Gli stupri, il dna, i romeni: botta e risposta con Sansonetti

Primo io ho scritto questo. Poi Piero Sansonetti ha scritto quest'altro. Gli ho risposto con l'articolo qui sotto.

di Fausto Carioti

Certi personaggi hanno l’abitudine di dipingere i loro avversari - o quelli che loro ritengono tali - non come sono, ma come vorrebbero che fossero. Comodo: così è più facile infangarli. È quello che ha fatto Piero Sansonetti, ex direttore di Liberazione, con il sottoscritto, ieri, dalle colonne del Riformista. Riguardo alle indagini sul delitto della Caffarella, giovedì avevo scritto che «gli investigatori hanno svolto un esame genetico sperimentale sul cromosoma “Y” degli aggressori. I dati ottenuti confermano che, molto probabilmente, costoro appartengono all’etnia romena». Da questa cosa - che è vera, che non ho scritto solo io, che nessuno ha smentito, che viene fatta anche in altri Paesi - Sansonetti deduce che il sottoscritto è «razzista». Poiché, secondo lui, sosterrei che «i romeni hanno un patrimonio genetico diverso da quello nostro, di noi “bianchi”. Sono una razza». Sosterrei pure, inventa ancora Sansonetti, che «se le razze sono diverse ce ne saranno di superiori e di inferiori» e che quindi «sulla base della loro diversità biologica hanno anche diversità comportamentali». Premesso che tanti romeni sono «bianchi» e che io, terrone, sono piuttosto scuro (sicuramente più di Sansonetti), si tratta di due falsità, non so se dovute a malafede o a semplice sciatteria. Da liberale, concedo il beneficio del dubbio e propendo per la seconda.

Innanzitutto, nell’articolo che ha turbato la coscienza progressista dell’ex direttore di Liberazione, da nessuna parte si parla di «razza» romena. Il motivo è ovvio, ma vista la scompostezza del suo attacco tocca sottolinearlo: il sottoscritto pensa che ci sia una sola razza umana. Ciò non vuole dire che non esistano differenze genetiche tra individui. Alcuni hanno i capelli rossi, alcuni hanno una predisposizione alla calvizie, alcuni hanno la pelle chiara, alcuni hanno i genitori più alti e quindi maggiori probabilità di avere una statura superiore alla media. Differenze come queste possono rendere più facile e accurato il lavoro degli investigatori. Si avesse la certezza che un reato è stato commesso da un biondo, sarebbe una gran bella notizia per l’accusato dai capelli neri. Non so se Sansonetti reputi «razziste» le analisi basate sul codice genetico (intuisco di sì), ma è proprio in base a queste che i due romeni accusati dello stupro della Caffarella potrebbero essere scagionati.

Differenze e affinità genetiche, ovviamente, riguardano anche i gruppi familiari. I Sansonetti, al pari degli altri consanguinei, hanno tratti genetici simili tra loro. Così come i Carioti e tutte le altre famiglie di questo mondo. Ed è ovvio che mio figlio abbia un codice genetico più simile al mio che a quello di Sansonetti. È anche su simili differenze che gli investigatori, quando serve, lavorano. Cosa ci sia di razzista in tutto questo, resta misterioso.

Certe popolazioni hanno poi alcuni tratti genetici che appaiono con maggiore frequenza, anche se meno di quanto accada nelle famiglie. In Europa, ad esempio, si è arrivati a identificare in modo sommario cinque gruppi al cui interno esistono frequenti somiglianze, rintracciabili dall’analisi del dna. Sono gli abitanti del sud est europeo, gli iberici, i baschi, gli europei “continentali” e gli abitanti del nord est europeo. Si tratta di analisi - appunto - sperimentali, che non possono dare certezze processuali (quelle si hanno solo analizzando il dna dei singoli individui). Ma un grado di probabilità più o meno alto di azzeccarci, quello lo hanno. Intendo dire che tutti costoro appartengono a “razze” diverse? Ma figuriamoci: è un’invenzione di Sansonetti. Intendo dire che uno di questi gruppi, come scrive Sansonetti, è geneticamente migliore o peggiore di altri? Manco per sogno: altra trovata infelice di Sansonetti, al quale fa comodo per trovarsi tra le mani un avversario più vicino ai suoi stereotipi.

È in base a simili analisi, ad esempio, che negli Stati Uniti è stato identificato Derrick Todd Lee, il “serial killer di Baton Rouge”, in Louisiana. Testimonianze errate, infatti, sostenevano che il pluriassassino fosse di origine caucasica. Il che avrebbe portato a scartare Lee, che caucasico non era. Ma l’analisi del dna trovato sulla zona degli omicidi ha incluso anche lui tra i sospettati. Si è scoperto poi che era colpevole.

Qualcosa di analogo lo stanno facendo gli investigatori in Italia con il dna trovato sul luogo dello stupro della Caffarella. Lo ha scritto, prima di me e con toni più ultimativi, il Corriere della Sera: «La convinzione degli investigatori, ricavata grazie ad un esame accurato del cromosoma “Y” estratto dal Dna, è che bisogna ricominciare a cercare nella comunità romena. Attraverso l’analisi di questo particolare componente si può infatti ricavare l’etnia del profilo genetico e in questo caso il risultato raggiunto conferma che la nazionalità è proprio quella».

Potrà infastidire qualcuno, ma è così che adesso lavorano gli investigatori. Lo fanno per mandare in carcere i colpevoli e salvare gli innocenti. E le razze e il razzismo non c’entrano nulla. Dovrebbe essere una buona notizia, ma - a quanto pare - non lo è per tutti. Questione di paraocchi. Che non dipendono dalla genetica, ma dall’ideologia.

Post scriptum. Peraltro, il cuore del ragionamento del mio articolo erano i numeri. Citavo le cifre che tutti conoscono, che erano quelle già riportate sulla Stampa da Luca Ricolfi, secondo le quali, in base ai dati disponibili, la propensione allo stupro degli immigrati romeni in Italia «risulta circa 17 volte più alta di quella degli italiani, e una volta e mezza quella degli altri stranieri presenti in Italia». Il che non vuol dire che i romeni abbiano una tendenza genetica a delinquere. Ma significa, più banalmente, che i romeni che sta accogliendo l’Italia hanno una propensione a delinquere maggiore di quella di tanti altri immigrati e degli stessi italiani. In parole povere, invece di accogliere i romeni più onesti e capaci facciamo entrare i più violenti e sbandati. È su questo che Sansonetti avrebbe dovuto rispondere. Ma se ne è guardato bene. Altri commentatori di sinistra ci sono già arrivati. Oltre a Ricolfi, c’è il sociologo Marzio Barbagli, che nel suo libro “Immigrazione e sicurezza in Italia” ha scritto che «gli immigrati, e in particolare quelli irregolari, compiono in media un numero di reati (anche violenti) maggiore degli autoctoni, e quelli di alcune nazionalità (non solo i romeni, ma anche gli albanesi, i marocchini o, per particolari delitti, anche i croati e i serbi montenegrini) ne commettono più di altri». Tempo qualche decennio e forse, chissà, ne prenderà atto pure Sansonetti.

© Libero. Pubblicato il 7 marzo 2009

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