La crisi del Manifesto e i compagni cannibali

Andrà a finire che il Manifesto si salverà, perché al momento giusto confindustriali, sarti e miliardari alla perenne ricerca di una legittimazione per il fatto di esistere e di essere così ricchi metteranno mano al portafoglio, come sempre accaduto nelle precedenti crisi del quotidiano di via Tomacelli. Poi, si può discutere sul perché questa legittimazione i parvenue a sei zeri se la vadano a cercare dai comunisti, ultimi autorizzati a legittimare chicchessia, ma questo è un altro discorso.
Il Manifesto si salverà, e continuerà a fare la sua bella lotta di classe e a spalare letame su quella ricca borghesia che l'ha tirato fuori dal letame stesso, e sarà comunque una buona notizia, perché è mille volte meglio un giornale in più che un giornale in meno (vedi alla voce pluralismo e bla bla annesso, tutta roba che qui si sottoscrive a occhi chiusi).
Però quel libero mercato che il Manifesto detesta ha la sue buone ragioni per voler vedere fallito il quotidiano comunista. A che serve un quotidiano visceralmente antiberlusconiano, filopalestinese, anti-Bush, quando Corriere della Sera, Repubblica e Stampa ti danno un'informazione ideologicamente identica (salvo gli sprazzi di qualche sempre più isolato editorialista, utile come foglia di fico) a quella del Manifesto, ma assai più completa? A che serve comprare il Manifesto quando i giornalisti delle testate della buona borghesia scrivono ogni giorno le stesse cose, e spesso sono stati prelevati di peso (vedi la Jena) dal Manifesto o da testate affini? Il Manifesto risolverà il suo problema congiunturale (portare un po' di soldi in cassa), ma il suo problema strutturale resterà e non sarà risolvibile, perché riguarda l'impostazione dei nove decimi della stampa italiana.

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