Più avanti, più su, più giù, più oltre
di Fausto Carioti
Sul serio: se ne sentiva la mancanza. Era dal lontano 13 giugno 2006 che dagli intellettuali italiani non partiva un’iniziativa in difesa della democrazia e della sacralità della costituzione, ovviamente minacciate dai propositi eversivi di Umberto Bossi e della Casa delle Libertà. Claudio Abbado, Umberto Eco, Inge Feltrinelli, Dacia Maraini e altri intellettuali milanesi avevano avvertito gli italiani che «alcuni diritti fondamentali, da tempo acquisiti, sono oggi in pericolo» a causa della riforma disegnata dalla Cdl. Quindi, tre lunghi giorni di sonno delle coscienze, che hanno fatto temere il peggio per la fibra morale del Paese. Ora, finalmente, un raggio di luce nel buio della democrazia: la costituzione italiana riceverà il premio Strega, massima onorificenza letteraria italiana. Un riconoscimento, spiegano gli organizzatori, voluto dalla «unione di scrittrici e scrittori, intellettuali, donne e uomini di cultura promossa da Goffredo e Maria Bellonci, che assegna annualmente il premio». Due piccioni con una fava. Da un lato, finalmente, si assegna lo Strega a un libro che è stato letto da qualcuno, oltre che dai giurati. Ed è una bella novità. Dall’altro, con il puntuale rinnovarsi della liturgia dell’appello alle masse alla vigilia della chiamata alle urne, si mantiene viva la funzione salvifica dell’intellettuale di sinistra, ben descritta da Stefano Satta Flores, prototipo della categoria, in “C’eravamo tanto amati”: «L’intellettuale è più avanti, più su, più giù, l’intellettuale è più oltre».
L’edizione speciale del premio Strega sarà assegnata alla costituzione durante una cerimonia che si terrà in Campidoglio il 21 giugno. Lo ritirerà, in nome e per conto della costituzione, Oscar Luigi Scalfaro, scelto probabilmente anche per la sobria imparzialità che caratterizzò la sua azione nei sette anni trascorsi al Quirinale e che gli elettori di centrodestra ancora oggi ben ricordano e apprezzano nel modo dovuto. Per l’occasione, la Utet ha pubblicato un’edizione speciale della costituzione. Lì, nell’introduzione, il linguista Tullio De Mauro, ex ministro dell’Istruzione ai tempi dell’Ulivo e per decenni organico al Pci, loda l’impegno di chi contribuì a «tessere la trama civile e democratica dell’Italia rinata alla libertà». Un De Mauro, si presume, animato dallo stesso senso dello Stato con cui, nel 1971, assieme ad altri intellettuali, firmò una lettera aperta al procuratore della repubblica di Torino, dichiarandosi solidale con chi gridava «lotta di classe, armiamo le masse» e condividendo la volontà di «combattere un giorno con le armi in pugno contro lo Stato fino alla liberazione dai padroni e dallo sfruttamento». Prevedibile come il suo voto in favore del governo Prodi, poi, ieri è arrivata la dichiarazione di Carlo Azeglio Ciampi, il quale ha annunciato che al referendum del 25 e 26 giugno voterà contro la riforma costituzionale della Cdl, in sintonia con il centrosinistra.
In attesa di mettere nella teca il prezioso volume della Utet, ci si può interrogare su quale sia la reale anomalia italiana. Se sia nella devolution e nel premierato disegnati da Umberto Bossi, Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, o in una classe intellettuale che, invece di essere fattore di cambiamento ed evoluzione del Paese, come dovrebbe avvenire in un Paese avanzato, si batte solo per la conservazione dell’esistente. Se abbia senso, ad esempio, che mentre altrove le costituzioni e le altre leggi importanti vengano riscritte per adeguarsi a un mondo che cambia, qui in Italia basti annunciare il proposito di mettere mano a un testo scritto sessant’anni fa per essere automaticamente accusati di eversione. Se sia normale che chi difende a spada tratta ogni articolo della costituzione finga di non vederne uno dei più importanti: l’articolo 138, che stabilisce la procedura di revisione dalla carta, eventualità che i costituenti avevano previsto e regolato.
Per inciso, la fondazione Magna Carta, vicina all’ex presidente del Senato Marcello Pera, ha presentato un documento firmato da 42 costituzionalisti e accademici che chiedono di votare “sì” al referendum. Un documento privo di quell’odio ideologico e dei toni da crociata che caratterizzano quasi tutti gli appelli lanciati da sinistra in questi giorni. Spiega in che modo il testo costituzionale riscritto dalla Cdl rafforzi i poteri del primo ministro, affidi al presidente della Repubblica un vero ruolo di garanzia, superi l’anomalia italiana del bicameralismo perfetto, riduca - meritoriamente - di un quinto il numero dei parlamentari e metta una pezza ai molti errori introdotti dal federalismo voluto dall’Ulivo, anche restituendo allo Stato funzioni che erano state affidate alle regioni da parte del centrosinistra (che ora, ovviamente, grida allo smembramento dell’Italia per mano della Cdl).
Forse ha ragione Paolo Flores D’Arcais, nel denunciare, assieme a Dario Fo, Carlo Lucarelli ed Erri De Luca, che «premi come lo Strega sono il segno di un grave deterioramento di stile. I giornali smettano del tutto di darne notizia, finché non vi ritorneranno garanzie di correttezza e trasparenza». Oddio, il direttore girotondino di Micromega e gli altri intellettuali di sinistra queste cose le hanno dette nel maggio del ’98, ma a leggerle bene è come se le avessero pronunciate ieri, tanto suonano attuali. Niente da dire: quando uno è più avanti, è più avanti.
