Il grande freddo
Mai stato così debole. Romano Prodi esce con le ossa rotte dal confronto parlamentare sul caso Telecom-Rovati, con un coefficiente di leadership ridotto ai minimi termini. Ne esce assai peggio di come c’era entrato, e già non era un bello spettacolo.
Ricordiamolo. Prodi aveva difeso con le unghie Angelo Rovati, il suo collaboratore che, giocando a fare il piccolo Enrico Cuccia, ammazzava il tempo preparando su carta intestata di palazzo Chigi piani di riassetto per Telecom, azienda privata quotata in Borsa, per poi inviarli a Marco Tronchetti Provera (è l’ipotesi di gran lunga più innocentista nei confronti di Prodi e del suo “pseudotesoriere”, le altre si possono solo immaginare). Per non finire travolto in prima persona, Prodi è stato costretto a far dimettere Rovati. Aveva detto che non avrebbe riferito in Parlamento sulla vicenda, perché farlo sarebbe stata “una cosa da matti”. I suoi stessi alleati lo hanno costretto a presentarsi. Goffo il tentativo di fare di necessità virtù: parlando dinanzi all’emiciclo ieri Prodi ha detto che la sua stessa presenza in aula dimostrava “quanto l’accusa di volermi sottrarre al confronto con il Parlamento sia infondata”, laddove bastava leggere i quotidiani vicini alla maggioranza, compresi gli organi di partito, per capire che, se Prodi era lì, è solo perché si tratta di un premier debole, senza partito, incapace di tenere testa a Ds e Margherita, azionisti di maggioranza del suo governo, che lo hanno preso per le orecchie e portato di peso nell’aula di Montecitorio. Aveva detto che avrebbe parlato solo alla Camera, perché il premier “non si presenta mai nei due rami del Parlamento”. Obtorto collo, è stato costretto a fissare una data anche per palazzo Madama, dove è atteso per il 5 ottobre.
Come noto, Prodi avrebbe potuto affrontare il dibattito già nei giorni scorsi, ma ha scelto di ritardare quanto più possibile il momento del confronto sperando che nel frattempo l’attenzione dell’opinione pubblica su quanto fatto da Rovati scemasse e che, magari, ai piani alti di Telecom arrivasse quell’avviso di garanzia di cui si vocifera da giorni. Avrebbe potuto funzionare, ma così non è stato. Prodi ha negato ogni coinvolgimento, preferendo passare per incapace che per intrallazzatore (ma “il cumulo delle cariche non è vietato”, gli ha ricordato un Tremonti in gran spolvero), e cercato in ogni modo di dirottare il baricentro del confronto sul riassetto del capitalismo italiano - molto meno impegnativo, come argomento, del casino creato dal suo braccio destro. Non ci attendeva nulla di diverso. Lo smalto però - materia di cui il professore bolognese già non abbonda di suo - non era certo quello dei giorni migliori.
Qualcosa di più, anzi molto di più, era invece lecito attendersi dai suoi alleati, che si sono limitati a una difesa d’ufficio. Freddissimi, Ds e Margherita hanno lesinato gli applausi al presidente del consiglio, concedendoli col contagocce proprio nel giorno in cui il poveretto (per di più in diretta televisiva) ne avrebbe avuto più bisogno. Il solito Tremonti si è divertito a spargere sale sulle ferite quando ha detto che «D'Alema ha iniziato le sue vacanze convinto della fusione Sanpaolo-Monte dei Paschi di Siena. Durante le stesse, ha letto sul giornale la notizia sulla fusione Sanpaolo-Banca Intesa. Poi, ha letto sul giornale dell'affare Telecom, di un affare che, alla Farnesina, si direbbe del tipo con ritorno non multilaterale, bensì unilaterale». Non sono ferite che si rimargineranno presto.
Il segretario rifondarolo, Franco Giordano, e quello del Pdci, Oliviero Diliberto, nei fatti, anche se non nei toni, hanno attaccato duramente Prodi, criticando la privatizzazione di Telecom (avviata da Prodi) e invocando il riavvio delle statalizzazioni (ricetta che Prodi, almeno a parole, ha giudicato inattuabile anche ieri). Solo l'attaccamento alle poltrone impedisce alla sinistra dell'Unione e a Prodi di guardarsi in faccia e tirare le somme. E’ poi bastato che la Cdl provasse a fingersi unita per mezza giornata per mettere ancora più in risalto il dramma politico del presidente del consiglio.
Per Prodi il cammino della Finanziaria, che sarà varata tra poche ore dal consiglio dei ministri, non potrebbe iniziare sotto peggiori auspici. Oggi si è capito, casomai ce ne fosse bisogno, che non è lui il leader per quale i partiti dell'Unione sono pronti a sacrificarsi.
