Perché è liberale usare la forza contro chi blocca le strade

Un prepotente è un prepotente, ma mille prepotenti insieme sono un serbatoio di voti, un interlocutore politico da coccolare e lisciargli il pelo. La prova? Mettetevi al centro di un qualunque vicolo e provate a bloccare il traffico. Se non vi investono prima gli automobilisti, arriva la volante della polizia, vi solleva di peso e vi porta al commissariato. Applausi agli agenti. Ora provate a bloccare per giorni un’autostrada o una ferrovia nei giorni del controesodo estivo. Ma fatelo in cento, duecento o mille, in nome di una qualunque causa - questa estate sono andati di gran moda la retrocessione della vostra squadra di calcio e i prodotti agricoli invenduti. Stavolta, l’unico ufficiale che verrà a dirvi qualcosa sarà il sindaco, per ascoltare le vostre ragioni e promettere che farà tutto il possibile per aiutarvi. Dietro di lui, cronisti e fotoreporter litigheranno per mettervi in prima pagina. E nessun magistrato vi torcerà un capello, anche perché il governo dell’Ulivo, all’epoca, provvide a depenalizzare il reato di blocco stradale.
L’ultimo esempio sono i blocchi nelle strade e nelle ferrovie pugliesi. È finita con un morto. Era iniziata con i viticoltori che chiedevano lo smaltimento di dieci milioni di ettolitri di mosto prodotto lo scorso anno e rimasto invenduto. Subito li hanno affiancati i coltivatori di pomodoro, preoccupati perché le industrie non stanno acquistando il loro prodotto. Tutti motivi sacrosanti per incavolarsi, ci mancherebbe. Indecente è che la protesta sia diventata, come da abitudine, sopraffazione a cielo aperto dei diritti altrui, senza che nessuno si preoccupasse di difenderli ripristinando la legalità. Le cronache parlano di code chilometriche lungo le autostrade e le vie provinciali bloccate dai trattori, di 6.500 poveri cristi costretti ad accamparsi nelle sale d’aspetto delle stazioni di Bari e Foggia, di dieci treni costretti a fermarsi dinanzi ai manifestanti per far scendere 4.500 passeggeri.
Il peggio è successo vicino Canosa di Puglia. Il conducente di un furgone, una persona che stava lavorando, ha provato ad aggirare il blocco fatto dagli agricoltori su una strada provinciale. Uno di manifestanti messosi davanti al veicolo è stato investito e ucciso, e chi guidava è stato arrestato con l’accusa di omicidio colposo. Un maledetto incidente, deprecabile quanto si vuole, ma chi scrive sta dalla parte del camionista esasperato, non da quella dei violenti convinti, in nome dei propri diritti, di poter calpestare quelli altrui. Chi usa il proprio corpo e la propria vita come ricatto nei confronti del prossimo deve mettere nel conto le conseguenze non intenzionali che può produrre il suo gesto. E comunque, nessun incidente sarebbe avvenuto se chi di dovere avesse usato la forza per far rispettare una libertà fissata dalla Costituzione, quella per cui «ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale».
Tra il diritto a manifestare degli agricoltori e il diritto a lavorare del conducente del furgone (anch’esso difeso dalla Costituzione, per la quale «la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto») è il secondo quello più importante, perché non calpesta la libertà dell’altro. Stato vigliacco, quello che scende a patti con la violenza organizzata e lascia indifesi i maltrattati, solo perché non si nascondono dietro un cartello o dietro un sindacato.

© Libero. Pubblicato il 30 agosto 2005.

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