© Libero. Pubblicato il 17 giugno 2006.
Sul serio: se ne sentiva la mancanza. Era dal lontano 13 giugno 2006 che dagli intellettuali italiani non partiva un’iniziativa in difesa della democrazia e della sacralità della costituzione, ovviamente minacciate dai propositi eversivi di Umberto Bossi e della Casa delle Libertà. Claudio Abbado, Umberto Eco, Inge Feltrinelli, Dacia Maraini e altri intellettuali milanesi avevano avvertito gli italiani che «alcuni diritti fondamentali, da tempo acquisiti, sono oggi in pericolo» a causa della riforma disegnata dalla Cdl. Quindi, tre lunghi giorni di sonno delle coscienze, che hanno fatto temere il peggio per la fibra morale del Paese. Ora, finalmente, un raggio di luce nel buio della democrazia: la costituzione italiana riceverà il premio Strega, massima onorificenza letteraria italiana. Un riconoscimento, spiegano gli organizzatori, voluto dalla «unione di scrittrici e scrittori, intellettuali, donne e uomini di cultura promossa da Goffredo e Maria Bellonci, che assegna annualmente il premio». Due piccioni con una fava. Da un lato, finalmente, si assegna lo Strega a un libro che è stato letto da qualcuno, oltre che dai giurati. Ed è una bella novità. Dall’altro, con il puntuale rinnovarsi della liturgia dell’appello alle masse alla vigilia della chiamata alle urne, si mantiene viva la funzione salvifica dell’intellettuale di sinistra, ben descritta da Stefano Satta Flores, prototipo della categoria, in “C’eravamo tanto amati”: «L’intellettuale è più avanti, più su, più giù, l’intellettuale è più oltre».
L’edizione speciale del premio Strega sarà assegnata alla costituzione durante una cerimonia che si terrà in Campidoglio il 21 giugno. Lo ritirerà, in nome e per conto della costituzione, Oscar Luigi Scalfaro, scelto probabilmente anche per la sobria imparzialità che caratterizzò la sua azione nei sette anni trascorsi al Quirinale e che gli elettori di centrodestra ancora oggi ben ricordano e apprezzano nel modo dovuto. Per l’occasione, la Utet ha pubblicato un’edizione speciale della costituzione. Lì, nell’introduzione, il linguista Tullio De Mauro, ex ministro dell’Istruzione ai tempi dell’Ulivo e per decenni organico al Pci, loda l’impegno di chi contribuì a «tessere la trama civile e democratica dell’Italia rinata alla libertà». Un De Mauro, si presume, animato dallo stesso senso dello Stato con cui, nel 1971, assieme ad altri intellettuali, firmò una lettera aperta al procuratore della repubblica di Torino, dichiarandosi solidale con chi gridava «lotta di classe, armiamo le masse» e condividendo la volontà di «combattere un giorno con le armi in pugno contro lo Stato fino alla liberazione dai padroni e dallo sfruttamento». Prevedibile come il suo voto in favore del governo Prodi, poi, ieri è arrivata la dichiarazione di Carlo Azeglio Ciampi, il quale ha annunciato che al referendum del 25 e 26 giugno voterà contro la riforma costituzionale della Cdl, in sintonia con il centrosinistra.
In attesa di mettere nella teca il prezioso volume della Utet, ci si può interrogare su quale sia la reale anomalia italiana. Se sia nella devolution e nel premierato disegnati da Umberto Bossi, Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, o in una classe intellettuale che, invece di essere fattore di cambiamento ed evoluzione del Paese, come dovrebbe avvenire in un Paese avanzato, si batte solo per la conservazione dell’esistente. Se abbia senso, ad esempio, che mentre altrove le costituzioni e le altre leggi importanti vengano riscritte per adeguarsi a un mondo che cambia, qui in Italia basti annunciare il proposito di mettere mano a un testo scritto sessant’anni fa per essere automaticamente accusati di eversione. Se sia normale che chi difende a spada tratta ogni articolo della costituzione finga di non vederne uno dei più importanti: l’articolo 138, che stabilisce la procedura di revisione dalla carta, eventualità che i costituenti avevano previsto e regolato.
Per inciso, la fondazione Magna Carta, vicina all’ex presidente del Senato Marcello Pera, ha presentato un documento firmato da 42 costituzionalisti e accademici che chiedono di votare “sì” al referendum. Un documento privo di quell’odio ideologico e dei toni da crociata che caratterizzano quasi tutti gli appelli lanciati da sinistra in questi giorni. Spiega in che modo il testo costituzionale riscritto dalla Cdl rafforzi i poteri del primo ministro, affidi al presidente della Repubblica un vero ruolo di garanzia, superi l’anomalia italiana del bicameralismo perfetto, riduca - meritoriamente - di un quinto il numero dei parlamentari e metta una pezza ai molti errori introdotti dal federalismo voluto dall’Ulivo, anche restituendo allo Stato funzioni che erano state affidate alle regioni da parte del centrosinistra (che ora, ovviamente, grida allo smembramento dell’Italia per mano della Cdl).
Forse ha ragione Paolo Flores D’Arcais, nel denunciare, assieme a Dario Fo, Carlo Lucarelli ed Erri De Luca, che «premi come lo Strega sono il segno di un grave deterioramento di stile. I giornali smettano del tutto di darne notizia, finché non vi ritorneranno garanzie di correttezza e trasparenza». Oddio, il direttore girotondino di Micromega e gli altri intellettuali di sinistra queste cose le hanno dette nel maggio del ’98, ma a leggerle bene è come se le avessero pronunciate ieri, tanto suonano attuali. Niente da dire: quando uno è più avanti, è più avanti.
© Libero. Pubblicato il 17 giugno 2006.