Senatori a vita vs Sovranità popolare

di Fausto Carioti
Possono i senatori a vita ribaltare il giudizio degli elettori, consegnando il Senato a una maggioranza diversa da quella uscita dalle urne? La risposta, in punta di diritto, è ovvia: a norma della Costituzione niente vieta ai sette di essere la stampella che terrà in piedi Romano Prodi e il suo governo da qui alla fine della legislatura. Da un punto di vista politico, però, lo stravolgimento degli equilibri usciti dalle urne per mano di chi non è stato eletto da nessuno (tre senatori a vita sono tali “di diritto”, in quanto ex presidenti della Repubblica, e quattro lo sono per nomina presidenziale) rappresenta un calcio alla sovranità popolare.
Se il ruolo dei sette era importante prima, ora lo è ancora di più. Le elezioni dei presidenti di commissione a palazzo Madama hanno aperto la strada al passaggio del senatore Sergio De Gregorio dall’Unione alla Cdl. De Gregorio ieri si è fatto eleggere presidente della commissione Difesa con i voti del centrodestra e in aperta contrapposizione con la candidata dell’Unione. Ufficialmente resta un esponente dell’Italia dei valori, ma col suo gesto ha messo un piede fuori dal centrosinistra. Qualora dovesse concretizzarsi il passaggio di De Gregorio al centrodestra (le trattative sono in corso), nell’aula di palazzo Madama, contando solo gli eletti in Italia, la Cdl avrebbe 156 voti, contro i 153 dell’Unione. Nemmeno gli eletti all’estero per i due schieramenti riuscirebbero a fare la differenza: i quattro dell’Unione e l’esponente della Cdl servirebbero solo a portare la bilancia in parità. E siccome per avere la fiducia un governo deve ottenere la maggioranza, tutto finirebbe nelle mani del sesto dei senatori provenienti dall’estero: il volubile Luigi Pallaro, eletto come indipendente in Sud America. La sopravvivenza del centrosinistra sarebbe così affidata a un signore ottantenne che non fa parte dell’Unione e che, incidentalmente, nemmeno paga le tasse in Italia.
Per questo Prodi ha un bisogno disperato dei senatori a vita. La scelta di campo dei sette, però, apre una serie di problemi. Problemi costituzionali innanzitutto, perché, come spiega il professor Girolamo Cotroneo nell’articolo accanto, i presidenti della Repubblica hanno nominato senatori a vita quasi esclusivamente «uomini politici» privi di quegli «altissimi meriti in campo sociale, scientifico, artistico e letterario» richiesti dalla Carta. Problemi politici, perché, attacca il costituzionalista Nicolò Zanon, con simili nomine «una parte dell’Italia è stata tagliata fuori».
Questioni che non sfuggono ai senatori a vita dotati di maggiore sensibilità. Carlo Azeglio Ciampi ha scelto di non partecipare alla votazione per eleggere il presidente della commissione Finanze, preferendo farsi rappresentare da un altro senatore del gruppo misto. In pratica non è cambiato nulla, ma col suo gesto Ciampi ha riconosciuto la fondatezza dell’invito a non votare fatto il giorno prima dalla Cdl ai senatori a vita. Francesco Cossiga invece aveva chiesto ai suoi sei “colleghi” di non partecipare alla votazione per la fiducia al governo Prodi. Solo dopo aver ricevuto risposta negativa ha scelto di dare la fiducia all’esecutivo, spiegando però che «se il mio voto fosse stato determinante avrei ritenuto non corretto alterare la volontà del Senato espressa dal popolo con un voto, il mio, che non deriva da quella volontà». Lo stesso Cossiga ha annunciato la presentazione di un disegno di legge per togliere ai senatori a vita il diritto di voto. Tra tante riforme costituzionali che appaiono più o meno astruse agli occhi dei cittadini, questo sarebbe un intervento comprensibile da chiunque, basato su un principio forte come il rispetto della volontà popolare. Sino ad allora, non resta che appellarsi alle coscienze dei diretti interessati.

© Libero. Pubblicato l'8 giugno 2006.

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