Tutte le bugie della sinistra sul referendum

Basta leggere le dichiarazioni di quasi tutti gli esponenti dell'Unione o sfogliare i quotidiani d'area per capire come l'informazione sul referendum, a sinistra, sia ridotta al riciclaggio dei peggiori luoghi comuni. «Vogliono spaccare in due l'Italia», titola oggi lucidamente l'Unità (strano, di solito dicono che la vogliono spaccare in venti pezzi). Incalza truculento Romano Prodi: «La devolution spacca l'Italia in due, tra ricchi e poveri». Per il peggiore presidente della Repubblica che qui si ricordi siamo davanti allo «stravolgimento totale della costituzione». Mentre la ministra Rosi Bindi dà prova del suo perenne conflitto con la logica sostenendo che la riforma della costituzione fatta a norma della costituzione è «una manovra anticostituzionale» (si presume perché non l'hanno fatta loro, a differenza di quel capolavoro che è il federalismo di Bassanini). Insomma, stanno dando ancora una volta il peggio di loro stessi, ricorrendo alla demonizzazione più becera senza spiegare, testi alla mano, la fondatezza delle cose che dicono.
La verità è che su tutti i temi oggetto della polemica in materia di devolution (sanità, scuola, sicurezza) la riforma costituzionale della Cdl o non cambia nulla o riforma in senso addirittura centralista il testo attuale della Costituzione, quello ridisegnato dall'Ulivo due legislature fa.
Discorso identico per i poteri del premier, spauracchio agitato per far credere agli indigeni che è pronto l'avvento del nuovo Mussolini: in realtà il Parlamento resta sovrano e il premier, che pure guadagna alcuni poteri, rimane ostaggio, più di quanto non lo sia oggi, della sua stessa maggioranza.
E per capirlo basta saper leggere. Basta confrontare il testo attuale della Costituzione con il disegno di legge costituzionale che lo modifica.

Premier forte? Magari
Altro che deriva plebiscitaria e democrazia in pericolo. Nella riforma della Cdl del premier forte non c'è nemmeno l'ombra. Come disse a suo tempo Daniele Capezzone, contrario alla riforma per motivi esattamente opposti a quelli del resto del centrosinistra, il premier «è ridotto a "Re Travicello" esposto ai veti e ai ricatti dei suoi "alleati"». Tutto vero: il primo ministro conquista qualche potere, ma resta ostaggio della sua maggioranza. Può sciogliere le camere, ma può essere spedito a casa da singole componenti della sua stessa coalizione. La "norma antiribaltone", infatti, (nuovo articolo 94 della Costituzione) stabilisce che il primo ministro si dimetta «qualora la mozione di sfiducia sia stata respinta con il voto determinante di deputati non appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni». Insomma, il premier non può sostituire la sua base parlamentare con un'altra ed è quindi condannato a subire inerte i diktat di ogni componente della sua maggioranza.
Il suo potere di sciogliere le camere, inoltre, può essere vanificato dai deputati qualora questi, entro venti giorni, presentino e approvino, «con votazione per appello nominale dai deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni in numero non inferiore alla maggioranza dei componenti della Camera, una mozione nella quale si dichiari di voler continuare nell'attuazione del programma e si designi un nuovo primo ministro», come stabilisce il nuovo articolo 27 della costituzione. Da qualunque lato la si voglia guardare, dunque, è il parlamento così come uscito dal voto degli elettori che tiene il premier per le palle, e non certo il contrario.

Sanità
Oggi, come stabilisce il testo attuale della costituzione riformato dall'Ulivo (articolo 117, terzo comma), la sanità è inserita tra le materie a legislazione concorrente, per le quali «spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato». Sembra confuso? Lo è.
Da domani, una volta varata la devolution (art. 39 del disegno di legge costituzionale), la «tutela della salute» esce dalle materie a legislazione concorrente per entrare in quelle a potestà legislativa esclusiva dello Stato. Alle Regioni va poi la potestà legislativa in materia di «assistenza e organizzazione sanitaria». Quindi, con la devolution, la legislazione in materia sanitaria apparterrà allo Stato, la parte organizzativa alle Regioni. Le Regioni, quindi, potranno legiferare, ma solo all'interno della cornice creata dallo Stato. Lo spiegava bene, all'epoca, un bravo costituzionalista di area diessina come Stefano Ceccanti.
Potrà apparire ancora confuso, e magari lo è, ma di certo non rappresenta un decentramento né un incasinamento rispetto alla situazione attuale, voluta dalla sinistra. In questi anni, infatti, nessuno ha capito bene come debba funzionare la sanità «a legislazione concorrente».

Scuola
Oggi allo Stato appartengono le «norme generali sull'istruzione». Il resto della materia è soggetto a legislazione concorrente, «salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale» (art. 117, comma 3 della Costituzione).
Con la devolution, le «norme generali sull'istruzione» restano potestà esclusiva dello Stato. Mentre «organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche», nonché «definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione» diventano potestà legislativa esclusiva della Regione.
Cambia qualcosa? No. Come spiegava ancora Ceccanti, quelle che la devolution assegna direttamente alle Regioni «sono competenze già concesse dal titolo V riscritto dal centrosinistra. E la sentenza 13/2004 della Consulta conferma appunto che le Regioni hanno già quello che la devolution prevede».

Energia, Tlc e infrastrutture
Oggi, si legge nella Costituzione (art. 117, comma 3), «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia», «ordinamento della comunicazione» e «grandi reti di trasporto e di navigazione» sono materie a legislazione concorrente.
Con la devolution, «produzione strategica, trasporto e distribuzione nazionali dell'energia», «ordinamento della comunicazione» e «grandi reti strategiche di trasporto e di navigazione di interesse nazionale e relative norme di sicurezza» diventano materie a legislazione esclusiva dello Stato.
Centralizzazione, quindi.

Sicurezza
Con la devolution, niente polizia regionale. Ma solo «polizia amministrativa regionale e locale». La polizia amministrativa locale già esiste. La differenza è che, con la devolution, le Regioni che vorranno potranno creare una polizia regionale in grado di svolgere solo funzioni puramente amministrative, analoghe a quelle vigili urbani. Che già operano a livello locale. A livello di sicurezza, non cambia nulla.

Clausola di salvaguardia nazionale
Nella devolution spunta la clausola di difesa dell'interesse nazionale (art. 45). In sostanza, un nuovo comma dell'articolo 127 della Costituzione. Che assegna al governo il potere di chiedere alla Regione prima, e se la Regione non fa nulla al Parlamento poi, di annullare una legge regionale qualora ritenga che essa o parte di essa «pregiudichi l'interesse nazionale della Repubblica». Prima una simile norma non c'era, l'Ulivo non ci aveva pensato.

Altro che Italia spaccata in due.

Update. A risultato ottenuto (61,7% per i "no", 38,3% per i "sì"), qui si sottoscrive quanto scritto da Mario Sechi.

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