Come difendere i soldati italiani e affondare Prodi
di Fausto Carioti
Come spesso accade, l’idea migliore è venuta alla Lega. Mettere il governo Prodi e la sua scassata maggioranza dinanzi alla scelta più difficile: uscire dalle ambiguità e rifinanziare la missione militare in Afghanistan, ma riconoscendo che siamo in guerra e dotando i nostri soldati delle armi e delle regole d’ingaggio necessarie; oppure continuare a fare finta di niente e sperare che basti promettere più oppio per tutti per tenere i compagni talebani lontani dai nostri militari. Nel primo caso, il governo voterebbe assieme al centrodestra, lacerando irrimediabilmente la propria maggioranza. Nel secondo la Cdl potrebbe scegliere la strada dell’astensione, che al Senato vale come voto negativo, e il governo, anche se dovesse spuntarla, si assumerebbe da solo tutte le responsabilità di quanto accadrà nelle prossime settimane, quando le pallottole fischieranno molto vicino agli elmetti dei nostri soldati. Come altrettanto spesso succede, però, il resto della Cdl non ha capito o ha finto di non capire quanto il piano del Carroccio fosse pericoloso per Prodi, e a Montecitorio, invece di sottoscrivere la proposta salva-soldati e spacca-sinistra che i leghisti avevano inserito in due ordini del giorno poi respinti dall’aula, ha preferito votare insieme all’Unione. Ma quello che avviene alla Camera, dove Prodi può contare sul surplus di deputati garantito dal premio di maggioranza, conta poco o niente: è al Senato, dove il centrosinistra ormai non ha più alcun margine di sicurezza, che si giocano tutte le partite di questa legislatura. Ed è proprio a palazzo Madama che l’opposizione medita il difficile colpaccio: rifinanziare la missione, mettere il nostro contingente nelle migliori condizioni per difendersi e fare leva sulle divisioni dell’Unione, cercando di romperla una volta per tutte. Per questo, l’idea di rilanciare l’aut-aut leghista, inserendolo in un ordine del giorno o in una mozione da far votare in aula per inchiodare il governo, sta tentando più di un senatore forzista.
Le teste pensanti della Casa delle Libertà sono da giorni al lavoro per trovare il modo di mettere assieme il diavolo (ovvero la voglia di usare la politica estera per dare il colpo di grazia al governo) e l’acquasanta (l’obbligo morale e politico di sostenere una missione al fianco degli alleati americani, iniziata col governo Berlusconi). Ora l’occasione, purtroppo, è a portata di mano. In Afghanistan ci si attendeva l’offensiva degli statunitensi e dei loro alleati, e quelli dell’Unione erano intenzionati a tenere i nostri soldati ben lontani dagli scontri, facendo i finti sordi davanti alle richieste del premier inglese Tony Blair, che chiede agli italiani - come è giusto che sia - di fare la loro parte contro i guerrieri di Allah. Ma i guai stanno per raggiungere comunque gli ottocento uomini del reggimento Sassari schierati a Herat, nell’area nordoccidentale del Paese. Le nostre truppe devono prepararsi a fronteggiare un attacco durissimo da parte dei talebani, e i più avveduti nel governo e nel centrosinistra ammettono che il rischio di riportare vittime va messo in seria considerazione.
Quale sia la situazione lo ha spiegato benissimo il sottosegretario alla Difesa Lorenzo Forcieri, diessino, uno dei pochi che nell’attuale governo “mastica” davvero la materia che gli è stata affidata: non illudiamoci, ha ammonito, l’offensiva dei talebani arriverà molto presto e sarà molto dura, per loro siamo nemici. «Anche se non cerchiamo guai, i guai cercheranno noi». Le armi di cui dispongono ora i nostri soldati e le regole d’ingaggio con cui sono stati spediti a Kabul li mettono sì e no in grado di fronteggiare una situazione di guerriglia a bassa intensità, non certo una vera e propria controffensiva delle milizie talebane, come quella attesa nelle prossime settimane. A differenza di quelli americano e inglese, infatti, il contingente italiano è in Afghanistan in versione “leggera”: senza artiglieria, cingolati o altri mezzi pesanti, privo di velivoli da combattimento. Ora che la situazione è cambiata, alla politica non resterebbe che prenderne atto e cambiare anche le regole e i mezzi per affrontarla. Gli stessi militari italiani, che hanno il polso della situazione meglio dei nostri politici, chiedono di essere messi al più presto in condizione di difendersi. Gli spari che ieri a Kabul sono stati indirizzati a una nostra pattuglia non hanno fatto feriti, ma confermano che la tensione si sta alzando.
