La tentazione di congelare le riforme

di Fausto Carioti

La buona notizia, per Silvio Berlusconi, è che l’8 giugno, il giorno dopo le elezioni europee, dovrebbe essere tutto finito. La notizia cattiva è che, da qui ad allora, la situazione nella maggioranza pare destinata a peggiorare. E che quindi il governo rischia di perdere più dei «cinque o sei» punti di consenso che, per ammissione del premier, sono già stati pagati a causa della litigiosità del centrodestra. Tanto che nel PdL inizia a serpeggiare la tentazione di congelare le riforme per riparlarne dopo le europee, nella convinzione che, da qui ad allora, esse servano solo a far litigare gli alleati.

I fronti aperti sono due. Uno, tra Forza Italia e Alleanza nazionale, si gioca sull’assetto da dare al PdL e, in misura minore, sulla riforma della giustizia. L’altro fronte vede contrapposte Forza Italia e la Lega e riguarda i costi del federalismo fiscale e la solita riforma della giustizia. C’è già una prima vittima: il disegno di legge del guardasigilli Angelino Alfano per cambiare il processo penale, che doveva essere discusso domani in consiglio dei ministri, è stato sfilato dall’ordine del giorno per mancanza di un testo condiviso.

Più si divaricano le posizioni tra Forza Italia e An, più la Lega prova a infilarsi nella spaccatura. Umberto Bossi, nei giorni scorsi, ha riassunto la sua strategia in uno slogan: «Forza Italia e An non possono andare d’accordo. Per fortuna che c’è la Lega». Insomma, il leader del Carroccio da un lato soffia sul fuoco della rivalità tra An e Forza Italia, perché gli porta voti, dall’altro si presenta a Berlusconi e Gianfranco Fini con l’aria di quello che lavora per la causa comune: grazie alla Lega, quei voti resteranno comunque all’interno della maggioranza. Va da sé che non è per amore degli alleati che Bossi si impegna a recuperare i loro voti: in molte aree del Nord, iniziando dal Veneto, la Lega punta a sorpassare il PdL. E quindi a comandare.

La stessa Forza Italia è divisa. Da un lato chi, come il coordinatore Denis Verdini, chiede al premier di tenere duro, convinto che, se Berlusconi tirasse dritto, Bossi e Fini finirebbero per allinearsi. Dall’altro lato, una folta schiera di colombe, che vede in prima fila Gianni Letta, Fabrizio Cicchitto, Gaetano Quagliariello e i ministri Raffaele Fitto e Sandro Bondi. Tutti convinti che la partita più dura sia quella con la Lega.

Per Quagliariello, che di Berlusconi è ascoltato consigliere, la situazione è complessa, ma non drammatica: «È evidente che con l’avvicinarsi delle elezioni europee ci sarà sempre più concorrenza tra Lega e PdL, per il semplice fatto che presenteranno simboli differenti. D’altra parte ora nelle aule parlamentari si stanno portando avanti due grandi riforme: quella per il federalismo fiscale e quella della giustizia. Approvandole dimostreremo che quella in atto è una concorrenza leale, senza colpi bassi». Certo, avverte Quagliariello, «per reggere la competizione con la Lega il PdL deve stringere i tempi della sua costituzione e tornare ad essere presente più di prima». Che poi vuol dire sfidare il Carroccio su molti temi popolari, iniziando dall’abolizione delle province, che ridurrebbe i costi del federalismo.

Ma nell’entourage del Cavaliere c’è anche chi, all’ottimismo della volontà, preferisce il pessimismo della ragione. Tipo il forzista Giorgio Stracquadanio, convinto che «l’unica soluzione possibile è rinviare l’approvazione del federalismo e la riforma della giustizia a dopo le europee». Un obbligo, più che una scelta. «Nessuno dei nodi del federalismo fiscale», elenca Stracquadanio, «è stato risolto dal Senato: né il rischio di un aumento delle tasse, né una definizione univoca dei costi standard per le prestazioni fornite dalle amministrazioni, né la possibilità di accorpare i comuni o abolire le province». Il vero federalismo fiscale, in sostanza, si dovrebbe iniziare a discutere alla Camera: l’approvazione del testo da parte del Senato servirebbe solo alla Lega per farci un manifesto elettorale per le europee. Discorso analogo per la riforma della giustizia, dove, ammette Stracquadanio, «nessuno sembra pronto a intestarsi le proposte degli alleati».

Il calendario dei lavori parlamentari sarebbe un ottimo alibi per rimandare tutto. A maggio inizia la campagna elettorale, restano quindi tre mesi. E l’aula della Camera, ad esempio, deve ancora affrontare la riforma della pubblica amministrazione. Insomma, o si trova un accordo forte in tempi brevi, oppure Berlusconi potrebbe decidere di rinviare le riforme a quando nessuno avrà più motivi per rubare elettori agli alleati.

© Libero. Pubblicato il 22 gennaio 2009.

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