Inti-Illimani con le cotiche
di Fausto Carioti
Un favore più grande agli studenti di sinistra, Renato Brunetta non poteva farlo. Il ministro per la Pubblica amministrazione ieri ha definito «guerriglieri» quelli che mercoledì avevano caricato i poliziotti alla Sapienza, assicurando che come tali «verranno trattati». Capirai: i personaggi in questione - per molti dei quali la definizione di «studenti» suona un po’ riduttiva, trattandosi di fuori corso cronici e infiltrati dei centri sociali - non aspettavano altro. Essere accreditati come avanguardie della rivoluzione contro la feroce tirannia berlusconiana, senza rischiare un capello - anzi, in un Paese in cui televisioni e giornali sgomitano per difenderli e intervistarli - è la loro massima aspirazione. E infatti hanno subito preso sul serio le dichiarazioni del ministro, accusandolo di dire cose «degne dei peggiori regimi sudamericani». Anche i tanti politici in perenne caccia di voti tra i casinari del movimento studentesco si sono buttati a pesce sulla frase del ministro. Tipo Angelo Bonelli, dei Verdi, per il quale le parole di Brunetta sono «da regime cileno e devono preoccupare tutti i democratici di questo paese». Toni da epica partigiana, insomma.
Così si è recitata una pantomima surreale che ha visto i giovani estremisti dare addosso all’unico che li abbia presi sul serio, sino ad assegnare loro lo status (del tutto immeritato) di interlocutori politici ed avversari del governo. Brunetta poi si è accorto dell’errore e ha provato a metterci una pezza, dicendo che i violenti della Sapienza «non hanno la dignità dei guerriglieri, che sono una cosa seria. Questi sono solo quattro ragazzotti in cerca di sensazioni». Verissimo, ma ormai era tardi, la frittata era fatta e i teppisti che mercoledì avevano provato a sfondare il cordone della polizia potranno dire per tutta la vita di essersi sentiti, almeno per un giorno, come gli Inti-Illimani nel Cile di Augusto Pinochet.
Peccato che la gran parte del “popolo”, cioè la maggioranza degli studenti, stia contro di loro. Le elezioni che si sono svolte alla Sapienza a fine novembre hanno visto la vittoria delle liste autonome e di centrodestra. Le liste di sinistra hanno rimediato una batosta storica: i “collettivi” che avevano messo a soqquadro la Sapienza contro i provvedimenti del ministro Mariastella Gelmini hanno preso appena il 10 per cento dei voti e non hanno ottenuto alcun rappresentante nel Senato accademico. Studenti democratici, la lista vicina al Pd, ha avuto solo il 9% dei voti e non ha conquistato seggi nemmeno nel consiglio d’amministrazione. In altre parole, chi crea disordini nel primo ateneo della capitale è la solita minoranza rumorosa che ha un peso nei notiziari inversamente proporzionale alla sua forza politica.
I compagni della Cgil, che di teste calde hanno una certa esperienza, sanno benissimo come trattarli. Gli scontri alla Sapienza, infatti, erano iniziati perché gli studenti volevano uscire dall’università e unirsi alla manifestazione indetta dal sindacato di corso Italia contro il governo. Obiettivo: andare a tirare scarpe davanti al ministero dell’Economia. Problema: simili iniziative sono vietate dal protocollo che regola le manifestazioni nella capitale, firmato dal prefetto Giuseppe Pecoraro, dal sindaco Gianni Alemanno e dai sindacati, inclusa la stessa Cgil. Il cui segretario romano, Claudio Di Berardino, lo aveva benedetto spiegando che esso «ristabilisce l’equilibrio tra volontà di manifestare e rispetto delle esigenze dei romani».
Agli studenti dell’Onda, insomma, è stato impedito di mettere in atto il loro bravo «conflitto selvaggio e imprevedibile» (la definizione, che la dice lunga su cosa abbiano nella testa, è presa dai loro comunicati) a causa di una norma voluta anche dalla Cgil. A questo punto hanno chiesto al sindacato di Guglielmo Epifani di «stracciare» il protocollo e spiegare bene da che parte intende stare: con il governo o con il valoroso fronte rivoluzionario antiberlusconiano? Ma il sindacato rosso si è guardato bene dallo sconfessare il documento, e si è limitato a biascicare qualche vaga frase di solidarietà nei confronti degli studenti. I quali si sono sentiti abbandonati. La verità è che dentro alla Cgil sono ben felici di non avere tra le scatole gli impresentabili rappresentanti dell’Onda, ai quali non riconoscono quella dignità politica che il solo Brunetta, per qualche ora, ha generosamente accordato ai «guerriglieri» della Sapienza. E loro, ingrati, manco lo hanno ringraziato.
