Così la sinistra americana (e non solo) ha perso il contatto con il ceto medio

Troppo ansiogeno, pessimista, incapace di spedire agli elettori messaggi di fiducia. Distante anni luce dal ceto medio. E la distanza si va allontanando. The Democratic Strategist, sito degli spin doctors dei Democratici tra cui figura, come co-editor, il notissimo (anche in Italia) Stan Greenberg, traccia un'analisi devastante del modo con cui il partito di Hillary Clinton si propone agli elettori sui temi dell'economia. E siccome in materia di sicurezza non c'è partita, se perdono anche sul fronte delle policies fiscali possono pure cambiare mestiere. L'allarme arriva già dal dato di partenza: il reddito familiare annuale al di sopra del quale un maschio bianco è più propenso a votare per i Repubblicani che per i Democratici è di 23.700 dollari: nel caso di una famiglia di quattro persone, si tratta di appena 5.000 dollari in più della soglia di povertà.

La condanna è senza appello: «I Democratici devono realizzare che hanno un problema - no, a dire il vero hanno una crisi - con il ceto medio. I Democratici - che si autodefiniscono il partito della middle class - non vincono il voto della middle class da almeno dieci anni. Tra tutti gli elettori con un reddito tra i 30.000 e i 75.000 dollari, Bush ha superato Kerry di sei punti e i Repubblicani candidati al Congresso hanno vinto di quattro punti. I Democratici continuano a prendere i voti di nove elettori neri su dieci in tutti i livelli di reddito, ma tra gli ispanici il margine di vantaggio decresce man mano che la loro situazione economica migliora. E, come abbiamo detto, siamo stati massacrati tra gli elettori bianchi del ceto medio».

Un interessantissimo report scritto dagli stessi autori, "The politics of opportunity", individua cinque punti in cui i Democratici americani sono ormai agli antipodi rispetto al ceto medio.

Primo: Pessimismo vs. Ottimismo. I Democratici insistono a mandare messaggi destabilizzanti, a incutere negli elettori la paura del futuro, del precariato, della perdita del posto di lavoro e del tenore di vita. Ma gli americani rifiutano la politica del piagnisteo.

Secondo: Declino economico vs. Sviluppo economico. Vedono ovunque segnali di povertà, e non riescono a capire quanto, in realtà, l'economia nazionale e quella familiare siano ricche.

Terzo: Sicurezza economica vs. Opportunità individuali. I Democratici non hanno capito che gli elettori del ceto medio sono più interessati a un posto di lavoro instabile, ma che offre maggiori potenzialità di guadagno e di carriera, che a un impiego sicuro dal magro guadagno.

Quarto: Le idee dei progressisti non sono a beneficio del ceto medio. Proprio perché insistono più sul welfare che sulle opportunità, più sulle cose che vanno male che su quelle che funzionano, i Democratici riescono a proporre solo politiche mirate a fronteggiare il declino, non a promuovere ricchezza e sviluppo.

Quinto: I Democratici muovono ai conservatori critiche inefficaci. Invece di focalizzarsi sui fallimenti delle politiche dei conservatori, insistono nell'accusarle di essere tagliate su misura delle grandi corporazioni e dei ceti più ricchi. Scordandosi che gli elettori americani ammirano la ricchezza e non hanno sentimenti di ostilità nei confronti di chi la possiede.

E' evidente che la grandissima parte degli atteggiamenti ansiogeni e piagnucolanti dei Democratici americani appartiene anche alla sinistra italiana. Certo, si tratta di due elettorati che messi davanti alla scelta tra libera iniziativa e welfare risponderebbero in modo diverso (anche se in Italia le differenze tra regione e regione sono probabilmente importanti). Ma forse non così diverso, come dimostra il continuo arrovellarsi della sinistra italiana dinanzi a un ceto medio che continua a sfuggirle, e all'inspiegabile (per loro) esistenza di una partito guidato da un signore calvo, con i tacchi, che continua a fregargli i voti della middle class e a farsi scegliere da un quarto degli elettori italiani.

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