Bertinotti, Bush e la poltrona
di Fausto Carioti
Indovinello. «Ha fatto guerra alla libertà con il suo fanatismo religioso cercando di colpire i diritti delle donne, i diversi orientamenti sessuali, la ricerca scientifica e la verità della storia». Chi è? Se state pensando a un fanatico islamico tipo il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, lapidatore di adultere, impiccatore di omosessuali, negatore dell'Olocausto e intenzionato a cancellare Israele dalle cartine geografiche, siete fuori strada. Il fondamentalista misogino, omofobo e negazionista è George W. Bush, e chi lo etichetta così sono gli aderenti alla manifestazione romana di sabato 9 giugno, che hanno sottoscritto un manifesto in cui il presidente americano, in procinto di venire in visita ufficiale in Italia, è dipinto come il male assoluto. Tra i rivoltosi, ci sono Rifondazione e i Comunisti italiani. Succederà così che Bush, ospite in Italia del governo Prodi, sarà insultato per strada da partiti che fanno parte dello stesso governo. Un po' come essere invitati a pranzo la domenica e sentirsi dare del bastardo da chi viene ad aprirti la porta. In questo clima disinvolto e surreale, uno come Fausto Bertinotti capita a fagiolo.
La colpa, come al solito, è dei giornalisti. Hanno chiesto al presidente della Camera cosa farebbe se Bush, a Roma, dovesse tendergli la mano. L'eventualità, per inciso, è alquanto remota: la visita del presidente americano prevede una tappa al Quirinale e una a palazzo Chigi. Niente appuntamenti a Montecitorio. La terza carica dello Stato ha comunque voluto manifestare tutto il suo sdegno per il personaggio, replicando: «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere». Come la pensa su Bush, del resto, è noto: «Lui, Berlusconi e Blair potrebbero essere accusati di crimini di guerra», sintetizzò in piazza a Roma, davanti al pueblo unido, nel settembre del 2004. Certo, a leggere il suo curriculum non lo si farebbe così schizzinoso. Per dire: Bertinotti nel gennaio del 1997 sorvolò l'oceano per andare a stringere la mano di Fidel Castro. Sbarcò nell'isola, dove fu accolto con tutti gli onori, grazie alla mediazione di Armando Cossutta, col quale ancora non aveva rotto i rapporti. Dopo aver incontrato il dittatore cubano era commosso: «Sono estremamente emozionato». In effetti non capita tutti i giorni di incontrare uno con tutti quei morti sulla coscienza. Il progetto Cuba Archive, che da qualche tempo ha iniziato a fare il conto dei civili uccisi dalla gloriosa revolución cubana, è arrivato a contare, dal 1959 a oggi, 5.775 fucilazioni, 1.231 esecuzioni sommarie, 984 morti in prigione e 200 "desaparecidos". Che fa un totale di 8.190 cadaveri, ai quali vanno aggiunti i 77.833 "balseros" scomparsi in mare, da soli o con l'"aiuto" della marina militare cubana, mentre cercavano di scappare dall'isola.
Saltellante, nel maggio del 2006, appena nominato presidente della Camera, quello che adesso si schifa a stringere la mano di Bush ha spalancato le porte di Montecitorio al presidente venezuelano Hugo Chavez. Un uomo «formidabile», lo ha acclamato Bertinotti davanti a taccuini e telecamere. «Insieme dimostreremo che un nuovo mondo è possibile», gli ha risposto il guitto arrivato da Caracas. Il quale, da sincero democratico di sinistra, da quando è arrivato al potere, nel 1999, ha represso la libertà di stampa, ha statalizzato tutto quello che poteva espropriare, ha licenziato i dipendenti pubblici scesi in piazza contro di lui e si è fatto dare pieni poteri per fare ciò che vuole senza renderne conto al Parlamento. Ma siccome è uno dei principali nemici di Bush, Bertinotti, orgoglioso, lo ha messo nell'elenco dei suoi amichetti del cuore e lo abbraccia felice. Bisogna capirlo, però. È che con questa storia del Bertinotti di lotta e di governo il compagno Fausto si sta giocando la faccia e il partito. Alle elezioni amministrative dello scorso fine settimana Rifondazione ha perso due punti percentuali, cioè un terzo dei suoi voti. La minoranza del partito attacca Bertinotti e il suo delfino, il segretario Franco Giordano: «Paghiamo il coinvolgimento con il governo Prodi». Dove "coinvolgimento" vuol dire soprattutto la poltrona di presidente della Camera affidata a suo tempo da Prodi a Bertinotti. «Quello se lo è comprato», è l'accusa, manco troppo strisciante, che viene mossa a Fausto dagli oppositori interni. Da qui la necessità, nei momenti cruciali, di dare un segnale forte agli elettori, di convincerli che è ancora uno dei loro. Mica facile.
