Telecom, tarallucci e vino
Non ci vuole la sfera di cristallo per indovinare dove vanno a parare certe cose in Italia. Primo: Angelo Rovati si è dimesso, spiegando che lo fa per evitare ulteriori rogne a Romano Prodi. Secondo: il presidente del Consiglio non riferirà in Parlamento sul Telecomgate e sull'imbarazzante ruolo ricoperto dal suo uomo-ombra. Al suo posto, a farsi crocifiggere a Montecitorio, manderà il margheritino Paolo Gentiloni, ministro delle Comunicazioni. Il quale, poverino, sulla "ciccia" vera della faccenda, cioè sul progetto di spezzatino del gruppo Telecom inviato chissà perché da Rovati a Marco Tronchetti Provera, non ha proprio nulla da dire. Tanto più che Rovati a palazzo Chigi non ricopriva alcun ruolo ufficiale, ma svolgeva un incarico fiduciario personale affidatogli da Prodi. Il quale, quindi, sarebbe l'unico tenuto a rispondere in aula e a farsi sbeffeggiare dall'opposizione. Questo gli alleati del premier lo sanno benissimo, e nelle ultime ore, durante un'imbarazzante trattativa, glielo hanno fatto notare: gentilmente nelle dichiarazioni ufficiali, con toni ben più espliciti nelle conversazioni private. Però alla fine, con realismo, si è capito che mandare Prodi al massacro non conviene, e che quindi occorre trovare qualcuno che si immoli per conto del premier. Toccherà a Gentiloni, che a questo punto ha un bel favore da farsi restituire da Prodi.
Le sorprese sinora sono state all'ordine del giorno, e quindi non se ne possono certo escludere di nuove. Sviluppi imprevedibili a parte, però, la vicenda, sul fronte politico, pare avviata a risolversi nel più italiano dei modi. Ovvero a tarallucci e vino, salvando le formalità (il governo risponderà comunque al Parlamento) e con un presidente del consiglio un po' più logorato e debole di prima: nei confronti degli alleati, di una Confindustria sempre più perplessa e della stessa opinione pubblica, dove l'immagine del premier si fa ogni giorno più appannata.
Se poi qualcuno, dopo l'indagine aperta dalla procura di Roma (che per ora non vede alcun iscritto nel registro degli indagati), crede che i magistrati capitolini siano disposti a trattare Prodi nello stesso modo con cui i loro colleghi milanesi hanno trattato Silvio Berlusconi, farebbe meglio a tornare al più presto sul pianeta Terra.
Lettura complementare consigliata: "TELECOM/La doppia parabola di Romano Prodi", di Mario Sechi
Update importante del 19 settembre. Romano Prodi riferirà in aula. Con calma: il 28 settembre, al termine di una serie di provvidenziali appuntamenti internazionali, e quando spera che l'affaire Telecom scotti assai meno che oggi. Più che una vittoria del centrodestra, è una vittoria di Ds e Margherita. Vedete cosa vuol dire non avere un partito tuo che ti protegge?
Le sorprese sinora sono state all'ordine del giorno, e quindi non se ne possono certo escludere di nuove. Sviluppi imprevedibili a parte, però, la vicenda, sul fronte politico, pare avviata a risolversi nel più italiano dei modi. Ovvero a tarallucci e vino, salvando le formalità (il governo risponderà comunque al Parlamento) e con un presidente del consiglio un po' più logorato e debole di prima: nei confronti degli alleati, di una Confindustria sempre più perplessa e della stessa opinione pubblica, dove l'immagine del premier si fa ogni giorno più appannata.
Se poi qualcuno, dopo l'indagine aperta dalla procura di Roma (che per ora non vede alcun iscritto nel registro degli indagati), crede che i magistrati capitolini siano disposti a trattare Prodi nello stesso modo con cui i loro colleghi milanesi hanno trattato Silvio Berlusconi, farebbe meglio a tornare al più presto sul pianeta Terra.
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