Storace-Napolitano: torna il reato di lesa maestà

di Fausto Carioti

Per carità. Massimo rispetto per il presidente della Repubblica. Per la carica che ricopre, per ciò che bene o male rappresenta e tutto il resto. Quanto a Francesco Storace, esponente della destra più sanguigna, senza dubbio sa essere urticante. Ora che ha lasciato Alleanza nazionale, poi, è costretto a mettersi in evidenza davanti agli elettori ricorrendo ad attacchi - come dire - assai poco eleganti. Tipo quelli lanciati nei giorni scorsi contro i senatori a vita, accusati di sorreggere con le stampelle il governo Prodi, e contro Giorgio Napolitano, che Storace ritiene «indegno» del ruolo che svolge. Resta il fatto che quello che è toccato ieri a Storace sembra copiato da una scena del teatro dell'assurdo. La procura di Roma lo accusa di aver violato l'articolo 278 del codice penale: «Chiunque offende l'onore o il prestigio del Presidente della Repubblica è punito con la reclusione da uno a cinque anni». L'impressione è che i magistrati non abbiano capito bene ciò che stanno facendo.

Per Storace, va da sé, si tratta di una medaglia da appuntarsi sul petto ed esibire ai comizi della Destra, il partito che ha appena fondato. Anche perché, se il modo usato può far discutere, la sostanza politica del suo gesto resta valida. In democrazia non esistono dogmi di fede, ed è lecito chiedersi se sia stato giusto affidare la prima carica dello Stato ad un personaggio che nel 1956 benedisse l'intervento militare sovietico in Ungheria come un contributo alla «stabilizzazione internazionale» e alla pace nel mondo.

Per le istituzioni italiane, invece, si tratta dell'ennesima figura ridicola. Il quadretto che ne esce fuori, infatti, è una caricatura del ventennio fascista. Storace è accusato di aver violato la stessa disposizione del codice Rocco che sino al 1947 difendeva «l'onore e il prestigio» del re. Vederla riesumata nel terzo millennio, ai danni di un ex fascista accusato di aver insultato un ex comunista, fa tornare in mente la vecchia frase di Karl Marx, per cui la storia si presenta una prima volta come tragedia, la seconda come farsa.

Chi ne esce peggio, alla fine, è proprio Napolitano, che rischia di apparire come un presidente imbalsamato, messo sotto teca di vetro dai magistrati. Una tutela della quale Napolitano, peraltro, non sembra avere bisogno. Che poi a crocifiggere Storace siano gli ex sessantottini che - sostituito il libretto rosso di Mao con il codice Rocco - applaudono l'uso di leggi fasciste da parte dei magistrati, rende l'intera vicenda ancora più surreale.

© Libero. Pubblicato il 16 ottobre 2007.

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