La bugia della centralità del conflitto israelo-palestinese
di Fausto Carioti
E’ il luogo comune che tutti ormai accettano senza manco pensarci su. Giuliana Sgrena, sul Manifesto, lo ricicla così: «Il conflitto israelo-palestinese è il nodo centrale della questione mediorientale, senza la soluzione del quale non vi sarà pace in tutto il Medio Oriente, e non solo per i paesi arabi». Secondo questa vulgata, la guerra tra israeliani e palestinesi è il problema dei problemi, rimosso il quale il Medio Oriente tornerà a essere un’oasi di calma. Ragionamento molto di moda, ma dotato di un retrogusto infame. Perché da qui a dire che basterebbe eliminare lo “stato artificiale” di Israele dalle cartine geografiche per aiutare la causa della pace nel mondo il passo è breve. Non a caso, la centralità del conflitto israelo-palestinese è sbandierata ogni giorno da chi di Israele farebbe volentieri a meno. Oltre ad essere molto di moda e molto comodo per antisemiti e antisionisti, però, un simile ragionamento è anche molto falso.
Né Israele né la vicenda dei territori palestinesi hanno avuto a che fare con moltissimi degli eventi più cruenti che negli ultimi decenni si sono svolti in Medio Oriente, nel mondo arabo e in quello, più vasto, dell’intero Islam. Iniziando dalla guerra tra Iran e Iraq, che tra il 1980 e il 1988 fece oltre un milione di morti. L’invasione dell’Iran da parte delle forze irachene e il lunghissimo conflitto che ne seguì, con uso abbondante di armi chimiche da parte delle forze di Teheran, sono dovuti a una rivalità millenaria che già esisteva quando la Mesopotamia affrontava la Persia. Ruolo d’Israele: zero. Due anni dopo la fine di questo conflitto l’Iraq, ridotto al collasso economico, invase il Kuwait. Saddam Hussein voleva mettere le mani sui giacimenti petroliferi del piccolo emirato: grazie ad essi, avrebbe controllato oltre il 17% delle riserve mondiali di greggio, poco meno dell’Arabia Saudita. Anche in questo caso, il ruolo di Israele fu nullo. Così come la deprecata “entità sionista” non ha avuto nulla a che fare con la decisione di Saddam Hussein di usare il gas nervino sui curdi iracheni. Né possono essere spiegati con la questione palestinese gli stretti legami tra la Siria e i terroristi che destabilizzano il Libano, o le ambizioni egemoniche che l’Iran nutre sull’intera regione.
Anche la pretesa di giustificare con la “giusta rabbia palestinese” il terrorismo islamico – altro vezzo del pensiero debole progressista – è ridicola. L’intellettuale egiziano Tawfik Hamid se ne intende, perché proviene dall’organizzazione terroristica Jemaah Islamiya. Sul Wall Street Journal ha scritto: «In Occidente, politici e studiosi intonano il canto secondo il quale l’estremismo islamico è causato dal conflitto arabo-israeliano. Questa analisi non può convincere alcuna persona razionale che l’assassinio ad opera degli islamisti di oltre 150.000 persone innocenti in Algeria - avvenuto nelle ultime decadi - o le stragi compiute nei confronti di centinaia di buddisti in Thailandia, o la violenza brutale tra sunniti e sciiti in Iraq possa avere qualcosa a che fare con il conflitto arabo-israeliano».
Gli stessi attentati di Al Qaeda sul suolo americano nel settembre del 2001, che hanno scatenato la guerra dell’esercito statunitense e dei suoi alleati contro il terrorismo, sono del tutto slegati dalla vicenda palestinese. Osama Bin Laden, o colui che si spaccia per tale dopo la sua probabile morte, sembra essersi accorto di quello che avveniva nella striscia di Gaza e in Cisgiordania solo un mese dopo il crollo delle torri gemelle. Quando, parlando dalla grotta in cui si nascondeva, disse che «gli americani non potranno sognare la pace finché noi non saremo in Palestina e avremo sradicato gli infedeli da quella terra». Solo tre anni prima, nella fatwa che aveva emesso contro gli Stati Uniti, la questione palestinese era stata relegata da Bin Laden all’ultimo posto delle rivendicazioni. Anche lo sceicco del terrore, come altri prima di lui, ha provato a usare la rabbia dei palestinesi nel momento in cui si è trovato in difficoltà.
La soluzione della questione palestinese non servirebbe nemmeno a estirpare la povertà e l’analfabetismo in cui vivono i giovani nei paesi arabi, anche in quelli che si arricchiscono grazie al petrolio, o a limitare la diffusione nel mondo dell’Islam wahabita, che è lo stesso culto integralista di Bin Laden, finanziato soprattutto dall’Arabia Saudita attraverso scuole in cui s’insegna l’odio per l’occidente. Né cambierebbe qualcosa per le tante “minoranze” le cui libertà elementari vengono calpestate ogni giorno. Le donne resterebbero cittadini di serie b: sottomesse di diritto agli uomini, soggette alla lapidazione se sorprese a tradire il marito, impossibilitate persino a guidare la macchina. Gli omosessuali continuerebbero a essere impiccati nelle piazze iraniane. Nei paesi arabi in cui l’Islam è la religione ufficiale agli “infedeli” sarebbe sempre vietato mostrare i simboli e i libri della loro fede. Sugli apostati, i “traditori dell’Islam”, peserebbe ancora la condanna a morte.
Insomma, anche trovando un rimedio alla questione israelo-palestinese il Medio Oriente rimarrebbe una fabbrica di odio e sangue, e i motivi che ne fanno uno degli angoli più arretrati e incivili del mondo resterebbero tutti.
