Donne in pensione a 65 anni: perché è una buona idea
di Fausto Carioti
Il cancelliere Otto von Bismarck diceva che le leggi sono come le salcicce: per apprezzarle è meglio non sapere come vengono fatte. Gli inglesi, che di stampa se ne intendono, spesso aggiungono gli articoli dei giornali alla lista delle cose sulle cui origini è meglio non indagare. Per due delle tre categorie, però, stavolta vale la pena di fare un’eccezione. Perché una legge in grado di equiparare l’età pensionabile delle donne a quella degli uomini, elevandola a 65 anni, è una vecchia battaglia di questo quotidiano. Dettata dal buon senso, prima ancora che da calcoli macroeconomici: se le donne, statistiche alla mano, campano più degli uomini, non si vede perché la loro vita lavorativa debba essere più breve. Né si capisce perché quelle di loro che vogliono ancora lavorare non possano farlo. A maggior ragione in tempi come questi, in cui qualunque risparmio per le casse pubbliche, anche il più piccolo, è il benvenuto. Ecco, sino a non molto tempo fa, trovare tra gli economisti e i parlamentari (inclusi quelli della maggioranza) qualcuno disposto a sostenere su Libero una tesi tanto ovvia, era impresa disperata. «Sappiamo che avete ragione, ma se lo diciamo noi rischiamo di perdere il voto delle donne», era la confessione che facevano molti di loro. «E comunque il risparmio non sarebbe così elevato», aggiungevano, quasi per scusarsi.
Giustizia è fatta: ieri il governo ha inviato alla commissione europea la bozza della legge con cui intende aumentare l’età pensionabile delle lavoratrici statali, portandola a 65 anni nel 2018. Proprio come chiede da anni questo giornale. L’operazione inizierà nel 2010, e innalzerà l’età per il raggiungimento della pensione di vecchiaia di un anno ogni biennio.
Secondo l’esperto di previdenza Giuliano Cazzola, deputato del PdL ed ex sindacalista della Cgil (nonché uno dei pochi che sulla proposta ci ha sempre messo la faccia), il risparmio per le casse pubbliche sarà di circa 400 milioni di euro l’anno: una somma importante. In questo modo, l’esecutivo si mette anche a posto con gli obblighi europei: lo scorso novembre, infatti, la Corte di giustizia della Ue aveva condannato il nostro Paese per discriminazione nei confronti delle donne, proprio perché le impiegate pubbliche sono costrette ad andare in pensione a 60 anni invece che a 65, come i loro colleghi maschi. Il nuovo tetto non sarà facoltativo, ma obbligatorio, anche se - ovviamente - chi avrà raggiunto i requisiti per la pensione di anzianità potrà smettere di lavorare prima.
Il provvedimento inviato ieri a Bruxelles riguarda solo le dipendenti statali, ma è probabile che presto la stessa riforma venga adottata per le lavoratrici private. Difficile infatti, a questo punto, giustificare una disparità di trattamento tra i due settori. In questo caso, fa sapere Cazzola, il risparmio sarà di circa 1,4 miliardi l’anno.
Il governo Berlusconi, dunque, torna a governare. E lo fa su un tema importante come quello delle pensioni, con una decisione che gli creerà forti ostilità nel mondo dei dipendenti pubblici, che già adesso lo guarda con scarso favore. Ma i sondaggi, per quello che valgono, dicono che l’esecutivo perde consensi quando fa melina a centrocampo, e ne guadagna invece quando prende decisioni forti. E la crisi economica, oltre alle pressioni europee, è un ottimo motivo per spiegare agli italiani il perché di questa novità. Specie se i risparmi ottenuti saranno usati per finanziare interventi in favore delle famiglie e delle imprese colpite dalla recessione.
Nel Partito democratico molti sono convinti di avere trovato un argomento buono per attaccare il governo da qui alle elezioni europee, che decideranno la sopravvivenza politica del segretario interinale Dario Franceschini e, forse, dello stesso Pd. Rosy Bindi ricorre alla demagogia spicciola, accusando il provvedimento «di far pagare i costi della crisi alla parte più debole del mondo del lavoro e della società». Chiaro che le lavoratrici statali, nelle prossime settimane, saranno oggetto di accurate battute di caccia da parte degli acchiappavoti del centrosinistra. Anche la Cgil, manco a dirlo, dichiara «inaccettabile» la parificazione dell’età di pensionamento.
Ma la mossa dell’esecutivo, sebbene ampiamente prevista, porterà anche problemi al principale partito d’opposizione. Negli ultimi giorni, infatti, si erano moltiplicate le proposte al governo da parte dei riformisti del Pd. Diverse tra loro, ma con un minimo denominatore comune: l’esecutivo riformi la previdenza e usi i soldi risparmiati in questo modo per aiutare i precari e le altre categorie colpite dalla crisi. Se farà così, lo appoggeremo. Bene: il governo l’intervento sulle pensioni l’ha appena annunciato, ed è un intervento che ha un forte sapore di pari opportunità tra uomo e donna (argomento al quale a sinistra dovrebbero essere sensibili) ed è stato chiesto a gran voce dall’Unione europea (e sino a prova contraria gli euroentusiasti sono loro). Quanto agli aiuti alle categorie colpite, parecchio è stato fatto e altro ancora si vedrà nelle prossime settimane, da qui al voto. Dire «no» a Berlusconi su tutta la linea, come pare intenzione di Franceschini, rischia di lacerare un partito già diviso e di far perdere la faccia ai suoi esponenti più seri.
