La caricatura della caricatura di Corrado Guzzanti
di Fausto Carioti
Andamento lento. Lentissimo. Praticamente immobile. Il Romano Prodi di oggi è la caricatura della caricatura che gli faceva Corrado Guzzanti in televisione una decina d’anni fa: «Sono come un semaforo. Fermo. Non mi muovo di un metro. Sto sul culo a tutti, ma l’importante è restare al governo». Il presidente del consiglio ha capito che è meglio perdere tempo che perdere la poltrona. Così ha stracciato il programma del suo esecutivo e l’ha sostituito con uno nuovo, alquanto stringato. Una sola riga: cambiare la legge elettorale scrivendone una bipartisan, del quale lui stesso si fa garante. Il tutto con la massima calma. Perché ogni giorno buttato via senza concludere nulla è un giorno guadagnato per il governo. Davanti all’unico che avrebbe davvero qualcosa da obiettare sulla dilatazione dei tempi, Silvio Berlusconi, Prodi agita il bastone e la carota. Il bastone è la legge Gentiloni, con cui il governo vorrebbe riscrivere le regole dell’emittenza in modo da penalizzare le tv di Berlusconi. Ma è un’arma spuntata, perché non si vede come un provvedimento simile possa uscire indenne dalla palude del Senato. Più efficace potrebbe rivelarsi la carota, ovvero il possibile passaggio di Telecom Italia nell’orbita Mediaset, impraticabile senza l’avallo del governo. La dice lunga il fatto che Fedele Confalonieri ne parli apertamente e che da sinistra nessuno lanci l’allarme per l’ennesimo attentato berlusconiano al pluralismo, e anzi qualcuno - tipo il ministro ds Pierluigi Bersani - quasi lasci intendere di gradire la soluzione.
Lo scomparso Pinuccio Tatarella, che di politica ne sapeva qualcosa, in simili casi si divertiva a parafrasare Virgilio: «Timeo ulivaos et dona ferentes», temo gli ulivisti anche quando portano doni. L’intento di Prodi è chiaro: uscire il meno malconcio possibile dalla votazione sul rifinanziamento della missione in Afghanistan che si terrà a fine mese. È scontato che il governo avrà bisogno del voto decisivo dei senatori a vita e del centrodestra. A questo punto, se l’opposizione si presentasse compatta al Quirinale per chiedere le sue dimissioni avrebbe in serio pericolo. Il primo obiettivo è dunque ammorbidire i rivali almeno sino ad allora, o quantomeno dividerli a colpi di promesse: con Berlusconi si impegna a difendere il bipolarismo mentre gli fa annusare l’affare Telecom, tenta la Lega e l’Udc ventilando l’ipotesi di far saltare il referendum, e intanto il suo ultimo scudiero, Arturo Parisi, resta nel comitato referendario assieme agli emissari di Berlusconi e di Gianfranco Fini. Impegni inconciliabili: Prodi promette tutto e il contrario di tutto, ma se ne frega perché servono solo a fargli guadagnare tempo.
Basta leggere l’agenda dei suoi appuntamenti. Martedì il premier ha avviato le consultazioni per la riforma della legge elettorale incontrando la Lega. Pur di scongiurare il rischio-referendum, che lo ridurrebbe a un partito marginale, il Carroccio si è detto disposto a riscrivere la Costituzione, operazione che può portare via due anni. Fregandosi le mani, Prodi si è preso un giorno di riposo. Giovedì ha incontrato l’Udc, che vuole una legge elettorale proporziona e con soglia di sbarramento, sul modello tedesco. Lui ha risposto che se ne può discutere. Ieri c’era il consiglio dei ministri, ora c’è il fine settimana. Se ne riparla martedì con gli uomini di Alleanza nazionale. Poi sarà il turno di Forza Italia e dei partiti della maggioranza. Dopo, ovviamente, ci vorrà almeno un secondo giro di incontri. Bisognerà stendere una bozza di riforma elettorale, sottoporla ai partiti, correggerla. Senza fretta: più tardi diventa evidente che è impossibile trovare un accordo - persino all’interno dello stesso centrosinistra - meglio è per lui.