In teoria, la visita di Bush a Roma sarebbe l'occasione perfetta per mostrarsi in sintonia con i tanti comunisti che scenderanno in piazza per contestare l'"imperialista" yankee. In teoria. Perché in pratica la terza carica dello Stato certi lussi non se li può permettere. Perfidamente, glielo ha ricordato il senatore forzista Gaetano Quagliariello: «Per chi ricopre un incarico istituzionale, stringere la mano è un atto dovuto e basta. Se il presidente della Camera italiana ha un dubbio sull'opportunità di stringere la mano a Bush, ha solo un modo per farlo coerentemente con la nostra storia e la nostra tradizione: si dimetta». Quello che da destra gli dicono in pubblico, da sinistra gliel'hanno spiegato in privato: già di prima mattina, Bertinotti aveva dovuto prendere atto che simili atteggiamenti verso il capo di Stato di una nazione alleata non sono graditi né a Prodi, che in questi giorni ha ben altre rogne da grattarsi, né al Quirinale, dove Giorgio Napolitano tiene molto alla sacralità delle istituzioni.
Così, passati appena venti minuti dalla richiesta di dimissioni avanzata da Quagliariello, Bertinotti, fiutata l'aria, accetta di fare marcia indietro. La fa a suo modo, con un discorso tortuoso come quelli che teneva dal palco quando era il leader del sindacato tessili della Cgil: «Distinguere il privato dal pubblico è un esercizio fondamentale per la difesa delle istituzioni. Al fine di evitare polemiche che non hanno ragione di esistere sulla visita del Presidente degli Usa in Italia, il presidente della Camera conferma che, come sempre, quale che sia la sua opinione, si atterrà strettamente ed esclusivamente al pieno rispetto del suo ruolo, delle norme e delle prassi che lo regolano». In italiano normale, vuol dire che se nei prossimi giorni, durante qualche appuntamento ufficiale, si troverà Bush davanti, gli stringerà la mano. La poltrona è salva. La faccia un po' meno.
© Libero. Pubblicato il 1 giugno 2007.
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Indovinello. «Ha fatto guerra alla libertà con il suo fanatismo religioso cercando di colpire i diritti delle donne, i diversi orientamenti sessuali, la ricerca scientifica e la verità della storia». Chi è? Se state pensando a un fanatico islamico tipo il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, lapidatore di adultere, impiccatore di omosessuali, negatore dell'Olocausto e intenzionato a cancellare Israele dalle cartine geografiche, siete fuori strada. Il fondamentalista misogino, omofobo e negazionista è George W. Bush, e chi lo etichetta così sono gli aderenti alla manifestazione romana di sabato 9 giugno, che hanno sottoscritto un manifesto in cui il presidente americano, in procinto di venire in visita ufficiale in Italia, è dipinto come il male assoluto. Tra i rivoltosi, ci sono Rifondazione e i Comunisti italiani. Succederà così che Bush, ospite in Italia del governo Prodi, sarà insultato per strada da partiti che fanno parte dello stesso governo. Un po' come essere invitati a pranzo la domenica e sentirsi dare del bastardo da chi viene ad aprirti la porta. In questo clima disinvolto e surreale, uno come Fausto Bertinotti capita a fagiolo.
La colpa, come al solito, è dei giornalisti. Hanno chiesto al presidente della Camera cosa farebbe se Bush, a Roma, dovesse tendergli la mano. L'eventualità, per inciso, è alquanto remota: la visita del presidente americano prevede una tappa al Quirinale e una a palazzo Chigi. Niente appuntamenti a Montecitorio. La terza carica dello Stato ha comunque voluto manifestare tutto il suo sdegno per il personaggio, replicando: «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere». Come la pensa su Bush, del resto, è noto: «Lui, Berlusconi e Blair potrebbero essere accusati di crimini di guerra», sintetizzò in piazza a Roma, davanti al pueblo unido, nel settembre del 2004. Certo, a leggere il suo curriculum non lo si farebbe così schizzinoso. Per dire: Bertinotti nel gennaio del 1997 sorvolò l'oceano per andare a stringere la mano di Fidel Castro. Sbarcò nell'isola, dove fu accolto con tutti gli onori, grazie alla mediazione di Armando Cossutta, col quale ancora non aveva rotto i rapporti. Dopo aver incontrato il dittatore cubano era commosso: «Sono estremamente emozionato». In effetti non capita tutti i giorni di incontrare uno con tutti quei morti sulla coscienza. Il progetto Cuba Archive, che da qualche tempo ha iniziato a fare il conto dei civili uccisi dalla gloriosa revolución cubana, è arrivato a contare, dal 1959 a oggi, 5.775 fucilazioni, 1.231 esecuzioni sommarie, 984 morti in prigione e 200 "desaparecidos". Che fa un totale di 8.190 cadaveri, ai quali vanno aggiunti i 77.833 "balseros" scomparsi in mare, da soli o con l'"aiuto" della marina militare cubana, mentre cercavano di scappare dall'isola.
