L'islam è in crisi. Ecco perché

Su Asia News sta uscendo, a puntate, un viaggio nell'islam a firma del teologo egiziano Samir Khalil Samir, che insegna nelle università di Beirut. E' interessante perché ribalta la percezione, così diffusa in Occidente, di un islam sicuro e trionfante (non è il solo a farlo, del resto). «L’osservatore occidentale», scrive, «è sconvolto di fronte al mondo islamico. Esso appare come una forza, una potenza straordinaria, che si muove e che nessuno può fermare. Questo sentimento – che fa paura a molti occidentali - corrisponde a ciò che molti musulmani chiamano la Sahwah, il Risveglio. In realtà questa potenza soffre di una crisi profonda, percepita da tutti i musulmani: l’incapacità di adeguarsi al mondo moderno, di assimilare la modernità. In effetti l’Islam sta vivendo una crisi profondissima. E' un fatto evidente non solo ad osservatori estranei. Ormai non c’è musulmano, pensatore, stampa araba o islamica che non discuta di questo fatto: l’Islam è in crisi. Vi è una differenza. Per gli islamismi radicali – che perseguono un progetto di islam politico – la “colpa” di tale crisi ricade sull’occidente e la sua aggressività. Alcuni fanno risalire questa crisi addirittura alle Crociate; altri alla recente colonizzazione; altri alla creazione dello Stato d’Israele; altri ancora si fermano alle aggressioni americane in Afghanistan e Iraq. In ogni caso, il male dell’Islam viene dal di fuori di esso, dall’altro-da-sé. Vi è però un altro gruppo, sempre più numeroso, il quale afferma che il male è dentro l’Islam. Questa posizione si trova di solito in personalità liberali, negli intellettuali. Anche questi non giungono a dire che il male è proprio dentro il Corano: secondo loro il male è nell’interpretazione che si dà del Corano, dell’Islam come sistema religioso, politico, sociale e culturale. Quantificando a partire dagli interventi che appaiono sulla stampa nei paesi islamici, possiamo dire che le posizioni dell’islamismo radicale sono un buon 20%; la tendenza liberale abbraccia il 10-20%. Tutti sono comunque d’accordo che è ormai necessaria una riforma dell’islam». Chi ha letto Bernard Lewis sa già di cosa si sta parlando.

Perdere la lettura di Samir Khalil Samir, spesso ironica e ricca di aneddoti che ci avvicinano alla comprensione di cose così lontane da noi più di tante teorie, è un peccato da punire con una fatwa rigorosa. Un piccolo e interessantissimo assaggio di ciò che scrive:

«Un segno della crisi dell’islam sono soprattutto le fatwa che vengono prodotte ogni giorno, per ogni aspetto della vita, soprattutto quella delle donne.
In Egitto – dove vi sono i mufti più fantasiosi e prolifici – ogni giornale, radio, televisione ha una rubrica o programma dedicato alle fatwa. Per due o tre volte alla settimana gli spettatori telefonano con le loro questioni e un mufti risponde alle loro domande. Al Cairo vi sono addirittura dei call-center che ti danno la possibilità di ricevere una fatwa seduta stante. È un vero e proprio business: da una parte vi sono specialisti delle fatwa e dall’altra vi è la gente che chiama. Ogni chiamata ha un prezzo maggiorato rispetto alla normale telefonata (anche 10 volte): una parte del ricavato va al businessman che organizza questo mercato religioso, e una parte va allo stesso mufti. La gente ormai chiama da tutto il mondo, e non solo dall’Egitto, per sapere come comportarsi in una situazione o nell’altra della vita quotidiana.
Una domanda che ricorre spesso è se è permesso mangiare con un non musulmano. La richiesta viene soprattutto da businessmen che viaggiano in Germania, in America, a Londra. La risposta, dipendendo dalle conoscenze giuridiche del mufti, potrà essere sì o no. Se mi attengo al testo coranico che dice “Oggi vi sono permesse le cose buone, e vi è lecito anche il cibo di coloro ai quali è stata data la Scrittura, e il vostro cibo è lecito a loro” (5,5), allora si può fare un “pranzo d’affari” con gli occidentali, considerati come appartenenti a “coloro ai quali è stata data la Scrittura”. Ma se considero che gli occidentali sono in genere miscredenti, allora il loro cibo non è halāl ma harām, illecito. Perché lo scopo di tutte le fatwa è di stabilire che cosa è halāl (lecito) e che cosa è harām (illecito).
Un altro campo è quello del come comportarsi con una donna: se si può tenere la sua mano in pubblico; se ci si può baciare fra sposi; come fare l’amore a letto; ecc…. In Egitto baciarsi in pubblico è proibito. Chi lo fa, rischia di essere arrestato. Ma queste fatwa vanno oltre: influenzate dal radicalismo, i mufti proibiscono agli sposi perfino di baciarsi in privato. La tendenza fondamentalista nelle fatwa interviene per proibire agli sposi di mostrarsi nudi reciprocamente; ordinano di fare l’amore solo nell’oscurità, oppure – come propone qualcuno – di mettere fra i due corpi un velo sottilissimo… E di tutto questo se ne parla in modo infervorato alla televisione!
In questi ultimi mesi mi sono divertito ad ascoltare le fatwa più curiose: “uno stiratore (i negozi di stiratori fioriscono da sempre in Egitto) deve o non deve stirare i vestiti di una donna che normalmente non porta il velo islamico?”; “Se una donna esce dal bagno nuda e vi è un cane nell’appartamento, ha fatto qualcosa di lecito o illecito?”. Risposta: “Dipende dal cane. Se è un cane maschio, la donna ha compiuto qualcosa di illecito”».


Il resto del reportage sul business delle fatwa, terza puntata del viaggio di Samir Khalil Samir nell'islam, lo si può leggere qui ("L’ignoranza degli imam blocca lo sviluppo culturale di chi vuole vivere secondo l’islam").
Le puntate precedenti:
1- "Islam sull’orlo dell’abisso, fra violenza e riforma"
2 - "La violenza delle fatwa preoccupa i governi musulmani"

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