Il tentativo di Prodi è sfacciato. Uno degli analisti più attenti del centrodestra, il senatore di Forza Italia Gaetano Quagliariello, denuncia: «Il fatto che la crisi di governo si sia aperta sulla politica estera e si sia chiusa sulla legge elettorale è già di per sé un assurdo. Adesso Prodi usa la legge elettorale come un ostaggio, per cercare di durare il più possibile. Ma è tutto da dimostrare che la legge elettorale sia un’emergenza, e anche se lo fosse deve essere affrontata in maniera chiara e veloce. Per organizzare incontri con i partiti su questo tema non occorrono sei mesi, come sta facendo Prodi, ma bastano cinque giorni».
Proprio oggi, da Cernobbio, Berlusconi avviserà il rivale che Forza Italia non è disposta ad accettare trattative infinite sulla legge elettorale. Giorgio Stracquadanio, senatore vicinissimo al Cavaliere, fa capire che la tregua armata vacilla e che un ultimatum potrebbe essere vicino: «Il governo è politicamente morto, perché ha mancato di rispettare la prima delle promesse elettorali di Prodi. Aveva assicurato che stavolta, a differenza del ’96, c’era una coalizione coesa e coerente, unita da un programma e da una leadership. Dopo soli otto mesi si è dimostrato che quella promessa era falsa. Sulla politica internazionale, e non solo, il programma non c’è più. E non c’è più nemmeno la leadership, tanto che Prodi, nei dodici punti, è stato costretto a mettere nero su bianco che quello che decide è lui».
Eppure, se riuscirà a restare in sella sino a giugno, Romano il temporeggiatore potrà quasi dire di averla spuntata. Varato il documento di programmazione economico finanziaria (tutt’altro che impegnativo), abbandonato al suo destino il disegno di legge sui Dico e lasciando il Senato il più disoccupato possibile, il governo dovrebbe riuscire ad arrivare vivo alla fine dell’anno. Quando, grazie alla crescita dell’economia e delle entrate tributarie avviata col precedente governo, ci saranno un po’ di mance da distribuire agli elettori con la Finanziaria. A quel punto la “nuttata” sarà passata. Certo, basta poco per mandare tutto quanto a monte, specie in Afghanistan, dove un incidente tra i soldati italiani e le milizie talebane manderebbe a picco la maggioranza. Ma Prodi, al momento, alternative non ne ha. Può solo fare melina e sperare che la sua fortuna, quel fattore “c” che tante volte l’ha aiutato in passato, non lo abbia abbandonato per sempre.
© Libero. Pubblicato il 17 marzo 2007.
Andamento lento. Lentissimo. Praticamente immobile. Il Romano Prodi di oggi è la caricatura della caricatura che gli faceva Corrado Guzzanti in televisione una decina d’anni fa: «Sono come un semaforo. Fermo. Non mi muovo di un metro. Sto sul culo a tutti, ma l’importante è restare al governo». Il presidente del consiglio ha capito che è meglio perdere tempo che perdere la poltrona. Così ha stracciato il programma del suo esecutivo e l’ha sostituito con uno nuovo, alquanto stringato. Una sola riga: cambiare la legge elettorale scrivendone una bipartisan, del quale lui stesso si fa garante. Il tutto con la massima calma. Perché ogni giorno buttato via senza concludere nulla è un giorno guadagnato per il governo. Davanti all’unico che avrebbe davvero qualcosa da obiettare sulla dilatazione dei tempi, Silvio Berlusconi, Prodi agita il bastone e la carota. Il bastone è la legge Gentiloni, con cui il governo vorrebbe riscrivere le regole dell’emittenza in modo da penalizzare le tv di Berlusconi. Ma è un’arma spuntata, perché non si vede come un provvedimento simile possa uscire indenne dalla palude del Senato. Più efficace potrebbe rivelarsi la carota, ovvero il possibile passaggio di Telecom Italia nell’orbita Mediaset, impraticabile senza l’avallo del governo. La dice lunga il fatto che Fedele Confalonieri ne parli apertamente e che da sinistra nessuno lanci l’allarme per l’ennesimo attentato berlusconiano al pluralismo, e anzi qualcuno - tipo il ministro ds Pierluigi Bersani - quasi lasci intendere di gradire la soluzione.
