Una domanda, nessuna risposta

di Fausto Carioti

Nelle righe che seguono non troverete risposte, ma solo una domanda. La stessa che qualche milione di italiani si è fatta ieri, appresa la notizia dell'arresto di Cristoforo Piancone, avvenuto lunedì dopo che costui aveva rapinato una banca nel pieno centro di Siena. La domanda è: cosa ci faceva a piede libero, armato di quattro pistole, uno dei componenti della direzione strategica delle Brigate Rosse, mai pentito né dissociato, condannato a tre ergastoli per concorso in sei omicidi e due tentati omicidi? La risposta la devono dare i magistrati torinesi, convinti che Piancone fosse cambiato abbastanza da poter trascorrere le sue giornate fuori dalla sbarre. E la devono dare quelli che fanno le leggi: se il tribunale di sorveglianza di Torino, nell'aprile del 2004, ha tirato fuori dal carcere un personaggio simile, è perché niente vieta di dare la semilibertà a un terrorista irriducibile e pluriomicida.

La norma che ha consentito a Piancone di andare in giro a rapinare una banca e, durante la fuga, puntare la pistola e provare a sparare contro un poliziotto, è la cosiddetta legge Gozzini. Fu varata nel 1986 con lo scopo di "rieducare" i delinquenti favorendo il loro "reinserimento" nelle società attraverso una serie di benefici: lavoro esterno, permessi premio, affidamento ai servizi sociali, semilibertà e robe simili. Nel 1991 è stata modificata, impedendo che possano giovarsene gli autori di alcuni reati. Per qualche motivo che noi persone semplici non riusciamo a intuire, però, i suoi vantaggi possono tuttora essere applicati a un brigatista rosso pluriergastolano, che non ha mai collaborato in alcun modo con la giustizia. Ora, visto quello che è successo, in Parlamento e a palazzo Chigi non hanno più scuse: debbono riscrivere la Gozzini. Vedremo se mostreranno la stessa concordia e la stessa rapidità con cui sono riusciti ad approvare l'indulto o se si agiteranno per qualche giorno e poi fingeranno che nulla sia accaduto. Si accettano scommesse.

Quanto ai giudici del tribunale di sorveglianza, avevano tutti gli elementi per capire di che razza fosse Piancone. Assieme a Patrizio Peci e altri personaggi delle Br torinesi, nel marzo del 1978 aveva ucciso il maresciallo di polizia Rosario Berardi. Un mese dopo aveva partecipato all'assassinio dell'agente di polizia penitenziaria Lorenzo Cotugno. Catturato e processato, fu riconosciuto colpevole di altri delitti. Era stato uno dei tredici «prigionieri comunisti» che le Br avevano chiesto di liberare in cambio di Aldo Moro. Non ha mai voluto trattare per giungere a patti con la giustizia. Ottenuta una prima volta la semilibertà nel 1995, dovette rinunciarvi tre anni dopo, quando fu beccato a rubare merce all'interno di un supermercato. Forte di questo curriculum, Piancone non solo ha riavuto la semilibertà nel 2004, ma ha anche ottenuto lavoro come bidello in una scuola di Torino.

Visto che l'alloggio continuava a pagarglielo il contribuente (tutte le sere Piancone tornava al carcere di Vercelli), il brigatista non doveva avere grossi problemi economici. Come conferma anche il suo legale, l'avvocato Riccardo Vaccaro: «Non mi risulta vivesse in condizioni di particolare disagio». E così si fa forte il sospetto che i 170 mila euro con cui era fuggito dalla filiale del Monte dei Paschi dietro piazza del Campo dovessero servire a finanziare il terrorismo rosso. Dubbio avvalorato dal fatto che l'irriducibile non ha rivelato il nome del suo complice, il quale è riuscito a fuggire. La sua identità, secondo un'ipotesi alla quale stanno lavorando gli investigatori, potrebbe far risalire a una nuova rete terroristica. Come si vede, la distanza che separa una legge "illuminata" per il reinserimento dei detenuti dal rifinanziamento delle nuove Br rischia di essere molto breve.

In tempi di antipolitica e di Beppe Grillo viene facile citare il commediografo Guglielmo Giannini, che nel 1944 fondò il fronte dell'Uomo Qualunque. I rapporti tra i cittadini e lo Stato li spiegava così: «Noi vogliamo vivere tranquilli, non vogliamo agitarci permanentemente come non abbiamo voluto vivere pericolosamente: vogliamo andare a teatro, uscire la sera, recarci in villeggiatura, trovare le sigarette, ordinarci un abito nuovo, salire in autobus, non fare la guerra, salutare chi ci pare, non salutare chi non ci pare». Per essere ancora più chiaro, riassumeva il concetto in questo modo: «Ciò che noi chiediamo, noi gente, noi Folla, noi enorme maggioranza della comunità, noi padroni della comunità e dello Stato, è che nessuno ci rompa più i coglioni». Non sembrano richieste eccessive. Un programma minimo che molti liberali dovrebbero sottoscrivere a occhi chiusi, nel quale non c'è posto per delinquenti lasciati liberi dall'indulto di tornare a seviziare e uccidere, né per brigatisti pluriomicidi in semilibertà. Eppure, da sessant'anni a questa parte, dare a qualcuno del "qualunquista" equivale a etichettarlo come nemico della cosa pubblica. Resta solo da capire se hanno fatto più danni all'Italia i qualunquisti desiderosi di vivere senza rotture di scatole o certi raffinati teorici della politica alta e della giustizia nobile, autori e interpreti delle leggi che permettono a Piancone e quelli come lui di scorrazzare per l'Italia armati di tutto punto.

© Libero. Pubblicato il 3 ottobre 2007.

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