© Libero. Pubblicato l'11 gennaio 2009.
E’ il luogo comune che tutti ormai accettano senza manco pensarci su. Giuliana Sgrena, sul Manifesto, lo ricicla così: «Il conflitto israelo-palestinese è il nodo centrale della questione mediorientale, senza la soluzione del quale non vi sarà pace in tutto il Medio Oriente, e non solo per i paesi arabi». Secondo questa vulgata, la guerra tra israeliani e palestinesi è il problema dei problemi, rimosso il quale il Medio Oriente tornerà a essere un’oasi di calma. Ragionamento molto di moda, ma dotato di un retrogusto infame. Perché da qui a dire che basterebbe eliminare lo “stato artificiale” di Israele dalle cartine geografiche per aiutare la causa della pace nel mondo il passo è breve. Non a caso, la centralità del conflitto israelo-palestinese è sbandierata ogni giorno da chi di Israele farebbe volentieri a meno. Oltre ad essere molto di moda e molto comodo per antisemiti e antisionisti, però, un simile ragionamento è anche molto falso.
Né Israele né la vicenda dei territori palestinesi hanno avuto a che fare con moltissimi degli eventi più cruenti che negli ultimi decenni si sono svolti in Medio Oriente, nel mondo arabo e in quello, più vasto, dell’intero Islam. Iniziando dalla guerra tra Iran e Iraq, che tra il 1980 e il 1988 fece oltre un milione di morti. L’invasione dell’Iran da parte delle forze irachene e il lunghissimo conflitto che ne seguì, con uso abbondante di armi chimiche da parte delle forze di Teheran, sono dovuti a una rivalità millenaria che già esisteva quando la Mesopotamia affrontava la Persia. Ruolo d’Israele: zero. Due anni dopo la fine di questo conflitto l’Iraq, ridotto al collasso economico, invase il Kuwait. Saddam Hussein voleva mettere le mani sui giacimenti petroliferi del piccolo emirato: grazie ad essi, avrebbe controllato oltre il 17% delle riserve mondiali di greggio, poco meno dell’Arabia Saudita. Anche in questo caso, il ruolo di Israele fu nullo. Così come la deprecata “entità sionista” non ha avuto nulla a che fare con la decisione di Saddam Hussein di usare il gas nervino sui curdi iracheni. Né possono essere spiegati con la questione palestinese gli stretti legami tra la Siria e i terroristi che destabilizzano il Libano, o le ambizioni egemoniche che l’Iran nutre sull’intera regione.
Anche la pretesa di giustificare con la “giusta rabbia palestinese” il terrorismo islamico – altro vezzo del pensiero debole progressista – è ridicola. L’intellettuale egiziano Tawfik Hamid se ne intende, perché proviene dall’organizzazione terroristica Jemaah Islamiya. Sul Wall Street Journal ha scritto: «In Occidente, politici e studiosi intonano il canto secondo il quale l’estremismo islamico è causato dal conflitto arabo-israeliano. Questa analisi non può convincere alcuna persona razionale che l’assassinio ad opera degli islamisti di oltre 150.000 persone innocenti in Algeria - avvenuto nelle ultime decadi - o le stragi compiute nei confronti di centinaia di buddisti in Thailandia, o la violenza brutale tra sunniti e sciiti in Iraq possa avere qualcosa a che fare con il conflitto arabo-israeliano».
Gli stessi attentati di Al Qaeda sul suolo americano nel settembre del 2001, che hanno scatenato la guerra dell’esercito statunitense e dei suoi alleati contro il terrorismo, sono del tutto slegati dalla vicenda palestinese. Osama Bin Laden, o colui che si spaccia per tale dopo la sua probabile morte, sembra essersi accorto di quello che avveniva nella striscia di Gaza e in Cisgiordania solo un mese dopo il crollo delle torri gemelle. Quando, parlando dalla grotta in cui si nascondeva, disse che «gli americani non potranno sognare la pace finché noi non saremo in Palestina e avremo sradicato gli infedeli da quella terra». Solo tre anni prima, nella fatwa che aveva emesso contro gli Stati Uniti, la questione palestinese era stata relegata da Bin Laden all’ultimo posto delle rivendicazioni. Anche lo sceicco del terrore, come altri prima di lui, ha provato a usare la rabbia dei palestinesi nel momento in cui si è trovato in difficoltà.
La soluzione della questione palestinese non servirebbe nemmeno a estirpare la povertà e l’analfabetismo in cui vivono i giovani nei paesi arabi, anche in quelli che si arricchiscono grazie al petrolio, o a limitare la diffusione nel mondo dell’Islam wahabita, che è lo stesso culto integralista di Bin Laden, finanziato soprattutto dall’Arabia Saudita attraverso scuole in cui s’insegna l’odio per l’occidente. Né cambierebbe qualcosa per le tante “minoranze” le cui libertà elementari vengono calpestate ogni giorno. Le donne resterebbero cittadini di serie b: sottomesse di diritto agli uomini, soggette alla lapidazione se sorprese a tradire il marito, impossibilitate persino a guidare la macchina. Gli omosessuali continuerebbero a essere impiccati nelle piazze iraniane. Nei paesi arabi in cui l’Islam è la religione ufficiale agli “infedeli” sarebbe sempre vietato mostrare i simboli e i libri della loro fede. Sugli apostati, i “traditori dell’Islam”, peserebbe ancora la condanna a morte.
Insomma, anche trovando un rimedio alla questione israelo-palestinese il Medio Oriente rimarrebbe una fabbrica di odio e sangue, e i motivi che ne fanno uno degli angoli più arretrati e incivili del mondo resterebbero tutti.
© Libero. Pubblicato l'11 gennaio 2009.