Per il nucleare, contro il "Nimby": la Camera apre la proposta di An

di Fausto Carioti

Chi c'è c'è, chi non c'è - tipo gli ex ministri Gianni Alemanno e Altero Matteoli - sarà sempre in tempo ad aggregarsi dopo, ammesso che lo voglia. Gianfranco Fini ha scelto: Alleanza nazionale è ufficialmente il partito dell'energia nucleare. Lo sancisce la decisione di far avviare l'iter parlamentare della proposta di legge per la costruzione di nuove centrali atomiche, siglata da quasi tutti i pezzi da novanta di via della Scrofa (primo firmatario Adolfo Urso, secondo Fini, terzo Ignazio La Russa). Proprio domani il testo inizia il suo percorso nella commissione Attività produttive della Camera. E lo conferma l'ultimo numero di Charta Minuta, la rivista di Fare Futuro, la fondazione di cui Fini è presidente e Urso direttore generale. Un vero e proprio manifesto della "eco-destra", in cui ha un ruolo fondamentale l'atomo di pace, citato come forma di «energia verde» per eccellenza, anche in vista del rispetto del controverso trattato di Kyoto.

La filosofia del provvedimento che An vuole vedere approvato è opposta a quella in voga nella sinistra no global e più radicale, sintetizzata dalla sigla "Nimby", not in my backyard, non nel mio cortile. A via della Scrofa pensano invece che i cittadini debbano essere invogliati ad ospitare certe infrastrutture nei loro comuni, e proprio per questo la proposta di legge che sarà discussa da domani prevede che gli abitanti dei centri che ospitano le centrali nucleari siano esentati dall'Ici, l'imposta comunale sugli immobili, e dalla Tarsu, la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani. È previsto, inoltre, che ogni regione o provincia autonoma ospiti almeno una struttura "scomoda" di utilità nazionale: una centrale nucleare, un sito per lo stoccaggio delle scorie, un rigassificatore o un impianto per lo smaltimento dei rifiuti.

Tra i "big" del partito di Fini mancano all'appello Alemanno e Matteoli, che già la scorsa legislatura, da ministri, avevano detto più volte che il nucleare non è la risposta ai problemi energetici italiani. Non si tratta di un "no" secco, ma di una perplessità comunque forte abbastanza da non far apparire i loro nomi accanto a quelli degli altri quaranta parlamentari che hanno firmato la proposta. Lo stesso Silvio Berlusconi, del resto, quando era presidente del Consiglio, preferì farsi scudo dell'Unione europea, che chiedeva agli Stati membri di aumentare il ricorso all'energia atomica. Intanto, però, la scorsa legislatura fu compiuto un passo in avanti, piccolo ma politicamente importante: Enel fu liberata dal divieto di produrre energia atomica all'estero.

Già il fatto che adesso Montecitorio abbia il coraggio di aprire un dossier così scomodo è una notizia. La proposta di legge viene discussa perché il capogruppo di An in commissione, Enzo Raisi, ha deciso, d'intesa con Fini, che era il momento di fare del nucleare e della questione energetica una bandiera di An. Il presidente della commissione Attività produttive, il quasi ex radicale Daniele Capezzone, si frega le mani. «Ho calendarizzato con grande piacere la proposta di Alleanza Nazionale per la riapertura del confronto sul nucleare», racconta. E spiega: «Penso che l'Italia sia in condizione catastrofica proprio perché, negli ultimi quindici anni, sono stati detti troppi no: al carbone, ai rigassificatori, al nucleare. Col risultato che oggi, nella produzione di energia elettrica, siamo diventati dipendenti dal gas. Con tutti i rischi che questo comporta». Da notare che nel centrosinistra alcuni parlamentari hanno accolto la calendarizzazione del provvedimento con tacita soddisfazione. Solo negli ultimi tempi, del resto, il ritorno all'atomo è stato invocato dall'ex ministro Pierluigi Bersani, dal responsabile energia dei Ds, Antonello Cabras, e da Enrico Letta, candidato alla guida del partito democratico.

La strada, insomma, sarà pure tutta in salita, ma intanto, vent'anni dopo il referendum del 1987, che pure ha "abrogato" il nucleare solo in modo obliquo, si torna a discutere di energia atomica in Parlamento, dove ognuno sarà chiamato alle sue responsabilità: basta formule vuote, chi è d'accordo - anche a sinistra - alzi la mano, gli altri si assumano la responsabilità di aumentare il costo delle bollette e la dipendenza dell'Italia dall'estero. L'opinione pubblica pare matura per una svolta. Due anni fa una rilevazione di Renato Mannheimer certificava che il 54% degli italiani è favorevole al ritorno al nucleare, e un sondaggio pubblicato in questi giorni dal mensile Espansione conferma quelle cifre.

I confronti internazionali, intanto, sono impietosi. Nell'Unione europea, dove il 31% dell'energia è prodotto dalle centrali atomiche, le famiglie pagano cento chilowattora 10,8 euro (tasse escluse), ma nell'Italia che ha detto no al nucleare e - caso unico in Europa - produce l'82% della sua energia bruciando gas, petrolio e carbone, il prezzo è di 15,48 euro, il più alto del continente. Le nostre imprese pagano 12,1 euro (Iva esclusa) per cento chilowattora, ma i loro concorrenti francesi, grazie al nucleare (da cui proviene il 78% dell'elettricità d'oltralpe), se la cavano con appena 5,8 euro: meno della metà. Intanto il 14% dell'energia che usiamo in Italia è importato dall'estero, e in gran parte è prodotto da centrali nucleari vicine ai nostri confini.

© Libero. Pubblicato il 2 ottobre 2007.

Stesso argomento, su questo blog:
Nucleare e non solo, faccia faccia tra i responsabili di An e dei Ds
L'asse Russia-Iran e il vero prezzo del gas
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Per chi vuole andare a fondo:
La situazione italiana: Dati statistici del settore elettrico (Autorità per l'Energia)
Il confronto internazionale: Gas and electricity market statistics - Data 1990-2006 (Eurostat)

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