Romano Prodi, Massimo D’Alema, Arturo Parisi e Piero Fassino con ogni probabilità proveranno a mantenere la testa sotto la sabbia, incrociare le dita, continuare a dire che la nostra era e resta una missione di pace e sperare che non ci scappi il morto. Sta alla Cdl stanarli e inchiodarli alle loro responsabilità: siete pronti ad ammettere che i militari italiani in Afghanistan sono in guerra contro i talebani? Quanti tra i senatori di Rifondazione, dei Verdi e dei Comunisti italiani, già riluttanti all’idea di votare il semplice rifinanziamento della missione, sono disposti a sfidare la scomunica dei loro elettori no global, pacifisti e antiamericani per proteggere i nostri soldati, dando loro più armi e più libertà di sparare?
Se Prodi dovesse dire sì a un testo che imponesse al governo di mettere i nostri soldati in assetto di guerra, spaccherebbe la sua maggioranza. Se, come è assai probabile, dovesse invece dichiararsi contrario, metterebbe in gioco, per la sua sopravvivenza politica, le vite dei soldati italiani all’estero e si esporrebbe al rischio di vedere la proposta del centrodestra approvata con i voti di qualche senatore a vita e magari di qualche centrista dell’Unione. In questo caso, al presidente del Consiglio non resterebbero che le dimissioni.
La votazione in Senato sulla missione militare in Afghanistan metterà dinanzi alle proprie responsabilità anche l’opposizione. Dove, tanto per essere chiari, al di là delle dichiarazioni ufficiali non tutti hanno voglia di mandare a casa Prodi e magari tornare alle urne il prima possibile, con la legge attuale o con un’altra scritta in fretta e furia. La tentazione di regolare prima i conti all’interno del centrodestra è forte. Da come si comporteranno i gruppi di Forza Italia, Alleanza Nazionale e Udc al Senato si capirà molto di quello che passa davvero per la testa di Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini.
© Libero. Pubblicato il 9 marzo 2007.
Post scriptum. Stessa richiesta al centrodestra, guarda un po', arriva oggi dalle colonne del Foglio. L'editoriale s'intitola "La destra e l'onore nazionale. La Cdl in Senato può e deve imporre la fine del balletto disfattista".
Come spesso accade, l’idea migliore è venuta alla Lega. Mettere il governo Prodi e la sua scassata maggioranza dinanzi alla scelta più difficile: uscire dalle ambiguità e rifinanziare la missione militare in Afghanistan, ma riconoscendo che siamo in guerra e dotando i nostri soldati delle armi e delle regole d’ingaggio necessarie; oppure continuare a fare finta di niente e sperare che basti promettere più oppio per tutti per tenere i compagni talebani lontani dai nostri militari. Nel primo caso, il governo voterebbe assieme al centrodestra, lacerando irrimediabilmente la propria maggioranza. Nel secondo la Cdl potrebbe scegliere la strada dell’astensione, che al Senato vale come voto negativo, e il governo, anche se dovesse spuntarla, si assumerebbe da solo tutte le responsabilità di quanto accadrà nelle prossime settimane, quando le pallottole fischieranno molto vicino agli elmetti dei nostri soldati. Come altrettanto spesso succede, però, il resto della Cdl non ha capito o ha finto di non capire quanto il piano del Carroccio fosse pericoloso per Prodi, e a Montecitorio, invece di sottoscrivere la proposta salva-soldati e spacca-sinistra che i leghisti avevano inserito in due ordini del giorno poi respinti dall’aula, ha preferito votare insieme all’Unione. Ma quello che avviene alla Camera, dove Prodi può contare sul surplus di deputati garantito dal premio di maggioranza, conta poco o niente: è al Senato, dove il centrosinistra ormai non ha più alcun margine di sicurezza, che si giocano tutte le partite di questa legislatura. Ed è proprio a palazzo Madama che l’opposizione medita il difficile colpaccio: rifinanziare la missione, mettere il nostro contingente nelle migliori condizioni per difendersi e fare leva sulle divisioni dell’Unione, cercando di romperla una volta per tutte. Per questo, l’idea di rilanciare l’aut-aut leghista, inserendolo in un ordine del giorno o in una mozione da far votare in aula per inchiodare il governo, sta tentando più di un senatore forzista.