Lo scomparso Pinuccio Tatarella, che di politica ne sapeva qualcosa, in simili casi si divertiva a parafrasare Virgilio: «Timeo ulivaos et dona ferentes», temo gli ulivisti anche quando portano doni. L’intento di Prodi è chiaro: uscire il meno malconcio possibile dalla votazione sul rifinanziamento della missione in Afghanistan che si terrà a fine mese. È scontato che il governo avrà bisogno del voto decisivo dei senatori a vita e del centrodestra. A questo punto, se l’opposizione si presentasse compatta al Quirinale per chiedere le sue dimissioni avrebbe in serio pericolo. Il primo obiettivo è dunque ammorbidire i rivali almeno sino ad allora, o quantomeno dividerli a colpi di promesse: con Berlusconi si impegna a difendere il bipolarismo mentre gli fa annusare l’affare Telecom, tenta la Lega e l’Udc ventilando l’ipotesi di far saltare il referendum, e intanto il suo ultimo scudiero, Arturo Parisi, resta nel comitato referendario assieme agli emissari di Berlusconi e di Gianfranco Fini. Impegni inconciliabili: Prodi promette tutto e il contrario di tutto, ma se ne frega perché servono solo a fargli guadagnare tempo.
Basta leggere l’agenda dei suoi appuntamenti. Martedì il premier ha avviato le consultazioni per la riforma della legge elettorale incontrando la Lega. Pur di scongiurare il rischio-referendum, che lo ridurrebbe a un partito marginale, il Carroccio si è detto disposto a riscrivere la Costituzione, operazione che può portare via due anni. Fregandosi le mani, Prodi si è preso un giorno di riposo. Giovedì ha incontrato l’Udc, che vuole una legge elettorale proporziona e con soglia di sbarramento, sul modello tedesco. Lui ha risposto che se ne può discutere. Ieri c’era il consiglio dei ministri, ora c’è il fine settimana. Se ne riparla martedì con gli uomini di Alleanza nazionale. Poi sarà il turno di Forza Italia e dei partiti della maggioranza. Dopo, ovviamente, ci vorrà almeno un secondo giro di incontri. Bisognerà stendere una bozza di riforma elettorale, sottoporla ai partiti, correggerla. Senza fretta: più tardi diventa evidente che è impossibile trovare un accordo - persino all’interno dello stesso centrosinistra - meglio è per lui.
Il tentativo di Prodi è sfacciato. Uno degli analisti più attenti del centrodestra, il senatore di Forza Italia Gaetano Quagliariello, denuncia: «Il fatto che la crisi di governo si sia aperta sulla politica estera e si sia chiusa sulla legge elettorale è già di per sé un assurdo. Adesso Prodi usa la legge elettorale come un ostaggio, per cercare di durare il più possibile. Ma è tutto da dimostrare che la legge elettorale sia un’emergenza, e anche se lo fosse deve essere affrontata in maniera chiara e veloce. Per organizzare incontri con i partiti su questo tema non occorrono sei mesi, come sta facendo Prodi, ma bastano cinque giorni».
Proprio oggi, da Cernobbio, Berlusconi avviserà il rivale che Forza Italia non è disposta ad accettare trattative infinite sulla legge elettorale. Giorgio Stracquadanio, senatore vicinissimo al Cavaliere, fa capire che la tregua armata vacilla e che un ultimatum potrebbe essere vicino: «Il governo è politicamente morto, perché ha mancato di rispettare la prima delle promesse elettorali di Prodi. Aveva assicurato che stavolta, a differenza del ’96, c’era una coalizione coesa e coerente, unita da un programma e da una leadership. Dopo soli otto mesi si è dimostrato che quella promessa era falsa. Sulla politica internazionale, e non solo, il programma non c’è più. E non c’è più nemmeno la leadership, tanto che Prodi, nei dodici punti, è stato costretto a mettere nero su bianco che quello che decide è lui».
Eppure, se riuscirà a restare in sella sino a giugno, Romano il temporeggiatore potrà quasi dire di averla spuntata. Varato il documento di programmazione economico finanziaria (tutt’altro che impegnativo), abbandonato al suo destino il disegno di legge sui Dico e lasciando il Senato il più disoccupato possibile, il governo dovrebbe riuscire ad arrivare vivo alla fine dell’anno. Quando, grazie alla crescita dell’economia e delle entrate tributarie avviata col precedente governo, ci saranno un po’ di mance da distribuire agli elettori con la Finanziaria. A quel punto la “nuttata” sarà passata. Certo, basta poco per mandare tutto quanto a monte, specie in Afghanistan, dove un incidente tra i soldati italiani e le milizie talebane manderebbe a picco la maggioranza. Ma Prodi, al momento, alternative non ne ha. Può solo fare melina e sperare che la sua fortuna, quel fattore “c” che tante volte l’ha aiutato in passato, non lo abbia abbandonato per sempre.
© Libero. Pubblicato il 17 marzo 2007.