Saltellante, nel maggio del 2006, appena nominato presidente della Camera, quello che adesso si schifa a stringere la mano di Bush ha spalancato le porte di Montecitorio al presidente venezuelano Hugo Chavez. Un uomo «formidabile», lo ha acclamato Bertinotti davanti a taccuini e telecamere. «Insieme dimostreremo che un nuovo mondo è possibile», gli ha risposto il guitto arrivato da Caracas. Il quale, da sincero democratico di sinistra, da quando è arrivato al potere, nel 1999, ha represso la libertà di stampa, ha statalizzato tutto quello che poteva espropriare, ha licenziato i dipendenti pubblici scesi in piazza contro di lui e si è fatto dare pieni poteri per fare ciò che vuole senza renderne conto al Parlamento. Ma siccome è uno dei principali nemici di Bush, Bertinotti, orgoglioso, lo ha messo nell'elenco dei suoi amichetti del cuore e lo abbraccia felice. Bisogna capirlo, però. È che con questa storia del Bertinotti di lotta e di governo il compagno Fausto si sta giocando la faccia e il partito. Alle elezioni amministrative dello scorso fine settimana Rifondazione ha perso due punti percentuali, cioè un terzo dei suoi voti. La minoranza del partito attacca Bertinotti e il suo delfino, il segretario Franco Giordano: «Paghiamo il coinvolgimento con il governo Prodi». Dove "coinvolgimento" vuol dire soprattutto la poltrona di presidente della Camera affidata a suo tempo da Prodi a Bertinotti. «Quello se lo è comprato», è l'accusa, manco troppo strisciante, che viene mossa a Fausto dagli oppositori interni. Da qui la necessità, nei momenti cruciali, di dare un segnale forte agli elettori, di convincerli che è ancora uno dei loro. Mica facile.
In teoria, la visita di Bush a Roma sarebbe l'occasione perfetta per mostrarsi in sintonia con i tanti comunisti che scenderanno in piazza per contestare l'"imperialista" yankee. In teoria. Perché in pratica la terza carica dello Stato certi lussi non se li può permettere. Perfidamente, glielo ha ricordato il senatore forzista Gaetano Quagliariello: «Per chi ricopre un incarico istituzionale, stringere la mano è un atto dovuto e basta. Se il presidente della Camera italiana ha un dubbio sull'opportunità di stringere la mano a Bush, ha solo un modo per farlo coerentemente con la nostra storia e la nostra tradizione: si dimetta». Quello che da destra gli dicono in pubblico, da sinistra gliel'hanno spiegato in privato: già di prima mattina, Bertinotti aveva dovuto prendere atto che simili atteggiamenti verso il capo di Stato di una nazione alleata non sono graditi né a Prodi, che in questi giorni ha ben altre rogne da grattarsi, né al Quirinale, dove Giorgio Napolitano tiene molto alla sacralità delle istituzioni.
Così, passati appena venti minuti dalla richiesta di dimissioni avanzata da Quagliariello, Bertinotti, fiutata l'aria, accetta di fare marcia indietro. La fa a suo modo, con un discorso tortuoso come quelli che teneva dal palco quando era il leader del sindacato tessili della Cgil: «Distinguere il privato dal pubblico è un esercizio fondamentale per la difesa delle istituzioni. Al fine di evitare polemiche che non hanno ragione di esistere sulla visita del Presidente degli Usa in Italia, il presidente della Camera conferma che, come sempre, quale che sia la sua opinione, si atterrà strettamente ed esclusivamente al pieno rispetto del suo ruolo, delle norme e delle prassi che lo regolano». In italiano normale, vuol dire che se nei prossimi giorni, durante qualche appuntamento ufficiale, si troverà Bush davanti, gli stringerà la mano. La poltrona è salva. La faccia un po' meno.
© Libero. Pubblicato il 1 giugno 2007.
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