse Lippi, colpevole di avere il figlio coinvolto nello scandalo Gea. Un teorema, quello per cui le colpe (peraltro ancora da dimostrare) dei figli debbono ricadere sui padri, barbaro e insensato, tanto che Rossi, che pure non è un agnellino, vi si oppose, confermando Lippi contro la volontà del governo.
È tutto raccontato in “Calciopoli. Collasso e restaurazione di un sistema corrotto”, di Bruno Bartolozzi e Marco Mensurati (il primo, oggi al Corriere dello Sport, è stato capo della comunicazione dell’Inter, mentre Mensurati è un giovane cronista di Repubblica). Libro-inchiesta “partigiano”, nel senso che prende dichiaratamente le parti di Rossi (non è difficile intuire una certa vicinanza tra lui e i due autori). Tra i protagonisti del volume spiccano proprio il presidente del consiglio e la sua ministra per lo Sport. A loro è dedicato un capitolo, inequivocabile già nel titolo: “Il governo Prodi contro Lippi”. E chi ne esce peggio è proprio l’esponente diessina. In una pagina ambientata nelle convulse giornate di metà maggio si legge: «Il ministro Melandri (...) è certa che la priorità di Rossi debba essere il licenziamento dell’allenatore della Nazionale. (...) Però Rossi non è intenzionato a far saltare l’allenatore. Il commissario sta procedendo con le sue verifiche e, a meno di impedimenti oggettivi, la conferma del ct in carica è pressoché scontata. Spiazzata, la Melandri prende tempo, si innervosisce e si agita durante tutto il weekend, fa pressione sui commissari, preoccupata di non poter cavalcare l’ondata di indignazione popolare. Ne parla con chi può, deputati, senatori, forse è lei a ottenere che anche il capo del governo si faccia carico del problema. Il governo prova a chiedere a Rossi di liberarsi di quello che ormai è diventato un peso. Ma, come detto, Guido Rossi non ci pensa minimamente. Così la Melandri alla fine si rassegna, e il 22 maggio, da attrice consumata, si prepara a recitare il nuovo copione: calza le infradito e, sotto la pioggia battente, si dirige a Coverciano e si mette in posa per la stampa con il tecnico di Viareggio».
Con le sue smanie di protagonismo, anche quando buon senso e rispetto delle istituzioni avrebbero dovuto suggerirle di non mettere nella vicenda né bocca né dito, la Melandri diventa l’archetipo del vuoto della politica: «In più occasioni», si legge nel libro, «mostra un comportamento che la porta a incarnare il paradigma del politico italiano medio, simbolo dei poteri deboli. Attentissima all’immagine, registra, talvolta in modo eccitato (in questo simile a Matarrese), i sentimenti immediati della gente, ai quali si adegua, quando non li anticipa».
Il resto ce lo raccontano le cronache. Iniziano i campionati del mondo e ben presto si capisce che Fabio Cannavaro e gli altri “impresentabili” fanno sul serio. Fiutata l’aria, Prodi e la ministra iniziano a sbausciare Lippi e la sua truppa. Dopo Italia-Ucraina (3-0 per gli azzurri), ostentando competenze sino ad allora insospettabili, la Melandri regalava agli italiani il suo giudizio tecnico: «Mi ha impressionato Lippi per come ha schierato la squadra». Dopo la semifinale vittoriosa sulla Germania, presidente del consiglio e ministra corrono negli spogliatoi, ad uso delle telecamere, per farsi vedere accanto al ct che poche settimane prima avevano fatto di tutto per cacciare via . «Dico a lei tre volte “bravo”. Ho visto due gol bellissimi. Lei è una persona che ha una passione enorme», gongola il premier, ormai convertito da aspirante epuratore a tifoso numero uno dell’allenatore viareggino.
Con la vittoria dell’Italia nella finale contro la Francia il presidente del consiglio e la sua ministra completano la metamorfosi. Una mossa politicamente obbligata. I sondaggi attestano che il governo Prodi già sta disgustando gli italiani: è il primo esecutivo a non aver avuto nemmeno un giorno di “luna di miele” con gli elettori, e rubare alla nazionale un po’ di luce riflessa è diventato penosamente necessario. Così gli italiani assistono sbigottiti all’esibizione della ministra che canta «po-poppo-popo-poppooppo» sul pullman dei vincitori, mentre Prodi invita a palazzo Chigi la squadra, alza la coppa insieme a Cannavaro e intona il peana per il commissario tecnico e i suoi uomini: «Avete ridato al calcio nazionale, attraversato da una tempesta senza pari, la dignità che merita». La riconferma di Lippi? «Sono pronto ad aprire una trattativa», gigioneggia il premier accanto all’allenatore. «Ridono, quasi due amici», si leggerà su Repubblica.
Intanto, nelle foto che fanno il giro del pianeta, la Melandri, coppa del mondo in mano, è in mezzo a Prodi e Cannavaro e fa la simpatica con il ct vincitore (che di lì a poco si sarebbe dimesso). Scene che, specialmente ora che è venuta a galla l’intera storia, possono ispirare tristezza o disgusto. Ma la verità è che hanno ragione Bartolozzi e Mensurati: «In un Paese che dimentica in fretta e che fa presto a cambiare idea, che ama le iperboli, che annuncia sempre grandi riforme per poi dar vita a leggi modeste e pasticciate, la prerogativa della Melandri di smentirsi di continuo non è un limite, bensì una dote».
© Libero. Pubblicato il 14 marzo 2007.