Cinquecento piccole ragioni per l'antipolitica
di Fausto Carioti
Poi si lamentano perché l’antipolitica avanza. E grazie: se la politica è questa. Per capire la cifra della “casta” italiana, la sua vera dimensione etica, basta confrontare due numeri. Il primo, 630, è il totale dei deputati in carica. Il secondo, 120, è il numero dei portaborse che i recalcitranti onorevoli, messi alle strette e obbligati a regolarizzare i loro collaboratori, hanno “gratificato” di un contratto. Se si considera che solo alla Camera sono stati censiti 683 assistenti parlamentari (per un deputato che divide il portaborse con un collega ce ne sono molti che ne hanno almeno due a servizio), il conto è presto fatto. Tolti i pochi portaborse messi sotto contratto dai partiti, restano circa 500 deputati che mantengono “in nero” il loro principale dipendente. Niente contributi previdenziali, niente assistenza sanitaria, spesso niente ferie estive pagate, libertà di licenziare con uno schiocco di dita. E questi sono gli stessi politici che fanno la morale agli imprenditori e varano leggi per scovare e punire chi evade il peggior fisco d’Europa. Con quale credibilità?
Anche perché la truffa degli onorevoli - rigorosamente bipartisan - in questo caso è duplice. La prima vittima è il dipendente. La seconda è il contribuente italiano. Il quale i soldi al parlamentare, per il mantenimento dei suoi collaboratori, li versa ogni mese. Dei 13.689 euro che compongono la “busta paga” base del deputato (rimborsi per i trasporti e le telefonate sono esclusi), infatti, ben 4.190 euro, erogati tramite il gruppo parlamentare, servono a “rimborsare” gli onorevoli delle spese sostenute per i loro uffici a Montecitorio o nel collegio elettorale. Si tratta di un rimborso forfetario deciso con una semplice delibera, anni fa, dall’ufficio di presidenza della Camera. Per questa somma il parlamentare non deve fornire alcun rendiconto. Gli arriva in tasca «a prescindere», come avrebbe detto Totò (uno che di imbrogli e onorevoli tromboni se ne intendeva). A prescindere dal fatto che il deputato quei soldi li usi tutti, ne usi una parte sola o se li tenga per sé, e a prescindere anche dal fatto che li spenda per pagare gli stipendi dei suoi collaboratori o giri l’intera somma al suo spacciatore (non è un’illazione, è cronaca: il test delle Iene rivelò che 16 deputati su 50 avevano da poco fumato uno spinello o sniffato cocaina. Risultato: per poco non finivano in carcere. Le Iene).
Il presidente equo e solidale della Camera, Fausto Bertinotti, ha provato a fare il duro con i parlamentari. In gioco, del resto, c’è anche la sua faccia: se gli uffici di Montecitorio pullulano di gente reclutata in nero, lui, ex sindacalista, uomo di ultrasinistra che tratta lo statuto dei lavoratori come un rabbino tratta la Torah, non ci rimedia una gran bella figura. Ha fissato prima un termine, il 13 maggio, per far decidere ai deputati quali portaborse dovessero essere regolarizzati (gli altri, gli “esuberi”, licenziati: anche questo è molto di sinistra). Poi il termine è stato prorogato di un mese. E nei giorni scorsi si è scoperto che la macchina che doveva fare i “badge” ai nuovi assunti si è improvvisamente guastata. Intanto tutto continua come prima. E i portaborse che hanno in tasca qualcosa di simile a un contratto sono appena 120 (54 dei quali erano già in regola all’inizio della legislatura).
Le facesse un imprenditore, le irregolarità che commettono i deputati, vivrebbe nell’angoscia di un’irruzione della guardia di Finanza o degli ispettori Inps, temerebbe una denuncia da parte dei dipendenti. Ma simili cose a Montecitorio non possono accadere. Nessun portaborse è tanto coraggioso e tanto stupido da denunciare un deputato, e le forze dell’ordine non possono mettere piede in parlamento. Giustamente: fa parte della sacrosanta autonomia degli eletti dal popolo il fatto che siano fuori dalla portata di polizia e militari. Solo che certi privilegi i parlamentari debbono mostrare di meritarseli. Ed è proprio quello che non sta accadendo.