Il testo integrale del dibattito alla Camera sulla vicenda Telecom-Rovati
Ricordiamolo. Prodi aveva difeso con le unghie Angelo Rovati, il suo collaboratore che, giocando a fare il piccolo Enrico Cuccia, ammazzava il tempo preparando su carta intestata di palazzo Chigi piani di riassetto per Telecom, azienda privata quotata in Borsa, per poi inviarli a Marco Tronchetti Provera (è l’ipotesi di gran lunga più innocentista nei confronti di Prodi e del suo “pseudotesoriere”, le altre si possono solo immaginare). Per non finire travolto in prima persona, Prodi è stato costretto a far dimettere Rovati. Aveva detto che non avrebbe riferito in Parlamento sulla vicenda, perché farlo sarebbe stata “una cosa da matti”. I suoi stessi alleati lo hanno costretto a presentarsi. Goffo il tentativo di fare di necessità virtù: parlando dinanzi all’emiciclo ieri Prodi ha detto che la sua stessa presenza in aula dimostrava “quanto l’accusa di volermi sottrarre al confronto con il Parlamento sia infondata”, laddove bastava leggere i quotidiani vicini alla maggioranza, compresi gli organi di partito, per capire che, se Prodi era lì, è solo perché si tratta di un premier debole, senza partito, incapace di tenere testa a Ds e Margherita, azionisti di maggioranza del suo governo, che lo hanno preso per le orecchie e portato di peso nell’aula di Montecitorio. Aveva detto che avrebbe parlato solo alla Camera, perché il premier “non si presenta mai nei due rami del Parlamento”. Obtorto collo, è stato costretto a fissare una data anche per palazzo Madama, dove è atteso per il 5 ottobre.
Come noto, Prodi avrebbe potuto affrontare il dibattito già nei giorni scorsi, ma ha scelto di ritardare quanto più possibile il momento del confronto sperando che nel frattempo l’attenzione dell’opinione pubblica su quanto fatto da Rovati scemasse e che, magari, ai piani alti di Telecom arrivasse quell’avviso di garanzia di cui si vocifera da giorni. Avrebbe potuto funzionare, ma così non è stato. Prodi ha negato ogni coinvolgimento, preferendo passare per incapace che per intrallazzatore (ma “il cumulo delle cariche non è vietato”, gli ha ricordato un Tremonti in gran spolvero), e cercato in ogni modo di dirottare il baricentro del confronto sul riassetto del capitalismo italiano - molto meno impegnativo, come argomento, del casino creato dal suo braccio destro. Non ci attendeva nulla di diverso. Lo smalto però - materia di cui il professore bolognese già non abbonda di suo - non era certo quello dei giorni migliori.
Qualcosa di più, anzi molto di più, era invece lecito attendersi dai suoi alleati, che si sono limitati a una difesa d’ufficio. Freddissimi, Ds e Margherita hanno lesinato gli applausi al presidente del consiglio, concedendoli col contagocce proprio nel giorno in cui il poveretto (per di più in diretta televisiva) ne avrebbe avuto più bisogno. Il solito Tremonti si è divertito a spargere sale sulle ferite quando ha detto che «D'Alema ha iniziato le sue vacanze convinto della fusione Sanpaolo-Monte dei Paschi di Siena. Durante le stesse, ha letto sul giornale la notizia sulla fusione Sanpaolo-Banca Intesa. Poi, ha letto sul giornale dell'affare Telecom, di un affare che, alla Farnesina, si direbbe del tipo con ritorno non multilaterale, bensì unilaterale». Non sono ferite che si rimargineranno presto.
Il segretario rifondarolo, Franco Giordano, e quello del Pdci, Oliviero Diliberto, nei fatti, anche se non nei toni, hanno attaccato duramente Prodi, criticando la privatizzazione di Telecom (avviata da Prodi) e invocando il riavvio delle statalizzazioni (ricetta che Prodi, almeno a parole, ha giudicato inattuabile anche ieri). Solo l'attaccamento alle poltrone impedisce alla sinistra dell'Unione e a Prodi di guardarsi in faccia e tirare le somme. E’ poi bastato che la Cdl provasse a fingersi unita per mezza giornata per mettere ancora più in risalto il dramma politico del presidente del consiglio.
Per Prodi il cammino della Finanziaria, che sarà varata tra poche ore dal consiglio dei ministri, non potrebbe iniziare sotto peggiori auspici. Oggi si è capito, casomai ce ne fosse bisogno, che non è lui il leader per quale i partiti dell'Unione sono pronti a sacrificarsi.
Il testo integrale del dibattito alla Camera sulla vicenda Telecom-Rovati