Il governo e i nostri soldi

di Fausto Carioti

C’è una cosa che il governo dovrebbe fare in tempi rapidi: restituire i soldi che lo Stato deve agli italiani. Perché adesso c’è la crisi e bisogna intervenire, certo, ma prima ancora per ragioni di banale decenza. Sull’entità della somma dovuta dalla pubblica amministrazione la discussione è aperta. Il ministro Giulio Tremonti sostiene che il debito di questa nei confronti delle imprese ammonti a circa 30 miliardi euro. Il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, lo quantifica in 60-70 miliardi e cita i dati della Corte dei Conti, secondo la quale, nel 2006, solo nelle regioni a statuto ordinario e unicamente nel comparto sanità, i debiti verso i fornitori ammontavano a 33,7 miliardi. Chiunque dei due abbia ragione, la sostanza non cambia: uno dei motivi per cui tante aziende e famiglie italiane sono con l’acqua alla gola sono i debiti che lo Stato non paga. Ai quali, ovviamente, sono da aggiungere i crediti d’imposta, alcuni dei quali attendono di essere rimborsati da diversi lustri.

La colpa non è solo di questo governo, perché la situazione è da tanto che si trascina. Ma l’attuale esecutivo ha l’occasione buona per porci rimedio. Intanto, gestire in questo modo i debiti verso i privati è immorale, perché rappresenta una violazione del patto tra Stato e cittadini, con il primo che approfitta della sua posizione di forza. Ed è anche politicamente sbagliato, perché in un momento come questo quei miliardi, se immessi nell’economia, sarebbero per imprese e famiglie ossigeno vitale. Il “risparmio” derivante dalla mancata restituzione, inoltre, è in parte fasullo. Quei soldi, infatti, prima o poi andranno sborsati, e sino ad allora peseranno sul debito pubblico. E poi le aziende, che fesse non sono, simili ritardi nei pagamenti non li subiscono gratis, ma li mettono in conto alla pubblica amministrazione, aumentando i prezzi delle forniture.

Il governo, sino a questo momento, ha fatto poco. Senza escludere a priori nessuna ipotesi, si è mostrato comunque assai più attento al rigore dei conti pubblici che al sostegno dell’economia. Il decreto anticrisi varato a novembre ha dato il via libera al rimborso, entro i primi mesi del 2009, dei crediti d’imposta Irpeg dovuti da oltre dieci anni, per un totale di tre miliardi di euro. Altri 300 milioni sono stati stanziati per il pagamento dei rimborsi Irpef. Ma è solo una minima parte della somma dovuta dallo Stato. Per il resto, nulla si è mosso. Prevale la linea della prudenza dettata da Tremonti, anche se lo stesso Silvio Berlusconi sembra subirla con poca convinzione. Dalla sua, il ministro dell’Economia ha l’incognita della voragine aperta nelle banche italiane e nelle loro controllate europee dai titoli “tossici” partiti dagli Stati Uniti: fin quando non si conoscerà l’entità del disastro, nessuna cautela rischia di sembrare eccessiva.

Eppure, anche se il rimborso dei debiti contratti con i privati squilibrerebbe i conti pubblici nel breve periodo, sarebbe di sicuro una manovra molto più intelligente di altre. Si tratterebbe di agire in due fasi. Innanzitutto, i crediti dovrebbero essere certificati. Quindi, i creditori potrebbero usarli come garanzia verso le banche o per detrarli subito dalle imposte. Piuttosto che pagare la gente per stare a casa a non lavorare, come propone il segretario del Pd Dario Franceschini, o invece di intervenire con gli ammortizzatori sociali quando il disastro è compiuto, come non esclude di fare il governo, si darebbero soldi a imprese e lavoratori privati che di sicuro li meritano, perché hanno lavorato per lo Stato, e si eviterebbero la chiusura e la ristrutturazione di tante aziende che si trovano nella situazione paradossale di stare a corto di liquidità pur essendo creditrici nei confronti dell’unico pagatore sicuro del Paese. Salvando queste imprese si salverebbero anche tanti posti di lavoro, e quindi il potere d’acquisto di molte famiglie.

Gli imprenditori, ovviamente, spingono perché il governo agisca subito. Il “tesoretto” da 60-70 miliardi fa gola, e per molti di loro può essere la differenza tra la vita e la morte dell’azienda. Oggi è previsto un incontro tra la Marcegaglia e Berlusconi, ed è scontato che il leader degli industriali torni a chiedere un rapido smobilizzo delle somme dovute dalla pubblica amministrazione.

L’idea, peraltro, trova consensi anche all’interno della maggioranza. L’economista Benedetto Della Vedova, deputato del PdL e promotore del movimento liberista “Libertiamo.it”, la ritiene «tecnicamente non semplicissima, ma praticabile». E spiega: «Il nostro problema è mettere liquidità nel sistema per un paio d’anni. Potrebbe essere il momento giusto per fare davvero una piccola rivoluzione. Mi rendo conto che la restituzione di quei debiti sarebbe un’operazione rilevante, che provocherebbe uno sforamento del deficit per un biennio. Ma si tratterebbe di un’operazione di cassa, non di competenza. Insomma, non faremmo altro che anticipare deficit futuri. Tenendo anche conto del basso costo dell’indebitamento a breve, credo che una simile manovra debba essere presa assolutamente in considerazione. Non escluderei nemmeno», conclude Della Vedova, «l’ipotesi di offrire ai fornitori della pubblica amministrazione un pagamento immediato a fronte di un piccolo sconto, giustificabile con il fatto che il ritardo nei pagamenti è già stato caricato sui prezzi delle forniture».

© Libero. Pubblicato il 17 marzo 2009.

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