Le teste pensanti della Casa delle Libertà sono da giorni al lavoro per trovare il modo di mettere assieme il diavolo (ovvero la voglia di usare la politica estera per dare il colpo di grazia al governo) e l’acquasanta (l’obbligo morale e politico di sostenere una missione al fianco degli alleati americani, iniziata col governo Berlusconi). Ora l’occasione, purtroppo, è a portata di mano. In Afghanistan ci si attendeva l’offensiva degli statunitensi e dei loro alleati, e quelli dell’Unione erano intenzionati a tenere i nostri soldati ben lontani dagli scontri, facendo i finti sordi davanti alle richieste del premier inglese Tony Blair, che chiede agli italiani - come è giusto che sia - di fare la loro parte contro i guerrieri di Allah. Ma i guai stanno per raggiungere comunque gli ottocento uomini del reggimento Sassari schierati a Herat, nell’area nordoccidentale del Paese. Le nostre truppe devono prepararsi a fronteggiare un attacco durissimo da parte dei talebani, e i più avveduti nel governo e nel centrosinistra ammettono che il rischio di riportare vittime va messo in seria considerazione.
Quale sia la situazione lo ha spiegato benissimo il sottosegretario alla Difesa Lorenzo Forcieri, diessino, uno dei pochi che nell’attuale governo “mastica” davvero la materia che gli è stata affidata: non illudiamoci, ha ammonito, l’offensiva dei talebani arriverà molto presto e sarà molto dura, per loro siamo nemici. «Anche se non cerchiamo guai, i guai cercheranno noi». Le armi di cui dispongono ora i nostri soldati e le regole d’ingaggio con cui sono stati spediti a Kabul li mettono sì e no in grado di fronteggiare una situazione di guerriglia a bassa intensità, non certo una vera e propria controffensiva delle milizie talebane, come quella attesa nelle prossime settimane. A differenza di quelli americano e inglese, infatti, il contingente italiano è in Afghanistan in versione “leggera”: senza artiglieria, cingolati o altri mezzi pesanti, privo di velivoli da combattimento. Ora che la situazione è cambiata, alla politica non resterebbe che prenderne atto e cambiare anche le regole e i mezzi per affrontarla. Gli stessi militari italiani, che hanno il polso della situazione meglio dei nostri politici, chiedono di essere messi al più presto in condizione di difendersi. Gli spari che ieri a Kabul sono stati indirizzati a una nostra pattuglia non hanno fatto feriti, ma confermano che la tensione si sta alzando.
Romano Prodi, Massimo D’Alema, Arturo Parisi e Piero Fassino con ogni probabilità proveranno a mantenere la testa sotto la sabbia, incrociare le dita, continuare a dire che la nostra era e resta una missione di pace e sperare che non ci scappi il morto. Sta alla Cdl stanarli e inchiodarli alle loro responsabilità: siete pronti ad ammettere che i militari italiani in Afghanistan sono in guerra contro i talebani? Quanti tra i senatori di Rifondazione, dei Verdi e dei Comunisti italiani, già riluttanti all’idea di votare il semplice rifinanziamento della missione, sono disposti a sfidare la scomunica dei loro elettori no global, pacifisti e antiamericani per proteggere i nostri soldati, dando loro più armi e più libertà di sparare?
Se Prodi dovesse dire sì a un testo che imponesse al governo di mettere i nostri soldati in assetto di guerra, spaccherebbe la sua maggioranza. Se, come è assai probabile, dovesse invece dichiararsi contrario, metterebbe in gioco, per la sua sopravvivenza politica, le vite dei soldati italiani all’estero e si esporrebbe al rischio di vedere la proposta del centrodestra approvata con i voti di qualche senatore a vita e magari di qualche centrista dell’Unione. In questo caso, al presidente del Consiglio non resterebbero che le dimissioni.
La votazione in Senato sulla missione militare in Afghanistan metterà dinanzi alle proprie responsabilità anche l’opposizione. Dove, tanto per essere chiari, al di là delle dichiarazioni ufficiali non tutti hanno voglia di mandare a casa Prodi e magari tornare alle urne il prima possibile, con la legge attuale o con un’altra scritta in fretta e furia. La tentazione di regolare prima i conti all’interno del centrodestra è forte. Da come si comporteranno i gruppi di Forza Italia, Alleanza Nazionale e Udc al Senato si capirà molto di quello che passa davvero per la testa di Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini.
© Libero. Pubblicato il 9 marzo 2007.
Post scriptum. Stessa richiesta al centrodestra, guarda un po', arriva oggi dalle colonne del Foglio. L'editoriale s'intitola "La destra e l'onore nazionale. La Cdl in Senato può e deve imporre la fine del balletto disfattista".