© Libero. Pubblicato il 16 giugno 2007.
Poi si lamentano perché l’antipolitica avanza. E grazie: se la politica è questa. Per capire la cifra della “casta” italiana, la sua vera dimensione etica, basta confrontare due numeri. Il primo, 630, è il totale dei deputati in carica. Il secondo, 120, è il numero dei portaborse che i recalcitranti onorevoli, messi alle strette e obbligati a regolarizzare i loro collaboratori, hanno “gratificato” di un contratto. Se si considera che solo alla Camera sono stati censiti 683 assistenti parlamentari (per un deputato che divide il portaborse con un collega ce ne sono molti che ne hanno almeno due a servizio), il conto è presto fatto. Tolti i pochi portaborse messi sotto contratto dai partiti, restano circa 500 deputati che mantengono “in nero” il loro principale dipendente. Niente contributi previdenziali, niente assistenza sanitaria, spesso niente ferie estive pagate, libertà di licenziare con uno schiocco di dita. E questi sono gli stessi politici che fanno la morale agli imprenditori e varano leggi per scovare e punire chi evade il peggior fisco d’Europa. Con quale credibilità?
Anche perché la truffa degli onorevoli - rigorosamente bipartisan - in questo caso è duplice. La prima vittima è il dipendente. La seconda è il contribuente italiano. Il quale i soldi al parlamentare, per il mantenimento dei suoi collaboratori, li versa ogni mese. Dei 13.689 euro che compongono la “busta paga” base del deputato (rimborsi per i trasporti e le telefonate sono esclusi), infatti, ben 4.190 euro, erogati tramite il gruppo parlamentare, servono a “rimborsare” gli onorevoli delle spese sostenute per i loro uffici a Montecitorio o nel collegio elettorale. Si tratta di un rimborso forfetario deciso con una semplice delibera, anni fa, dall’ufficio di presidenza della Camera. Per questa somma il parlamentare non deve fornire alcun rendiconto. Gli arriva in tasca «a prescindere», come avrebbe detto Totò (uno che di imbrogli e onorevoli tromboni se ne intendeva). A prescindere dal fatto che il deputato quei soldi li usi tutti, ne usi una parte sola o se li tenga per sé, e a prescindere anche dal fatto che li spenda per pagare gli stipendi dei suoi collaboratori o giri l’intera somma al suo spacciatore (non è un’illazione, è cronaca: il test delle Iene rivelò che 16 deputati su 50 avevano da poco fumato uno spinello o sniffato cocaina. Risultato: per poco non finivano in carcere. Le Iene).
Il presidente equo e solidale della Camera, Fausto Bertinotti, ha provato a fare il duro con i parlamentari. In gioco, del resto, c’è anche la sua faccia: se gli uffici di Montecitorio pullulano di gente reclutata in nero, lui, ex sindacalista, uomo di ultrasinistra che tratta lo statuto dei lavoratori come un rabbino tratta la Torah, non ci rimedia una gran bella figura. Ha fissato prima un termine, il 13 maggio, per far decidere ai deputati quali portaborse dovessero essere regolarizzati (gli altri, gli “esuberi”, licenziati: anche questo è molto di sinistra). Poi il termine è stato prorogato di un mese. E nei giorni scorsi si è scoperto che la macchina che doveva fare i “badge” ai nuovi assunti si è improvvisamente guastata. Intanto tutto continua come prima. E i portaborse che hanno in tasca qualcosa di simile a un contratto sono appena 120 (54 dei quali erano già in regola all’inizio della legislatura).
Le facesse un imprenditore, le irregolarità che commettono i deputati, vivrebbe nell’angoscia di un’irruzione della guardia di Finanza o degli ispettori Inps, temerebbe una denuncia da parte dei dipendenti. Ma simili cose a Montecitorio non possono accadere. Nessun portaborse è tanto coraggioso e tanto stupido da denunciare un deputato, e le forze dell’ordine non possono mettere piede in parlamento. Giustamente: fa parte della sacrosanta autonomia degli eletti dal popolo il fatto che siano fuori dalla portata di polizia e militari. Solo che certi privilegi i parlamentari debbono mostrare di meritarseli. Ed è proprio quello che non sta accadendo.
© Libero. Pubblicato il 16 giugno 2007.