Cambiamenti climatici e l’inganno del protocollo di Kyoto - Conclusioni

Terza e ultima parte del capitolo "Cambiamenti climatici e l’inganno del protocollo di Kyoto", estratto dal libro "Verdi fuori, rossi dentro. L'inganno ambientalista", diciannovesimo volume dei "Manuali di conversazione politica" pubblicati da Libero-Free. Il libro è scritto da Franco Battaglia, docente di Chimica Ambientale all'università di Modena e vicepresidente dell'Associazione Galileo 2001, e Renato Angelo Ricci, professore emerito all'università di Padova, presidente onorario della Società Italiana di Fisica e presidente dell'Associazione Galileo 2001. Il volume costa appena 2,50 euro ed è in vendita in edicola a partire da venerdì 22 giugno. Che aspettate a comprarlo?

Conclusioni
In conclusione, nell’ipotesi che effettivamente l’uomo contribuisca significativamente al riscaldamento globale, non c’è da attenderselo, realisticamente, superiore a 2-3 gradi da qui al 2100. Ma, in questo caso, esso avrebbe, nel complesso, effetti benèfici per l’umanità. Naturalmente, sarebbe insensato che l’umanità si sforzi di raggiungere artificialmente la temperatura che si ritenga essere la migliore possibile. Ma, allo stesso modo, dovremmo convenire che sarebbe parimenti insensato ogni sforzo, per di più in nome di un vago principio di precauzione, per evitare di raggiungere quella condizione ideale.

Un’ultima osservazione va fatta, in ordine al presunto eccezionale ed eccezionalmente rapido cambiamento climatico di cui saremmo testimoni: d’eccezionale non c’è né l’attuale presunto cambiamento climatico né la sua rapidità. Un fatto è certo: il clima del pianeta può radicalmente cambiare, come le ere glaciali inconfutabilmente attestano. Cinquant’anni fa, quando ancora si riteneva che ciò potesse avvenire solo con tempi dell’ordine delle decine di migliaia d’anni, ci si è confrontati con l’evidenza che seri cambiamenti climatici avvennero anche nell’arco di pochi millenni; ridotti a pochi secoli dai risultati delle ricerche nei successivi 20 anni, e ulteriormente ridotti ad un solo secolo dai resoconti scientifici degli anni 1970-1980. Oggi, la scienza sa che cambiamenti climatici, nel passato, sono avvenuti anche nell’arco di pochi decenni.

Nel 1955, datazioni al carbonio-14 effettuate su reperti scandinavi rivelarono che il passaggio, circa 12.000 anni fa, da clima caldo a clima freddo, avvenne durante un millennio. Un periodo che fu definito “rapido”, vista l’universale convinzione che tali cambiamenti potevano avvenire solo in tempi di decine di migliaia d’anni. Conferme vennero da altre ricerche: ad esempio, quella dell’anno successivo che accertò che l’ultima era glaciale finì col “rapido” aumento di un grado per millennio della temperatura globale media; e quella di 4 anni dopo, secondo cui vi furono nel passato, e nell’arco di un solo millennio, aumenti di temperatura anche di 10 gradi. E altre ancora, finché nel 1972 il climatologo Murray Mitchell ammetteva che le evidenze degli ultimi 20 anni forzavano a sostituire la vecchia visione di un grande, ritmico ciclo con quella di una successione rapida e irregolare di periodi glaciali e interglaciali all’interno di un millennio.

Anche se, allora, il timore dominante era la possibilità che la fine del secolo avrebbe potuto segnare l’inizio di un periodo glaciale con evoluzione rapida (cioè in pochi secoli) verso condizioni “fredde” catastrofiche per l’umanità), non mancava, tuttavia, chi avvertiva del pericolo opposto: il riscaldamento globale a causa delle emissioni umane. In quello stesso 1972, infatti, il climatologo M. Budyko dichiarava che alla velocità con cui l’uomo immetteva CO2 nell’atmosfera, i ghiacciai ai poli si sarebbero completamente sciolti entro il 2050. Insomma, ancora 30 anni fa gli scienziati non si erano messi d’accordo se un’eventuale minaccia proveniva dal troppo freddo o dal troppo caldo.

Mentre erano concordi su una cosa, che di troppo era certamente: la loro ignoranza. E invocarono – giustamente – maggiori risorse. Grazie alle quali andarono in Groenlandia ove, dopo 10 anni di tenace lavoro, estrassero, dalle profondità fino ad oltre 2 km, “carote” di ghiaccio di 10 cm di diametro. Dalle analisi dell’abbondanza relativa degli isotopi dell’ossigeno nei diversi strati di ghiaccio (il più profondo dei quali conserva le informazioni sulle temperature di 14mila anni fa) si ebbe la conferma che drammatiche diminuzioni di temperatura erano avvenute in pochi secoli. Ma fu solo nel 1993 che gli scienziati rimasero, è il caso di dire, di ghiaccio: quando scoprirono, da nuovi carotaggi, che la Groenlandia aveva subito aumenti di anche 7 gradi nell’arco di soli 50 anni; e, a volte, con drastiche oscillazioni anche di soli 5 anni!

Anche se «questi rapidissimi cambiamenti del passato non hanno ancora una spiegazione», come dichiara un recente rapporto dell’Accademia Nazionale delle Scienze americana, la scienza ha accettato l’idea di un sistema climatico la cui variabilità naturale si può manifestare anche nell’arco di pochi decenni. Non c’è nessuna ragione – di là da quella che ci rassicura psicologicamente – per ritenere che essi non debbano manifestarsi oggi. Vi sono invece tutte le ragioni per ritenere che quella secondo cui l’uomo avrebbe influenzato i cambiamenti climatici sia un’idea – come tutte quelle dei Verdi, ad essere franchi – priva di fondamento; e per ritenere, semmai, che sono i cambiamenti climatici ad aver influenzato l’uomo e il percorso della civiltà.

Una cosa senz’altro certa è che i vincoli del protocollo di Kyoto (ridurre del 5%, rispetto a quelle del 1990, le emissioni di gas serra da parte dei paesi industrializzati) avrebbero effetto identicamente nullo sul clima: nell’atmosfera vi sono 3000 miliardi di tonnellate di CO2, l’uomo ne immette, ogni anno, 20 miliardi di tonnellate, di cui 10 provengono dai paesi industrializzati, e pertanto il protocollo di Kyoto equivarrebbe a immettere nell’atmosfera 19.5 miliardi di tonnellate di CO2 anziché 20 miliardi. Un primo passo, dicono gli ambientalisti; ma anche montare su uno sgabello è un primo passo per raggiungere la Luna! (Né, d’altra parte, veniamo informati di quali sarebbero gli altri passi). Insomma, la temuta temperatura che l’umanità potrebbe dover sopportare nel 2100, se si applicasse il protocollo di Kyoto verrebbe ritardata al 2101! Senonché, gli sforzi economici conseguenti allo rendere operativo quel protocollo sarebbero disastrosi: nel caso dell’Italia, quel disastro – è stato valutato – comporterebbe, tra le altre cose, la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro per ridotta produttività.

(3- Fine)

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Cambiamenti climatici e l’inganno del protocollo di Kyoto - 1a parte
Cambiamenti climatici e l’inganno del protocollo di Kyoto - 2a parte

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