I comunisti e i trattati di Roma: una giravolta lunga 50 anni

In questi giorni sono tutti lì, in prima fila, a battere le mani all'Europa unita e a celebrare con parole vibranti i trattati di Roma, dei quali ricorre il cinquantenario. Come se la costruzione europea fosse un'invenzione loro, dei comunisti. Qui, ad esempio, si può leggere il discorso ufficiale del presidente della Camera, Fausto Bertinotti, il quale evoca commosso «lo spirito della fondazione dell’Europa che oggi celebriamo e che dobbiamo recuperare».

Solo che i comunisti quello spirito lo contrastarono in tutti i modi. E votarono contro l'approvazione dei trattati di Roma, accusati di creare «gravi danni» al Paese e di mille altre nefandezze. In quei giorni i comunisti ostentavano la loro opposizione «verso la politica che ispira questo trattato, verso la politica delle forze che lo hanno suggerito» con lo stesso fervore con cui oggi sostengono le cose diametralmente opposte. Su tutto questo, magari sarebbe stato doveroso che Bertinotti avesse speso mezza parola, se non di autocritica (figuriamoci) almeno di riflessione. Niente, zero assoluto.

Così, chi si vuole divertire può leggere il lungo intervento in cui Gian Carlo Pajetta, il 25 luglio del 1957, spiegava all'aula di Montecitorio tutti motivi per cui il partito comunista italiano si apprestava a votare contro i trattati di Roma. Ne pubblico qualche stralcio.
Signor Presidente, onorevoli colleghi. Di fronte alla strana unanimità che è sembrata distinguere gli oratori di tutte le parti, al di fuori della nostra, nel dichiarare - salve le critiche, che sono state tante - che i trattati sottopostici rappresentano un elemento positivo, compete alla nostra parte di giustificare una opposizione che non verte soltanto su singoli, gravi danni che questo trattato può portare alla politica del nostro paese, su pericoli che sono stati già avvertiti, su questioni importanti ma non essenziali; ma di giustificare una opposizione verso la politica che ispira questo trattato, verso la politica delle forze che lo hanno suggerito, che lo vogliono rendere una realtà, che vogliono così determinare il destino del nostro paese e di una parte dell’Europa negli anni a venire. (...)

Si tratta quindi di una politica che non può essere considerata come accettabile dalle forze rivoluzionarie, dalle forze che rappresentano i lavoratori del nostro paese. Non possiamo, di fronte a questi propositi, di fronte al fatto che sono le forze reazionarie che lo hanno preparato e che vogliono guidarlo, pensare soltanto che la forza delle cose può trasformare questo strumento o può fare che uno strumento preparato da questa gente divenga un’arma che possa essere impugnata dal movimento democratico. Il mercato comune è voluto dalle forze retrive e dai gruppi privilegiati. Nessuno può contestarlo! (...)

Noi pensiamo che vi sia un’altra politica, quella che coincide con gli interessi generali del paese. Imboccare oggi la strada del mercato comune, la strada che porta al consolidamento della piccola Europa, all’irrigidimento delle divisioni esistenti, non significa soltanto fare delle scelte economiche o giocare alla scommessa della speranza, ma significa rifiutare di imboccare un’altra strada.
Il testo integrale del discorso di Pajetta si può leggere qui, sul sito della Camera. Come dicono a sinistra: per non dimenticare.

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