© Libero. Pubblicato il 20 marzo 2009.
Un favore più grande agli studenti di sinistra, Renato Brunetta non poteva farlo. Il ministro per la Pubblica amministrazione ieri ha definito «guerriglieri» quelli che mercoledì avevano caricato i poliziotti alla Sapienza, assicurando che come tali «verranno trattati». Capirai: i personaggi in questione - per molti dei quali la definizione di «studenti» suona un po’ riduttiva, trattandosi di fuori corso cronici e infiltrati dei centri sociali - non aspettavano altro. Essere accreditati come avanguardie della rivoluzione contro la feroce tirannia berlusconiana, senza rischiare un capello - anzi, in un Paese in cui televisioni e giornali sgomitano per difenderli e intervistarli - è la loro massima aspirazione. E infatti hanno subito preso sul serio le dichiarazioni del ministro, accusandolo di dire cose «degne dei peggiori regimi sudamericani». Anche i tanti politici in perenne caccia di voti tra i casinari del movimento studentesco si sono buttati a pesce sulla frase del ministro. Tipo Angelo Bonelli, dei Verdi, per il quale le parole di Brunetta sono «da regime cileno e devono preoccupare tutti i democratici di questo paese». Toni da epica partigiana, insomma.
Così si è recitata una pantomima surreale che ha visto i giovani estremisti dare addosso all’unico che li abbia presi sul serio, sino ad assegnare loro lo status (del tutto immeritato) di interlocutori politici ed avversari del governo. Brunetta poi si è accorto dell’errore e ha provato a metterci una pezza, dicendo che i violenti della Sapienza «non hanno la dignità dei guerriglieri, che sono una cosa seria. Questi sono solo quattro ragazzotti in cerca di sensazioni». Verissimo, ma ormai era tardi, la frittata era fatta e i teppisti che mercoledì avevano provato a sfondare il cordone della polizia potranno dire per tutta la vita di essersi sentiti, almeno per un giorno, come gli Inti-Illimani nel Cile di Augusto Pinochet.
Peccato che la gran parte del “popolo”, cioè la maggioranza degli studenti, stia contro di loro. Le elezioni che si sono svolte alla Sapienza a fine novembre hanno visto la vittoria delle liste autonome e di centrodestra. Le liste di sinistra hanno rimediato una batosta storica: i “collettivi” che avevano messo a soqquadro la Sapienza contro i provvedimenti del ministro Mariastella Gelmini hanno preso appena il 10 per cento dei voti e non hanno ottenuto alcun rappresentante nel Senato accademico. Studenti democratici, la lista vicina al Pd, ha avuto solo il 9% dei voti e non ha conquistato seggi nemmeno nel consiglio d’amministrazione. In altre parole, chi crea disordini nel primo ateneo della capitale è la solita minoranza rumorosa che ha un peso nei notiziari inversamente proporzionale alla sua forza politica.
I compagni della Cgil, che di teste calde hanno una certa esperienza, sanno benissimo come trattarli. Gli scontri alla Sapienza, infatti, erano iniziati perché gli studenti volevano uscire dall’università e unirsi alla manifestazione indetta dal sindacato di corso Italia contro il governo. Obiettivo: andare a tirare scarpe davanti al ministero dell’Economia. Problema: simili iniziative sono vietate dal protocollo che regola le manifestazioni nella capitale, firmato dal prefetto Giuseppe Pecoraro, dal sindaco Gianni Alemanno e dai sindacati, inclusa la stessa Cgil. Il cui segretario romano, Claudio Di Berardino, lo aveva benedetto spiegando che esso «ristabilisce l’equilibrio tra volontà di manifestare e rispetto delle esigenze dei romani».
Agli studenti dell’Onda, insomma, è stato impedito di mettere in atto il loro bravo «conflitto selvaggio e imprevedibile» (la definizione, che la dice lunga su cosa abbiano nella testa, è presa dai loro comunicati) a causa di una norma voluta anche dalla Cgil. A questo punto hanno chiesto al sindacato di Guglielmo Epifani di «stracciare» il protocollo e spiegare bene da che parte intende stare: con il governo o con il valoroso fronte rivoluzionario antiberlusconiano? Ma il sindacato rosso si è guardato bene dallo sconfessare il documento, e si è limitato a biascicare qualche vaga frase di solidarietà nei confronti degli studenti. I quali si sono sentiti abbandonati. La verità è che dentro alla Cgil sono ben felici di non avere tra le scatole gli impresentabili rappresentanti dell’Onda, ai quali non riconoscono quella dignità politica che il solo Brunetta, per qualche ora, ha generosamente accordato ai «guerriglieri» della Sapienza. E loro, ingrati, manco lo hanno ringraziato.
© Libero. Pubblicato il 20 marzo 2009.