© Libero. Pubblicato il 4 marzo 2009.
Il cancelliere Otto von Bismarck diceva che le leggi sono come le salcicce: per apprezzarle è meglio non sapere come vengono fatte. Gli inglesi, che di stampa se ne intendono, spesso aggiungono gli articoli dei giornali alla lista delle cose sulle cui origini è meglio non indagare. Per due delle tre categorie, però, stavolta vale la pena di fare un’eccezione. Perché una legge in grado di equiparare l’età pensionabile delle donne a quella degli uomini, elevandola a 65 anni, è una vecchia battaglia di questo quotidiano. Dettata dal buon senso, prima ancora che da calcoli macroeconomici: se le donne, statistiche alla mano, campano più degli uomini, non si vede perché la loro vita lavorativa debba essere più breve. Né si capisce perché quelle di loro che vogliono ancora lavorare non possano farlo. A maggior ragione in tempi come questi, in cui qualunque risparmio per le casse pubbliche, anche il più piccolo, è il benvenuto. Ecco, sino a non molto tempo fa, trovare tra gli economisti e i parlamentari (inclusi quelli della maggioranza) qualcuno disposto a sostenere su Libero una tesi tanto ovvia, era impresa disperata. «Sappiamo che avete ragione, ma se lo diciamo noi rischiamo di perdere il voto delle donne», era la confessione che facevano molti di loro. «E comunque il risparmio non sarebbe così elevato», aggiungevano, quasi per scusarsi.
Giustizia è fatta: ieri il governo ha inviato alla commissione europea la bozza della legge con cui intende aumentare l’età pensionabile delle lavoratrici statali, portandola a 65 anni nel 2018. Proprio come chiede da anni questo giornale. L’operazione inizierà nel 2010, e innalzerà l’età per il raggiungimento della pensione di vecchiaia di un anno ogni biennio.
Secondo l’esperto di previdenza Giuliano Cazzola, deputato del PdL ed ex sindacalista della Cgil (nonché uno dei pochi che sulla proposta ci ha sempre messo la faccia), il risparmio per le casse pubbliche sarà di circa 400 milioni di euro l’anno: una somma importante. In questo modo, l’esecutivo si mette anche a posto con gli obblighi europei: lo scorso novembre, infatti, la Corte di giustizia della Ue aveva condannato il nostro Paese per discriminazione nei confronti delle donne, proprio perché le impiegate pubbliche sono costrette ad andare in pensione a 60 anni invece che a 65, come i loro colleghi maschi. Il nuovo tetto non sarà facoltativo, ma obbligatorio, anche se - ovviamente - chi avrà raggiunto i requisiti per la pensione di anzianità potrà smettere di lavorare prima.
Il provvedimento inviato ieri a Bruxelles riguarda solo le dipendenti statali, ma è probabile che presto la stessa riforma venga adottata per le lavoratrici private. Difficile infatti, a questo punto, giustificare una disparità di trattamento tra i due settori. In questo caso, fa sapere Cazzola, il risparmio sarà di circa 1,4 miliardi l’anno.
Il governo Berlusconi, dunque, torna a governare. E lo fa su un tema importante come quello delle pensioni, con una decisione che gli creerà forti ostilità nel mondo dei dipendenti pubblici, che già adesso lo guarda con scarso favore. Ma i sondaggi, per quello che valgono, dicono che l’esecutivo perde consensi quando fa melina a centrocampo, e ne guadagna invece quando prende decisioni forti. E la crisi economica, oltre alle pressioni europee, è un ottimo motivo per spiegare agli italiani il perché di questa novità. Specie se i risparmi ottenuti saranno usati per finanziare interventi in favore delle famiglie e delle imprese colpite dalla recessione.
Nel Partito democratico molti sono convinti di avere trovato un argomento buono per attaccare il governo da qui alle elezioni europee, che decideranno la sopravvivenza politica del segretario interinale Dario Franceschini e, forse, dello stesso Pd. Rosy Bindi ricorre alla demagogia spicciola, accusando il provvedimento «di far pagare i costi della crisi alla parte più debole del mondo del lavoro e della società». Chiaro che le lavoratrici statali, nelle prossime settimane, saranno oggetto di accurate battute di caccia da parte degli acchiappavoti del centrosinistra. Anche la Cgil, manco a dirlo, dichiara «inaccettabile» la parificazione dell’età di pensionamento.
Ma la mossa dell’esecutivo, sebbene ampiamente prevista, porterà anche problemi al principale partito d’opposizione. Negli ultimi giorni, infatti, si erano moltiplicate le proposte al governo da parte dei riformisti del Pd. Diverse tra loro, ma con un minimo denominatore comune: l’esecutivo riformi la previdenza e usi i soldi risparmiati in questo modo per aiutare i precari e le altre categorie colpite dalla crisi. Se farà così, lo appoggeremo. Bene: il governo l’intervento sulle pensioni l’ha appena annunciato, ed è un intervento che ha un forte sapore di pari opportunità tra uomo e donna (argomento al quale a sinistra dovrebbero essere sensibili) ed è stato chiesto a gran voce dall’Unione europea (e sino a prova contraria gli euroentusiasti sono loro). Quanto agli aiuti alle categorie colpite, parecchio è stato fatto e altro ancora si vedrà nelle prossime settimane, da qui al voto. Dire «no» a Berlusconi su tutta la linea, come pare intenzione di Franceschini, rischia di lacerare un partito già diviso e di far perdere la faccia ai suoi esponenti più seri.
© Libero. Pubblicato il 4 marzo 2009.