Per una volta che Oliver Stone non fa il liberal

Tra le poche cose peggiori dei giornalisti (categoria cui appartiene lo scrivente) ci sono i giornalisti che hanno deciso di fare i critici cinematografici. Per qualche oscuro motivo, costoro - pochissime le eccezioni - riescono a concentrare e moltiplicare in sé i tanti vizi della categoria: l'autoreferenzialità; la convinzione di appartenere a una casta di eletti, chiamata a svolgere una funzione salvifica nei confronti delle masse; il bisogno di "criticare" le opere non secondo giudizi estetici e tecnici, ma in base a parametri ideologici; il ragionare secondo la logica del gregge, regolarmente appiattito sulle posizioni più radical chic (trovare una critica dissonante, specie su un film di quelli più importanti, è impresa quanto mai difficile per il lettore. In occasione delle grandi mostre cinematografiche poi, quando la categoria ha l'occasione di ritrovarsi in unico evento e il processo di collettivizzazione dei neuroni raggiunge la sua apoteosi, il tasso di devianza è praticamente azzerato).

Difetti, questi, che appaiono ancora più inspiegabili alla luce delle continue e sonore smentite che i suddetti continuano a ricevere dai loro diretti referenti, cioè dai lettori/spettatori. Non c'è settimana in cui film bocciati dalla critica non scalino le vette del box office, mentre i "capolavori" che hanno applaudito a Cannes, a Berlino e a Venezia finiscono fuori programmazione al secondo week end. Insomma, anche se i diretti interessati non sembrano accorgersene, le critiche cinematografiche servono alla stragrande maggioranza dei lettori solo per capire qual è la trama del film. Del giudizio del critico se ne fregano, più di quanto se ne freghino di ciò che è scritto nelle altre pagine del giornale. Ciò nonostante, tutto tira avanti come se niente fosse.

Tutto questo per dire che, ovviamente, non c'è da stupirsi per i fischi con cui il pubblico dei critici, alla proiezione riservata alla stampa che si è tenuta alla mostra del cinema di Venezia, ha accolto World Trade Center, il nuovo film di Oliver Stone. Finché ha spedito messaggi pacifisti, ha seguito piste dietrologiche per l'assassinio di John Fitzgerald Kennedy e ha girato documentari per spiegare al mondo quanto è umano Fidel Castro, Stone è stato il beniamino dei critici e si è guadagnato, ogni volta, le sue belle marchette su ogni possibile quotidiano o magazine. Ora che, shockato dall'11 settembre, ha deciso - per una volta - di raccontare storie di eroismo e coraggio individuale in cui i buoni sono gli americani e i cattivi sono i terroristi islamici, storie come quella dell'ex marine che tira fuori dalle macerie i due protagonisti del film e qualche tempo dopo parte per l'Iraq per sparare ai terroristi (storia vera), quegli stessi critici gli riservano fischi sonori. Fischi, come riporta la cronaca di Repubblica, anche «di pessimo gusto, perché giunti quando sui titoli di coda scorrono le cifre delle vittime dei caduti delle Torri». Applausi lunghi e a scena aperta, invece, per il nuovo film-documentario di Spike Lee: appena quattro ore di accuse a George W. Bush per i danni provocati dall'uragano Katrina (e chi si crede di essere, Vittorio Zucconi?).

Tutto secondo copione, insomma. The end. Titoli di coda.

Per saperne di più:
Venezia, Oliver Stone delude
Stone, ucciderei Bin Laden con le mie mani

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